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domenica 2 dicembre 2012

UNA VITA PER L'HARDCORE: PHOENIX

Dj Phoenix/Fabio Crobu
Quale elemento definisce un'esistenza come degna di questo nome? Non pochi interpellati risponderebbero: riuscire a trasformare una passione in un lavoro o comunque sentire i brividi sulla pelle nel viverla. Fabio Crobu, Dj Phoenix che opera nel rooster di deejays di Insound, ci sta provando e la situazione pare non mettersi male. 

La musica hardcore come stile di vita? O meglio forse come aspetto che colora la sua vita impreziosendola. 
«Poche ma chiare parole inquadrano la mia dedizione all'hardcore: passione,
puro amore, sudore, divertimento, sorrisi, vera vita».

Da qualche mese compiuti di 23 anni e già con alle spalle una buona esperienza alle consolle di diversi club durante la nightlife piemontese, lavora come barista. Ma cerca di mordere i suoi giorni.
«Il mio impiego ufficiale non è il dj, ma darò tutto me stesso per arrivare a un livello di produzione musicale che seduca le orecchie di alcune persone che possano farti arrivare in alto. Non per soldi, ma per far ballare più gente possibile».

Il dj: colui che, decidendo il registro di una serata, detiene quasi un alone di santità, tanto da poter essere paragonato ad un sacerdote in una funzione religiosa. Anche lui infatti esalta e conduce all'estasi dei fedeli; e l'emozione mentre si suona a quanto pare è impagabile.
«Arrivo quasi alle lacrime; non l'avrei mai detto quando ero cantante leader di una gruppo di rock indipendente, ma una serata al Florida di Brescia mi ha cambiato la vita e in tre mesi mi sono innamorato senza ritorno dell'hardcore. La musica comunque è un'arte talmente pura e varia che non va bene chiudersi in un solo genere; vale la pena esplorare e non considerarsi migliori di altri settori. La stessa hardcore, soprattutto la main style che preferisco, è contaminata da molti stimoli come il rock, il rap; e anche grazie a ciò che si è evoluta negli ultimi anni in modo così meraviglioso». 

Phoenix ha un approccio preciso nella scelta dei brani da suonare in quel dato momento: si immagina in pista e si dice i pezzi che vorrebbe ascoltare e ballare; i suoi artisti preferiti sono Tommyknocker (che anni fa gli rubò il cuore) e Amnesys. E chi meglio di un individuo che vive e respira hardcore per tutti i giorni della settimana può interpretare alcuni pregiudizi, su tutti il consumo di sostanze stupefacenti.
«Per me sono dei razzisti: la droga gira in tutti i tipi di evento elettronico, perfino nella commerciale; anzi la musica più calma attira più i drogati secondo me, con l'hardcore non si ha il tempo di annoiarsi. Inoltre la nostra gente già fa sacrifici a pagare l'entrata, la droga costa tanto». 

Un momento di danza in un evento Insound
L'hardcore: un genere i cui seguaci ballano per lo più in modo caricato e adrenalinico; se ci si sofferma a osservarli, si noteranno delle movenze tipiche e ricorrenti.
«Non ci sono regole; se ti piace davvero questa musica, non riesci a stare fermo. Alcuni movimenti arrivano dalla fantasia e sono divertenti, ma ballare non è un dovere, è un'urgenza interiore che ti obbliga a seguire la cassa e le melodie».

Il vortice dei ragazzi rapiti dalle canzoni in alcuni momenti è così convulso da risultare per un occhio non abituato molto aggressivo. Ma un conto è il desiderio di vivere quelle note con pienezza, un conto è la violenza.
«Oggi per fortuna sta svanendo quella mentalità sbagliata che anni fa alcuni avevano di fare casino e unirsi in qualcosa di simile a una guerra; il ballo deve sfogare la violenza, non deve essere una scusa per tirare pugni e calci». 

Battiti di cassa veloce, vocalizzi tirati all'eccesso, atmosfere apocalittiche; ma anche un look particolare per molti sostenitori con creste, lenti a contatto colorate, tute. Qualcosa di così caratteristico aggancia i ragazzi e li fa sentire parte di un gruppo; un giovane può dunque sentirsi figo per essere un gabber o uno warrior.
«Questo più una volta; adesso accade ai più giovani soprattutto i primi tempi in cui entra nella scena, tutti lo passano questo periodo. Imitano i più grandi e poi, si spera, si concentrano sulla musica più che sul resto. Poi c'è anche il fatto di avere un'identità per qualcosa che è forte nella musica e nell'estetica, ma è secondario e l'importante è non sentirsi superiori». 

Hardcore non significa per niente raveparty, ma alcuni li confondono; a tal proposito Phoenix ha il suo punto di vista.
«Gli illegal party da un lato fanno incontrare molta gente e li fanno divertire; ma dall'altro non c'è sicurezza e circola liberamente qualsiasi sostanza. Come nei club è il singolo che deve regolarsi e non giocarsi la salute con l'abuso di droga».

Il futuro è sempre difficile prevederlo, ma proiettarsi nel domani è un gioco che a tutti stuzzica; come si vede Phoenix a 40 anni?
«In uno studio con la mia attrezzatura, su consolle di livello e con migliaia di persone davanti; questa è l'unica direzione che devo prendere nella mia vita».

L'organizzazione Insound, di cui ringrazio i membri, mi ha permesso di fare un'intervista a Fabio Crobu, in arte Dj Phoenix, durante la serata di riapertura stagionale allo Spazio A4 di Santhià (Vc).