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domenica 16 settembre 2012

IL CENTRO COMMERCIALE DI DOMENICA





     QUAL'E' 




 
 L'IMMAGINE




   
   
   GIUSTA?


I centri commerciali: agglomerati di cemento animati in modo massiccio in virtù della filosofia del consumo e che spesso hanno sostituito con la loro ingombrante presenza aree verdi che oggi non sono più a disposizione della collettività.
Questo punto di vista può essere esagerato, ma, se adeguatamente motivato in profondità, rappresenta almeno una parte della verità.
Di per sé il centro commerciale, e con esso sia inteso quel complesso edilizio in cui convergono attività di vendita di vario genere, non è
una novità in senso assoluto. Già decenni fa nel nostro Paese esistevano luoghi in cui acquistare di grandi dimensioni, che progressivamente soppiantarono le botteghe di paese e di quartiere. Ma allora si trattava di punti specifici in cui la clientela comprava un solo tipo di prodotto. L'innovazione cui tutti abbiamo assistito negli ultimi anni consiste nel raggruppare alimentari, abbigliamento, ristorazione e qualsiasi tipo di attività produttiva in un unico posto. E, sia detto, ciò ha rappresentato la forza contrattuale dei centri commerciali di ultima generazione, poiché gli stessi fanno leva sulla possibilità che il cliente comodamente si serva di diversi servizi in un colpo solo. E c'è dell'altro: gli viene offerta anche la possibilità di “divertirsi”, gironzolando, magari anche senza spendere nulla, fra offerte, opportunità, luccichii del commercio.
Condannare in senso assoluto i centri commerciali equivale a qualcosa di anacronistico e inutile; il progresso vuole così e anche chi scrive vi si è rivolto in più di un'occasione.
Metterne in luce alcuni elementi deteriori però non è solo un vezzo intellettuale, ma un'interessante chiave per comprendere meglio alcune dinamiche della società in cui viviamo.
Per inquadrare il fenomeno, basti pensare che una ricerca compiuta due anni fa dal sociologo Marco Lazzari ha eletto il centro commerciale come il terzo luogo prediletto dagli adolescenti dopo casa e scuola. E non è necessario un economista per mostrare la straordinaria mole di denaro che gira intorno al fenomeno. In questa sede non scendo nel dettaglio delle preziose indagini dell'etnologo francese Marc Augé, in quanto parlerei senza conoscere a fondo i suoi risultati. Ma la sua riflessione è quanto meno interessante: egli parla del centro commerciale come di un "nonluogo", ovvero un luogo non antropologico poiché vi hanno accesso numerose persone fra cui non si verifica un vero scambio relazionale. Inerte e dedito al consumo insomma, l'uomo postmoderno si mischierebbe pietrificato ai suoi simili senza nemmeno accorgersi della freddezza dei legami con essi.
Non è nemmeno il caso di una restaurazione fuori dal tempo del “buon tempo antico” in cui si andava a fare la spesa dal macellaio del paese, dall'alimentari del paese o dal negozio di elettronica del paese. Queste piccole esperienze esistono ancora, ma sono sbaragliate dall'impetuosa e irresistibile concorrenza dei colossi.
Rimane però da chiedersi perchè il centro commerciale tenga aperto anche alla domenica. Questo giorno, dedicato per definizione al riposo dopo le fatiche occupazionali della settimana, viene così utilizzato da un certo quantitativo di italiani in questi nonluoghi. Non da tutti, non generalizziamo, ma da alcuni; il che comunque ne giustifica l'apertura full time tutti i giorni.
Il centro commerciale è caldo in inverno, provvisto di aria condizionata d'estate, intrattiene i bambini, è ben organizzato, spesso vi è parcheggio sotterraneo in caso di pioggia. E soprattutto soddisfa ogni tipo di esigenza del singolo e del nucleo famigliare.
Ma, e questo è un dato di fatto, presenta un ambiente asettico, algido, artificiale, simile a tutti gli altri centri commerciali; spersonalizza, frulla i cervelli con la perenne ricerca della promozione, limita la creatività, rende flaccido il fisico.
In particolare illude che il singolo possa scegliere, ma pilota la possibilità e la capacità di scelta in pacchetti commerciali studiati a tavolino che tramortiscono e sviliscono.
Non è l'origine di tutti i mali, ben inteso.
Ma va a mio avviso preso per quello che è: un'opportunità che può dare vantaggi, non un luogo di ritrovo o peggio di svago.
La domenica dunque è bene organizzare qualcosa di diverso, qualcosa a seconda degli interessi e delle situazioni esistenziali di ognuno. La spesa si può fare in settimana nei ritagli di tempo o anche al sabato.
Tanto più che i consigli di amministrazione decidono per necessità e intento di far lavorare i loro dipendenti anche la domenica, costringendoli a fare salti mortali nella vita privata. Essendo aziende private, ne hanno tutto il diritto, ma questa liberalizzazione esasperata si fa virtuosa metafora per comprendere un mondo sempre più veloce, prono sul lavoro, sulla produttività, sulla performance.
E i giovani genitori accompagnino i figli facendo loro vivere il centro commerciale non come il mondo dei balocchi, ma come uno dei luoghi possibili.
Di certo nemmeno uno dei migliori.