Chi conosce bene il sottoscritto sa che
ho un debole per i romani e la cadenza capitolina; quando uno di loro
mi si approccia, sono pronto a sorvolare anche su alcuni suoi difetti
per godere di quella cantilena suadente. La chiacchierata con Carlo,
in arte OGM 909, è stata deliziata da questo aspetto ma anche dalla
sua inclinazione al dialogo, la messa in discussione e la viva
passione che lo ha condotto far parlare di sé con tutta una serie di
singoli di elettronica estrema contaminata e intrisa di sana
violenza.
Lo abbiamo intercettato allo Spazio A4
di Santhià (Vc) nell'ambito di un evento targato Insound.
Ecco il frutto dell'interessante
conversazione.
Come ti sei trovato questa sera a
suonare con i ragazzi dell'organizzazione Insound?
Mi sono trovato bene, sanno dove
vogliono andare e hanno tirato fuori un appuntamento davvero
bello.
Averne di organizzazioni del genere a Roma, dove invece c'è calma
piatta per la musica che faccio.
Raccontami i tuoi esordi musicali e
quale processo ti ha portato a essere quello che sei adesso.
Tutto ha avuto origine con il fatto che
sono diventato violinista, nella mia famiglia c'era la fissa per la
musica; da lì è cominciato un percorso tutto mio che mi ha portato
all'hardcore. Nel periodo 2000 frequentavo rave illegali e con mio
fratello e amici di una vita abbiamo cominciato a organizzarne con la
particolarità che al posto dell'hard techno facevamo hardcore
dall'inizio alla fine del rave. Poi tanta gente è cresciuta, si è
fatta i cazzi suoi e io ho continuato per la mia strada; del
collettivo faceva parte CHMD che ora vive in Olanda, sta facendo una
certa carriera e ha una radio. Io sono molto più produttore che dj;
suonavo coi vinili tanti anni fa ma poi ho sempre voluto fare la mia
musica. Il violino mi ha dato una grande impostazione e mi ero
ripromesso di portarla alla musica elettronica. Fino allo scorso anno
facevo solo live set; il mio nome deriva proprio da lì perché l'Mc
909 era un sintetizzatore che usavo dal vivo. Con quello facevo
tutto: dalla stesura della traccia al mastering, la comprai nel 2005
e la usai tanti anni. Purtroppo nel tempo mi sono accorto che di
tutto questo non gliene frega un cazzo a nessuno e ho un po' perso la
passione. Anche la collaborazione con Dj Jappo mi ha arricchito e ho
capito la giusta direzione da prendere.
E' forse un problema di ignoranza e
cultura generale?
Assolutamente! Alla maggior parte della
gente che viene alla serate di tecnologia non gliene frega molto e
allora che senso ha andare avanti a perfezionarsi in quelle cose? Io
stasera, come spesso faccio, ho suonato tutte tracce mie e la
quantità di canzoni che ho fatto deriva anche dalla capacità di
usare quel mezzo.
La frenchcore, che negli ultimi anni ha
conosciuto una grande espansione di consenso, rispetto alla hardcore
ha un'arma in più: la possibilità di sperimentazione. Sia con bpm
velocissimi che con le pause si possono inserire break melodici a
piacimento. Sei d'accordo?
Attualmente no. Quando iniziai a
sentire musica elettronica, era il 2000, andai verso la techno che mi
pareva più sperimentale; nel 2003/2004 mi presi molto con la french
per artisti del calibro di Speedfreak e Radium, i padri del
movimento. A oggi questo genere lo vedo davvero al capolinea, tutto
quello che c'era da dire è stato detto; a parte qualche artista come
The sickest squad che stimo tantissimo come persone e produttori, ma
fanno qualcosa di molto personale. Sono esigente nella musica, anche
con me stesso e lavorare con Jappo mi ha peggiorato (ride). La french
è stata una grande idea ma adesso è diventata prendere le casse di
una volta e metterci sopra delle musichette. La libertà che dici tu
c'è stata in passato ma oggi è morta e diventata troppo
commerciale.
Mi ha colpito la tua versatilità in
fatto di musica; nei vari aliases che hai come The qualunquist o
CarlettO G.M. Accanto ai suoi estremi ti si sente percorrere l'idm,
il drum & bass, la breakcore, l'industrial. Ritieni che per
essere un buon compositore di musica variegata occorra essere un
ascoltatore ampio, curioso e competente?
Certamente sì! Lo dico sempre ai
ragazzi della mia etichetta: ascoltate con umiltà gli altri perché
lì sta lo stimolo più forte nella sfida di migliorarlo; non c'è
nulla di male a rubare idee altrui piegandole alla mie necessità di
espressione. Io sono fissato con rap americano, musica classica,
punk/hardcore americano e tantissimo altro.
Ho particolarmente apprezzato il tuo
pezzo “666” che, dopo una prima parte furiosa, si concede nel
finale un'atmosfera più oscura e tetra. C'è un significato
concettuale nella canzone?
A me piace provocare e dare fastidio a
chi crede nella cristianità; non intendo offendere nessuno comunque.
Il concept è sul diavolo e nel coro si sente con chiarezza. Conta
che per un po' ho fatto il percorso accademico con il violino ma poi,
complice anche l'adolescenza, mi sono perso. Abbandonato quello, ho
lavorato con un gruppo che faceva musica dell'est Europa e suonavamo
per strada e in manifestazioni. Mi chiamavano “Lucifero” perché
per loro un biondo non poteva che essere un figlio del diavolo.
Non posso non chiederti qualcosa del
pezzo uscito con il moniker Unexist & OGM909 feat.Kerosene –
Questa è hardcore. Mi ha ricordato da vicino pezzi che hanno fatto
successo come “Hardcore Italia” o anche “Fuckin'cassa” di
Giangy. Come è nato il progetto e che futuro può avere il cantato
italiano negli hard sounds?
Quello è l'esame che mi ha fatto Jappo
per testarmi; era un vocal difficile non solo perché complicato come
metrica e poi perché in italiano. Non potevamo correre il rischio
del banale patetico della lingua italiana e abbiamo cercato di tirar
fuori qualcosa che spaccasse. E' stato un parto interminabile, lo
abbiamo cambiato tre mila volta; siamo partiti con il testo scritto
da Kerosene, Vincenzo Pagano, a Jappo è piaciuto e ci abbiamo
lavorato sopra. Ancora adesso ne sono soddisfatto.
Non scopro certo io che l'Italia in
fatto di suoni di elettronica estrema non prende lezioni da nessuno:
sono tanti i nostri talenti in ambito soprattutto hardstyle che
vengono considerati punti di riferimento anche fuori confine. Cosa
manca alla nostra Nazione per competere con Olanda, Germania o
Belgio?
Intanto manca pubblico! A Roma, la
capitale d'Italia, ci sono piccoli organizzatori che vedono il
business, si improvvisano, non amano questi suoni, provano ma
falliscono, non c'è una scena organizzata. Tutto questo accade anche
nelle altre grandi città, solo voi qui state bene; questo difetto ci
dà meno potere contrattuale quando andiamo a suonare all'estero. Non
possiamo pretendere niente quando usciamo, lo sanno come stiamo
messi.
A volte intervistando i djs per Insound
mi sono reso conto che nel nostro Paese non è facile fare gruppo
perché prevalgono i personalismi. E' proprio vero?
Sì e lo sto vedendo adesso: in Olanda,
piuttosto che far suonare un italiano, chiamano un loro connazionale
di basso livello. In Italia, pur di far gente, chiamano uno da fuori
anche se i djs più forti ce li abbiamo noi. Io non ragiono così e
sono convinto che l'unico modo vero di migliorare sia imparare dai
compagni e non dai maestri. Ho convertito da quest'anno la mia
etichetta, la Avanti records, in una specie di collettivo dove le
decisioni le prende il gruppo di artisti presenti. Le etichette non
serve più a niente, meglio il nostro laboratorio di idee senza
invidie e pieno di suggerimenti di crescita collettiva. Poi capisco
che l'artista è egoista e geloso, vuole esprimere il proprio io, ma
c'è un aspetto pratico di apprendere con umiltà.
Citando una tua canzone, la musica per
molti ragazzi giovani e meno giovani è una vera e propria “droga
per i timpani”. Prova a descrivermi le immagini che ti si formano
dentro o le sensazioni quando sei preso bene con la musica.
A me piacciono i quadri molto colorati
e la musica colorata; amo molti elementi tanto che mi è sempre stato
detto che metto troppa roba nella stessa canzone. Mi sto
effettivamente rendendo conto di questo e che piace a me ma è
difficile farla arrivare agli altri. Le sensazioni? Fino a un certo
periodo la mia musica è stata composta soprattutto grazie all'odio e
alla rabbia verso certe sfumature di società e sentimenti. Adesso
sono una persona diversa e credo che chiunque deve trovare la propria
fonte di ispirazione; io giro sempre con un registratore e prendo
spesso suoni che qualche volta uso nella produzione. Per me
l'hardcore e non solo per me è la valvola di sfogo del sabato sera e
sono contento che sia così; questa musica libera davvero l'energia!
Appunto non bisogna frequentare tante
volte le serate hard per rendersi conto che la media anagrafica dei
followers è alquanto bassa: diciamo 16/24? Che cosa ritieni siano in
grado di dare davvero suoni così potenti in un'età tardo
adolescenziale?
Citerei anche gente più grande ad
esempio una persona che mi finanzia, socio in affari: fa l'avvocato e
tutta la settimana fa una vita normale ma, cazzo, quando al sabato
viene alla nostra serata, torna ai suoi 14 anni. E' normale e sano!
Dopo una settimana che sta in mezzo a infamoni che vogliono
accoltellarsi, deve sfogarsi. Io poi odio gli avvocati. Teniamo le
pulsioni negative nelle canzoni e non mettiamole in pratica.
Un'analisi forse superficiale fa
derivare la french direttamente dai rave illegal; il fenomeno certo è
più complesso ma ha un fondo di verità. Tu come ti poni oggi verso
quel genere di eventi?
Ne ho organizzati un po' e ho avuto
delle denunce; a Roma è diventato un rischio e poi la gente è
cambiata. Il rave non lo fai per soldi o fama, ma se c'è la
situazione che piace in primis a te che organizzi. Prima c'era più
spirito aggregativo, a Roma sono finiti nel 2007, oggi fanno cose
ridicole. Nel 2004 a mettere in piedi quegli eventi eravamo 40
persone tutte amiche, oggi siamo rimasti in 3-4 e io non ne organizzo
più.
Un tuo pezzo si intitola “I got
guns”, “Io ho pistole”. E il vocabolo “gun” ricorre più
volte nella tua discografia come in “Guns blazing” o “My guns”.
Suppongo si tratti di un'esagerazione dei concetti funzionale alla
violenza della musica, ma cosa ne pensi della legittima difesa e
dell'uso di armi per difesa personale in casa propria?
Discorso molto complesso. In America il
fatto di avere un'arma ha un significato storico e culturale e c'è
un emendamento che dice che è lecito difendere la propria casa con
ogni mezzo. Io non sono possessivo su nulla ma sui miei spazi non
transigo; la violazione di domicilio per me è sacra e parlo per
esperienza personale. A mio fratello sono entrati in casa e non ha
potuto fare niente contro quei ladri; il mio incubo è proprio
quello! Sono spesso a casa, abito a Roma centro, e sono diventato un
po' il difensore del palazzo. Sarei però molto ma molto cauto a dare
armi alla gente perché non abbiamo la giusta mentalità per
adoperarle.