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domenica 27 ottobre 2013

BROTHERS: INTERVISTA DANCE

Alzi la mano chi, frequentatore di discoteche e con un età oggi compresa fra i 25 e i 40 anni, ha sentito esplodere le casse dei club con canzoni come «10/100/1000» o «Sexy girl» qualche anno fa. Beh vedo un mare di mani al cielo, le stesse mani che i Brothers facevano alzare in aria ai ragazzi con una manciata di hits che entrarono di petto nelle play list di tanti djs. Il quartetto lombardo riuscì a ritagliarsi un posto di primo piano nella scena dance italica attraverso un suono accattivante, melodico e catchy, personale e
distinguibile. Il nome girava tanto e si imprimeva sulla bocca dei fans, che potevano contare, in un ambito animato talvolta da produttori che davano alle stampe anche solo una traccia, su un vero e proprio punto di riferimento per le loro danze. Poi si cominciò a non sapere più nulla dei «fratelli», eravamo alla metà dei 2000, la italodance accusava un palese declino, l'asettica house soppiantava il tepore delle arie più ruffiane. Oggi i Brothers sono tornati per restare e hanno da poco dato alla luce il nuovo singolo «Mirror on the wall», più in linea con il mercato discografico del momento ma che non rinuncia a proiettare nella seconda decade dei 2000 il tipico touch che lo ha resi famosi. L'occasione è propizia per quattro chiacchiere.

Eccovi sull'orizzonte musicale dopo lo scioglimento di sette anno orsono, benvenuti! Chissà quante curiosità in quegli anni di Brothers: serate pazze, live aneddoti vari. Sentitevi liberi di galoppare nel ricordo e raccontateci qualcosa.
Più che particolari momenti divertenti, ti sveliamo qualcosa che in fondo è giusto che sappiano i fans: noi siamo tornati dopo sette anni perché allora rompemmo i rapporti , litigammo per stupidaggini. Non ci siamo parlati per tutto questo tempo dividendoci in due gruppi finché abbiamo capito il non senso di quel silenzio. Che strani a volte i rapporti umani: orgoglio e prese di posizione all'inizio sembrano importanti, poi giorno dopo giorno ti diventa chiara la loro inutilità. Per sette anni di fatto abbiamo sofferto a non fare più le bellissime cose vissute in precedenza e ci siamo resi conto che il legame di amicizia fra i quattro è troppo forte. Eccoci allora ai nuovi nastri di partenza, chi ci ama può stare certo che non li deluderemo e che non accadrà più nulla del genere.

Grazie della rivelazione; da un punto di vista musicale che cosa vi ha indotti a riaccendere i motori e rimettervi in gioco nel mercato discografico e nel clubbing italiano?
Torniamo anche per una passione che non si può spegnere, è un fuoco immenso. Ce ne andammo quando la musica che andava allora non ci apparteneva più; adesso abbiamo l'impressione che la musica dance attuale ci possa rispecchiare. Siamo ancora in carreggiata e cerchiamo di stare dietro a sonorità che adesso vanno forte in Europa. La melodia è rientrata nei gusti dei produttori e noi ci consideriamo capaci di stare al gioco! E' un bel periodo, credimi, ritrovare lo stimolo di un tempo e dedicarsi ancora al gruppo ci riempie la vita: giorni fa eravamo intervistati da Roby Rossini su Radio Manà, lavoriamo nei locali dappertutto e Jack «Gabriele» Pastori collabora con Giorgio Prezioso su m2o nel personaggio dello Scorbutico. Siamo quattro djs, ciascuno ha capacità diverse che vanno a integrarsi: Giuseppe «Joseph B» Britanni ad esempio ha una preparazione musicale elevata e siamo specializzati in un settore; ci confrontiamo e cerchiamo di tirare fuori il meglio possibile. Poi c'è Thomas Ferri che vive a Bolzano e Walter «Watt» Mangione.

Siete stati, insieme a pochi altri come Danijay, Benny Benassi, Gabry Ponte, Luca Zeta ad emergere in tempi in cui la italodance soffriva e faticava a bissare i fasti del passato. Come siete riusciti a imporre i Brothers in Italia ma anche in altri Paesi all'estero?
Sai cosa succede nel mondo della musica? Occorre credere in quello che si fa e confrontarsi con gli altri big della scena facendosi un po' di sana autocritica. Un esame su te stesso ti permette di vederci chiaro, non soffrire di ego a tutti i costi: ti sembrerà forse strano, ma crediamo che questo sia il primo passo per ambire a esportare il nostro sound anche fuori dall'Italia. Siamo persone semplici, non esaltati, umili e sappiamo metterci in gioco. Se uno ha un'idea, la tira fuori senza gelosie, il team è fortissimo e andiamo d'accordo.

Parlando di italodance, considero un vero peccato il fatto che si siano perse le tracce di tanti progetti qualitativamente ottimi ma vittime delle difficoltà commerciali, dal 2005 ad oggi, in cui la italo versava e sta versando in cattiva salute.
Facciamo una differenza fra produttori e produttori: vent'anni fa certa nostra italo sbarcava anche in Europa e si creò un scia positiva che impose il nome dell'Italia in ogni dove. Erano tempi meravigliosi, ma l'onda va cavalcata anche quando c'è il mare fermo, occorre remare e andare avanti lo stesso. Vogliamo dire che molti sono scomparsi perché, anche a fronte di un talento, non hanno resistito ai cambiamenti delle mode musicali. Alcuni invece hanno investito tempo, energie, credendoci e avendo le palle di non deprimersi, continuando a lavorare e a non pensare di avere ragione per forza. Oggi non si può produrre come prima, adesso il nord Europa impone delle precise sonorità; lì i djs come Sebastian Ingrosso o Alessio hanno la forza e l'umiltà di unire le forze e fare gruppo. In Italia la cultura della sfida fu troppo presente nel periodo d'oro e adesso purtroppo il quadro non è diverso. I djs che emergono dovrebbero imporre il suono proprio attraverso le sinergie per sviluppare la scena; è risaputa tradizione che nel nostro Paese l'individualismo e l'invidia la fanno da padrone, il che, per finire di rispondere alla tua domanda, ha scoraggiato più di un bravo produttore.

Vedo che alcuni sono tornati a rinverdire il loro nome: Danijay stesso, Magic box, The soundlovers e voi naturalmente. Si nota in queste nuove produzioni l'esigenza di piegare lo stile di ciascuno a synths più moderni, prog house. Ritenete che oggi questo sia il nuovo concetto di «maranza»?
Non proprio. Diciamo che è una scelta quasi obbligata perché, per stare dietro al nuovo filone, occorre allinearci, pena cadere nel dimenticatoio; noi invece vogliamo lanciare ben chiaro il nostro nome. Questo è il nuovo concetto della musica commerciale dance italiana, non sappiamo quanto sia lecito e opportuno oggi parlare di «maranza»; questo termine, che rimanda alla dance popolare ed è sinonimo di divertimento, felicità e baldoria, aveva una dimensione prima. Sia però chiaro, diciamo questo con grande affetto per la filosofia «maranza», non ne prendiamo le distanze e anzi ci piacerebbe molto che quello spirito, quel modo di intendere le nottate, si ripresentasse anche adesso.

Cosa vi sentite di dire a tutta quella schiera di producers italo come Dj Doddo, Glaukor, Dj Bovoli, Sander o Dance Rocker che invece percorrono la italo ancora con le caratteristiche dei tempi d'oro ma negli ultimi anni?
Li ammiriamo perché credono fortemente nella loro musica; la giusta scelta è sempre fare quello che ti suggerisce il cuore e chissà che un giorno riescano a portare la scena musicale dove desiderano. Se noi fossimo nati una ventina di anni prima, ci saremmo allineati a gente come Alphaville, Falco, Gazebo o ai più grandi esponenti dell'elettronica anni '80; ovvio che crescendo ti ritrovi davanti a realtà musicali diverse e questo esempio posiamo farlo con gruppi anche più storici. Il tempo cambia e ogni artista ha un'espressione nel tempo in cui vive. Noi siamo oggi più orientati a seguire la progressive house perché la tecnologia odierna va in quella direzione e ed è stimolante andare avanti. Quando 10-15 noi creammo quei suoni, non c'erano stati prima e abbiamo contribuito che la musica si evolvesse. Eravamo diversi dagli anni '90 e oggi crediamo di dover evolvere il nostro vecchio suono: è proprio un fatto di crescita, umana oltre che professionale.

Come funzionava il processo di composizione con cui deste alla luce le varie «Sexy girl», «10/100/1000», «The moon»? E' cambiato qualcosa per far uscire «Mirror on the wall»?
Non è cambiato nulla, abbiamo sempre fatto la stessa cosa: in studio capiamo che tipo di canzone e fondiamo gli stimoli che giungono a tutti i quattro. Nell'ultima canzone abbiamo inserito un rapper, in «Dance now» già anni fa avevamo fatto qualcosa di simile; ripercorriamo così le nostre radici. Possiamo preannunciarti che stiamo preparando un disco che lascerà il segno, sarà fortissimo, dobbiamo solo concluderlo tecnicamente e uscirà a gennaio o febbraio 2014. Ai fans presenteremo tre canzoni del nostro passato, proprio quelle della tua domanda, riattualizzandole ma lasciando quel senso italodance che le rese note. E anche sul fronte live siamo in attesa di sapere mete future; non sono periodo molto floridi per il momento economico, speriamo in bene.

Come vi ponete oggi davanti a pezzi che magari si ricordano meno del vostro passato come «I'm gonna fly», «Memories», «This is», «Another chance»?
In alcune tracce ci riconosciamo, ogni figlio lo ami; diciamo alcune trame musicali, tornassimo indietro, le rifaremmo in altro modo. Anche se poi quell'inesperienza ci fece avere notorietà ed è giusto che rimangano così perché allora quelle sonorità e quelle capacità ci appartenevano.

Uno dei voi aveva fatto uscire sotto il monicker Watt Mangione il pezzo «Gira il mondo» e stava dietro al meraviglioso progetto eurodance anni '90 Exit way; potete parlarmene?
(è Watt Mangione a parlare) Exit way nacque con la collaborazione di Alessandro Iacovone; lo conobbi, lo aiutai in alcune produzioni. Erano i miei primi approcci con la dance, mamma mia quanto ero giovane! Il progetto andò molto bene soprattutto per il singolo «Flyin'in the space», che ottenne un buon seguito; ancora oggi, sentendolo, credo nella sua bontà con quei suoni futuristici, progressivi e quel ritmo decisamente veloce. Sul pezzo «Gira il mondo»: ero un giorno da solo in studio e lo scrissi cercando di raccontare l'estate in modo buffo, leggero e divertente. In Spagna andò molto bene, in Italia qualche radio lo trasmetteva; ha il tipico sound di certa italo di metà anni 2000, anche la cassa, il tipo di sintetizzatori e i vocals sono in pieno inseriti in quel filone.

Cosa vi sentireste di dire agli organizzatori di serate in discoteche italiane? Ritenete abbiano responsabilità di qualche genere nel non diffondere la musica dance nel giusto modo?
Sì, assolutamente. I locali sono concepiti in modo lontano dal concetto europeo; da noi gli impianti qualche volta sono inadeguati, non si dà importanza al dj, occorre accogliere gli artisti in altro modo se si vuole fare le cose decentemente. Spesso ci sentiamo dire che la serata deve essere basata sulla quantità di tavoli ordinati dai clienti, una filosofia completamente diversa dal nostro modo di sentire la musica e il club. Prendano esempio da certi posti all'estero e si stampino bene in testa queste parole: in discoteca si va per ballare. Punto.

Come vi ponete davanti alla differenza di comunicazione che ha imposto l'informatizzazione massiva? Siete critici trovandola fredda o asettica o se ne fate un uso consapevole?
Questo mondo digitale è un vantaggio: una volta, per raggiungere il pubblico, dovevi avere la fortuna di trovare qualcuno che credeva in te. Oggi, se uno ha buone capacità, ha velocemente la possibilità di farsi conoscere. Noi ci crediamo e siamo contenti di interagire con chi ci segue via web; è sempre una questione di adeguamento, non puoi rimanere vecchio, devi catturare i ragazzi di oggi con i loro mezzi.

Nell'ambito dance quali sono i personaggi, artisti e non, di cui avete più stima e con cui vi è un grado di amicizia maggiore?
Con Prezioso abbiamo un rapporto di amicizia e di collaborazione professionale, lo stimiamo molto davvero perché è un genio, è assolutamente il più bravo in Italia da un punto di vista tecnico e sta dietro ai tempi stando avanti agli altri. Poi abbiamo stima di parecchie persone come Luca Zeta, Danijay, non mollano mai, rincorrono sempre i loro sogni. Stimiamo anche gente come Provenzano o Gabry Ponte: possiamo discutere sul loro gusto musicale, ma i risultati danno loro ragione perché in tanti li ascoltano, sono ottimi comunicatori. Ogni musica ha il suo pubblico e non siamo critici verso gli altri; il disco lo fai perché rappresenta la sua anima, non possiamo discutere il percorso di un'altra persona.

Perché in Italia è così difficile trasformare una passione corredata di talento in lavoro? Vi siete mai sentiti chiedere, dopo che avete risposto a una domanda, «Sì... capisco che ti piace mettere i dischi... Ma che lavoro fai in realtà»?
Succede questo perché da noi non c'è una cultura sulla figura del dj. Le masse non concepiscono questa attività come un lavoro perché non c'è la conoscenza di quella che è la costruzione musicale. C'è uno studio dietro alla produzione elettronica, è come fossimo musicisti con gli strumenti veri. Ci sono poi poche persone che intendano investire sulle nuove promesse e molta incompetenza nel mondo della discografia. Ringraziamo invece come uno come Dj Ross, bravo musicalmente e dotato di spirito imprenditoriale, che adesso ha preso in considerazione le nuove cose che stiamo facendo. Per l'inizio carriera ringraziamo Alex Zullo, un bravo produttore italiano che diede una mano a inserirci.