Mi avete letto in ...

mercoledì 10 aprile 2013

INDAGINE SU UN CITTADINO AL DI SOPRA DI OGNI SOSPETTO

INDAGINE SU UN CITTADINO AL DI SOPRA DI OGNI SOSPETTO
 
Regia: Elio Petri
Soggetto / sceneggiatura: Elio Petri, Ugo Pirro
Cast: Gian Maria Volonté, Florinda Bolkan, Gianni Santuccio, Orazio Orlando, Sergio Tramonti, Arturo Dominici, Aldo Rendine
Paese di produzione: Italia
Anno di produzione: 1970
Genere: drammatico, poliziesco
Durata: 114 minuti
Musiche: Ennio Morricone
Orchestra diretta da: Bruno Nicolai


Voto: 10

Il clima socio-politico arroventato della fase finale degli anni '60 del secolo scorso riversò la sua influenza anche in ambito cinematografico, dando luogo a pellicole più o meno di valore che
risentivano inevitabilmente degli sconvolgimenti culturali che i movimenti studenteschi ed i grandi ideali avevano istillato nella nostra penisola. Proprio sulle ceneri ancora fumanti di tali avvenimenti si impernia l'idea di "Indagine di un cittadino al di sopra di ogni sospetto", alla cui concretizzazione decisivi risultarono i contributi del regista Elio Petri e dello sceneggiatore Ugo Pirro, nonché del vivido entusiasmo che l'attore protagonista Gian Maria Volonté manifestò alla lettura dello script. Pare inoltre che il produttore dell'epoca Marina Cicogna costituì ulteriore elemento motore per realizzare il film, andando a comporre un ricco puzzle artistico di ideatori giovani, coraggiosi e da taluni definiti "spregiudicati". Già, perché l'impatto della pellicola fin dalla sua primissima uscita delle sale fu dirompente; la leggenda narra che alcune forze dell'ordine intervenute (dopo aver ricevuto una soffiata) alla prima a Milano, si alzarono inviperite. Non solo, è certificato che "Indagine" venne denunziato al sostituto procuratore della repubblica, il quale peraltro non ritenne opportuno procedere. Ma, come accade spesso nell'arte in genere a prescindere dalle sue multiformi espressioni, dato scandalo del film data diffusione capillare dello stesso, che fin da subito godette di un successo di pubblico straordinario e, seppur più moderato, anche della critica.
Ma procediamo con la sinossi. L'ispettore capo della squadra omicidi di Roma, chiamato "Il dottore" (Gian Maria Volontè), proprio nel giorno della sua promozione ammazza durante un incontro erotico la sua amante Augusta Terzi (Florinda Bolkan). Il poliziotto semina per la casa del delitto tracce personali talmente palesi da dimostrare facilmente la sua colpevolezza; vuole dimostrare di essere "al di sopra di ogni sospetto", in quanto alto funzionario di polizia, e come tale immune da incriminazioni. Le indagini, pur riportando tutto alla sua persona, virano su altri lidi e solo un giovane anarchico Antonio Pace (Sergio Tramonti) avrà il fegato di spiattellargli in faccia la verità, ma…
"Indagine": forse il primo film italiano che parla della polizia in un certo modo, poggia la sua altissima caratura su più di un aspetto. LA SCENEGGIATURA, che utilizza la tecnica a ritroso per narrare gli eventi (il film infatti si apre con la scena dell'omicidio), permette una disamina chirurgica dei fatti, avvalendosi di uno stile quasi americano, sebbene poi il mood generale sia italiano che più italiano non si può. Ogni scena è provvista di senso preciso, contestualizzata congruemente ad incastro nel mosaico generale; il film necessita di più visioni per essere goduto e compreso fino in fondo, ma, quando si hanno tutti gli elementi in mano, non si può che gongolare stupendosi della sua bellezza. L'ATMOSFERA, che fa letteralmente gelare il sangue per i toni sinistri e disfunzionali che accompagnano i fatti; le scene sono tanto incisive che sobbalzano fuori dallo schermo, in un paradosso eccezionale: sono molto improntate al realismo ma pervase da un flavour malsano che le rende quasi irreali. GIAN MARIA VOLONTE', autore di una prova maiuscola; raramente ci si trova  davanti ad un attore capace di estraniarsi del tutto da se stesso e da essere davero un poliziotto di alto livello gerarchico. Sguardo penetrante, labbra perennemente dotate di un inflessione beffarda, tono di voce greve, un portamento che trasuda potentemente autorità. Eppure, dietro a quella facciata sicura e implacabile, si cela una personalità frammentata, dispersa dalle stesse spire di un potere illimitato che non può non toccarti dentro per le sue implicazione sulla tua psicologia. Il rapporto con Augusta poi viene gestito in maniera interessantissima: morboso, peccaminoso, stimolante, sadomasochistico, legame nel quale il dottore rivela tutta la sua fragilità, una sorta di valvola di sfogo alle ripercussioni del suo lavoro. La Bolkan è da applausi, nei panni di una donna fuori dal tempo, che non è inquadrabile già dal vestiario in nessuna epoca, che non lavora, non esce di casa ma è ossessionata dal subire comandi da chi detiene alte cariche. LE MUSICHE di Ennio Morricone, non già mero riempitivo ma bensì quasi attore aggiunto, a incorniciare gli eventi soprattutto nei momenti in cui il dialogo è assente; un groove continuo, fluido, sinistro, malevolo, che ti entra nella carne.
L'asse portate del film si stabilizza sull'empatica dicotomia fra l'interesse socio-psicologico di Petri (il regista) da un lato e quello storico-politico di Pirro (lo sceneggiatore); il primo ci mostra, ci fa annusare il meccanismo interiore di un uomo alle prese con la gestione del potere. Non alienandoci da lui, ma quasi a volerci suggerire che ognuno per natura è indotto ad esercitare la sua piccola o grande fetta di potere, godendo degli onori ma soprattutto degli oneri. Il rovescio della medaglia è l'onnipotenza, che poi si trasforma in impotenza nel momento in cui capiamo di essere comunque soggetti ad una società repressiva, il che ci fa essere, in fondo, dei bambini. Non a caso, è la stessa Augusta nel film a dire al Dottore (che non a caso non si capisce che nome di battesimo abbia) che lui altro non è che un bambino infantile e immaturo. Così come il Dottore definisce i criminali dei bambini nel momento dell'interrogatorio. Insomma il mondo è più grosso di noi ed il pensiero di una macrosocietà che ci opprime ma ci culla ci sottrae il senso di colpa di essere deboli, tutto sommato.
Sul secondo versante, invece, il film non può non essere figlio legittimo del contesto politico di quegli anni, presentandoci una polizia omertosa, scorretta, disinteressata alla verità effettiva, sorretta da una gerarchia in cui il superiore è da lisciare e riverire. In tal senso le rivolte sono accomunate ai peggiori crimini e tutto ciò che mina il potere costituito deve essere oggetto di repressione.
L'impressione generale è che sia un film che non invecchierà mai; troppi elementi lo pongono come fedele testimonianza di valori universali, dinamiche che non moriranno mai. I suoi anni se li porta molto bene e il suo "neorealismo grottesco" lo rende un esempio tra i più riusciti della storia del nostro cinema.
Spero che la diffusione del film in formato disco ottico renda merito alla figura di Petri e di Volonté, cui spesso non si rende il corretto tributo, forse per la sua scelta di lavorare in pellicole scomode. D'altro canto "Indagine" costituisce un prezioso sussidiario per riflettere sulla realtà storica del paese in cui abitiamo, realtà che non abbiamo vissuto ma della quale siamo figli diretti e della quale, volenti o nolenti, portiamo ancora benefici e cicatrici.