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martedì 1 gennaio 2013

TATANKA: INTERVISTA HARDSTYLE


Tatanka: «bisonte» in lingua lakota? Il titolo di un film italiano? Anche, ma soprattutto il nome di una colonna portante del genere musicale hardstyle. Valerio Mascellino, originario della provincia di La Spezia, ha
contribuito in maniera determinante al germogliare nel nostro Paese di questo «stile duro» di origine nordeuropea. Insieme a pochi altri (qualche nome? Activator, Zatox, Technoboy, Antonio Donà, Zenith, Mondello e Vortex) riprese tra i '90 e i 2000 la lezione straniera per dare voce al grezzo grido italico in fatto di durezza. E oggi, oltre a dividere i più importanti palchi europei con i mostri sacri del genere, a sua volta impartisce la lezione ai newbies del genere con produzioni devastanti in bilico fra tradizione e modernità e live acts incendiari. Sì, perché ogni grande non rimane ad innaffiare le proprie radici, ma protende i rami verso l'infinito vedendo anche più in alto degli altri.
Abbiamo incontrato Valerio nel backstage dello "Spazio A4" di Santhià (Vc) prima di un suo dj set organizzato da Insound

Ho letto che la canzone che ti aprì le porte della musica elettronica fu «Hocus pocus»; che ricordi del clima che si respirava nelle disco degli anni '90?
Iniziai con questa passione da ragazzino, a 13 anni; la musica la seguivo già, ma non andavo oltre i soliti artisti commerciali. Mi entrò in testa «Hocus pocus» appunto e la vita cambiò: la cercai disperatamente in radio e scoprii tutta una serie di tracce esaltanti che registravo. Da allora i primi tentativi di mix: pensa che all'inizio utilizzavo le funzioni «stop» e «rec» dei vecchi stereo. Frequentai allora le discoteche, a volte anche spacciandomi da maggiorenne (ride), come hanno fatto in tanti; bazzicavo nei club della mia zona e con il tempo suonai alla discoteca «Alhambra» e poi via via sempre di più. Il clima, che te lo dico a fare, era frizzante, divertente, unico, quanti ricordi.

Che cambiamenti pensi di avere passato dai tuoi primi pezzi come «Amphetamine» o «Kilowatt» a quelli più recenti come «AKT» o «A true story»?
Ti dirò che la mia è sempre stata musica di ricerca: si andava ad accaparrarsi nei negozi musicali i dischi nuovi particolari e ponevo attenzione con profondità anche ai lati B. Mi sono fatto edit da solo cercando di personalizzare il più possibile il lavoro e andai in studio una delle prime volte proprio con «Amphetamine». In quel momento volevo sentire quello nella pista, qualcosa che non c'era ancora. Oggi siamo estremamente schematizzati nell'hardstyle con poco spazio all'interpretazione di chi crea; nei pezzi si sente la differenza tra un produttore e l'altro, il livello è medio-alto, ma c'è meno libertà di prima. Io cerco invece di lasciare un messaggio nella traccia, questa è la mia libertà: a volte si capisce di più, altre volte il contenuto rimanda alla profondità della mia persona, ma, se ci si sofferma con attenzione, si arriva a capire.

Il tuo nuovo singolo «Arabika» è uscito il 12 dicembre: dopo «Afrika» e «Tokyo», altri mondi da scoprire per te. A cosa si deve questo interesse?
Vi sono culture che si conservano nel tempo per la loro particolarità e rimangono fedeli alle tradizioni del passato; la nostra società si comporta in modo diverso, basti pensare a quanta gente butta via il vecchio per il nuovo. Ma l'essere umano ha bisogno di sapere da dove arriva per determinare chi è e per indirizzare il cammino futuro. In «Arabika» ho giocato un po' con gli stereotipi; la prima parte è ispirata al suono di un marranzano, strumento che io credevo fermamente di origine siciliana, invece arriva dall'Arabia durante le colonizzazioni di questa nostra isola. Ho approfondito ulteriormente e si presume giunga addirittura dalla Cina. Questo per dirti che faccio delle ricerche a 360 gradi: come in «A true story», che parla di come siamo arrivati ai festival di oggi con l'evoluzione dall'acid house ai giorni nostri.

Da «tecnico dell'hardstyle» come giudichi il cambiamento del tuo genere che guarda sempre più alle melodie? Pensa infatti a nomi come Ran-D, Brennan Heart o The prophet.
Ran-D sta cercando di dare qualcosa di personale e che ha dentro pur arrivando dal versante più crudo. Brennan Heart ha sempre espresso musicalità toccante che, unita a idee vincenti e bei cantati, ha generato ottime hits. The prophet è lì dal giorno zero dell'hardstyle, mixa dall''85; oggi si prende cura del movimento e sta molto dietro all'etichetta «Scantraxx». Per i puristi del raw style, della vecchia scuola: secondo me oggi c'è troppa gente che parla e non ne sa un cazzo, che parla per parlare. La musica è evoluzione pura! A me ogni anno, da quando ho iniziato, alcuni ricordano come suonavo in modo diverso prima. Puristi di che cosa?

Uno che gironzola nei club di mezzo mondo come te come valuta il ruolo del dj ora rispetto a prima?
Negli anni '70 chi metteva i dischi ancora un po' era relegato in cantina per arrivare nella decade '90 in cui la stessa figura aveva funzioni divine. Nell'hardstyle ci sono djs che sono stati capaci di farsi valorizzare tramite stile e personalità anche in altri circuiti. Il pubblico si è allargato e questo è oggettivamente è un bene; è responsabilità di noi dj oggi rendere questa musica alla portata di tutti. Io cerco di essere coerente con me stesso, ma di attuare un progressione; non sempre si riesce a produrre hits che spaccano, ma questo non deve impedirmi di surclassare ogni volta me stesso migliorandomi costantemente.

Ho la netta impressione che i ragazzi vengano alle serate hard in quanto ci credono davvero, partecipa all'evento con dedizione. Come ti poni verso i club fashion-house-minimal dove, mi pare, la situazione non sia proprio così?
Sono sicuro che noi facciamo le cose con il cuore; anche loro, ma alcuni, e ne conosco tanti, arrivano a un tale livello da farsi la bocca buona con il denaro da guadagnare. A quel punto si sviluppa un credere nella propria musica diverso dal mio; io mi motivo tantissimo dalla reazione della gente, ci metto la faccia e la mia vita. Nell'hardstyle ci sono altre usanze: cerchiamo di portare avanti quel senso di famiglia, quell'atmosfera che negli anni '90 faceva trasgressione, tendenza, aggregazione, diversità e unione. Noi arriviamo da lì, da disco mastodontiche che ci hanno insegnato tantissimo.

Sono un immenso amante del genere hands up: perché non ha mai attecchito in Italia?
Perché non hai mai goduto di una spinta mediatica come si deve; e poi non si rispecchia in nulla che adesso in Italia fa tendenza anche per una predisposizione a sfuggire ai generi. Non è hardcore, non è trance, è una «maranzizzazione» della trance, ma non si è creata una spinta sostentativa. L'italiano è piuttosto «caprone», si beve di più le cose che gli servono, è esterofilo; farà successo quando dall'estero arriveranno filmati di party con 40 mila persone che vanno matte per canzoni hands up, con mille fighe, con uno stile di vita vincente, con abbondanza, con la sensazione di essere «fighi» a stare lì. Bisogna creare il desiderio: l'essere umano vuole quello che vede, non quello che non visualizza.

Che rapporto hai con le estremità più dure dell'hardcore?
Offer/demand: se esistono, significa che c'è qualcuno che chiede di più in fatto di crudezza musicale. Io non mi pongo così estremamennnoote, anche se alcune canzoni, con l'orecchio da tecnico, mi garbano molto. All'estero alcuni grossi eventi come il «Dominator» ci insegnano un mondo diverso dal nostro: da noi l'hardcore viene vista da fuori come un mondo di indemoniati, impasticcati, rifiuti sociali; fuori dai confini no.

La mentalità distorta di cui ti parlavo nella domanda precedente genera l'illegale: io sono contro e se si chiamano «illegali» un motivo ci sarà, o sbaglio? Non ci sono controlli in quelle esperienze! Bisognerebbe organizzare i rave legali e levare un po' di ipocrisia nel dire chiaramente che i problemi in questo Paese non vanno attribuiti a una cassa distorta. L'educazione si può dare anche tramite messaggi derivati da musica di impatto. Inoltre lì c'è la questione droga: ai rave la si consuma troppo alla luce del sole; se entri in un posto e trovi tavolini con secchi pieni di qualsiasi sostanza, è più facile lasciarsi prendere la mano con la nascita di incidenti brutti.