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sabato 1 novembre 2014

HYDE'S SECRET NIGHTMARE: RECENSIONE

Nella classica dicotomia su cui si incardina l'impianto compositivo di Domiziano Cristopharo fra carne e anima, sangue e spirito o scurrilità e aulicità l'elemento corporeo e materiale ha la prevalenza in questo lavoro. Sebbene fra le righe si slancino sottotesti più astratti, il cineasta spinge l'acceleratore sul corpo e su tutte le declinazioni dell'umana natura che lo possano stuprare, coccolare, valorizzare, percuotere.
Il protagonista è un medico affetto da impotenza e con la mente ottenebrata dall'ossessione di risolvere questo problema che gli infama l'esistenza. Dopo vari esperimenti compiuti su cadaveri di giovani donne, elabora un medicamento chimico iniettabile che testa su se stesso. Le nuove vesti in cui si struttura il suo corpo verranno in contato con realtà estreme e peccaminose.
Non dev'essere stato facile in sede di riprese: rispetto ad altri episodi della discografia in cui il numero di attori è esiguo, in questo caso sono diversi i performer chiamati a impersonare
caratteri con una precisa collocazione drammaturgica. Ne consegue un buon polso di tenuta da cui sgorga una coralità a tratti grottesca che non fa mai perdere di vista l'obiettivo. Il pericolo poteva essere rappresentato da una mano troppo armata verso l'ironia, invece i solchi del film sono intrisi di bagnata lascivia seriamente vissuta. Il peccato irrora questo porno/horror in cui erezioni a profusione, eiaculazioni, necrofilia, e amplessi non consueti si fanno ancelle del demiurgo Cristopharo, ossessionato dalle virtù e dalla derive che le potenzialità corporee possono donare materialmente e spiritualmente. Il parco attoriale è non solo ben calibrato ma interessante come unità: accanto ai fidi Yuri Antonosante e Nancy De Lucia, troviamo Giovanni La Gorga, Ventantino Venantini (nie panni di un ispirato e sinuoso barman), Claudio Zanelli, Giovanna Nocetti, Alvia Reale, Adam Ford, Angelo Campus, Giovanni Andriuoli. A giustificare e impreziosire la collocazione comunque hard della pellicola ci pensano due vecchie glorie del porno tricolore come Andy Spider (Andrea Autullo) e Francesco Malcom, oltre a Roberta Gemma. La diva è già stata coinvolta nel circo di Cristopharo in altri episodi e qui appare non solo in tutta la sua avvenenza ma anche non doppiata con il suo accattivante timbro vocale spontaneo a cadenza romanesca.
Talvolta si ha la sensazione che sia stata inserita troppa carne al fuoco e i comparti non vengano incastrati a dovere, ma la venialità del peccato è legittimata dal fatto che l'attenzione dello spettatore è di continuo pungolata da una sinusoide di situazioni, sguardi, inquadrature, personaggi bislacchi. In tal senso il panorama che ne sorge è munifico e prodigo di riferimenti che si lasciano ricordare. Personalmente sono rimasto incantato dalla scena cui partecipa lo stesso regista dei due amanti letteralmente intessuti da ago e filo a trafiggere lembi corporei. E dal pene strappato a morsi e sputato sulla telecamera da una meravigliosa Roberta Gemma; senza contare la sindrome di Lazzaro nell'ambulanza con Spider, i vari boudoir zeppi di dolci parafilie, coltelli nei genitali, lo stesso volto espressivo e grottesco di Spider.
Per sceneggiatura e musiche il regista ha scelto rispettivamente i fidi Andrea Cavaletto e Kristian Sensini (Alex Cimini è autore di un brano) i cui apporti nei rispettivi settori appaiono fornire un robusto slancio.
Preziose e gustosissime le scene poste in mezzo al dipanarsi della sceneggiatura con sprazzi di lucidità e intelligenza: i discorsi su vivisezione, industrie farmaceutiche o la pacatezza della sessualità senile non fanno che caricare di frutti un albero già di per sé generoso.
Quanto alle riflessioni che un'opera tanto bizzarra può indurre, occorrerebbe penetrare nella fervida mente del regista: a spanne si potrebbe riferirsi al rapporto dell'uomo con le proprie inadeguatezze, la spiritualità di altre figure angeliche o diaboliche, le perversioni sessuali e psicologiche come forma espressiva o artistica, la non canonicità come progetto di vita.
Nulla è scontato in Cristopharo, nulla è preordinato, tutto si fa teatro e realtà in un andirivieni di rimandi senza sosta. Il dinamismo la fa da padrone e allo spettatore pare di andare sulle montagne russe in un viaggio per cui hai pagato il biglietto ma di cui alla fine non ti penti nonostante il timore iniziale.
E allora ancora una volta è la società ad essere analizzata, o meglio la dualità fra quest'ultima e l'individuo, prono sui bisogni personali e quelli del gruppo, dalle basse necessità corporali e quelle spirituali più alte. Un uomo, quello di Cristopharo, destinato non trovare mai la pace e l'equilibrio ma sospinto in modo perenne e passionale verso la scoperta di un'identità interiore in barba a convenzioni e format.
Un uomo per cui il regista pare avere una tenera carezza data l'inquietudine con cui convive quotidianamente. Un'apprensione che non si fa scelta ma necessità poiché persegue una natura non convenzionale ergo destinata a soffrire. Una natura comunque pulsante, inevitabile nella sua ferocia che nell'estremo rinviene i semi della felicità. Una natura che cela i “segreti incubi”, che talvolta si fanno calvari personali e albergano dentro tutti noi.
Citando Giovenale: “Questo è il primo dei castighi: nessun colpevole può essere assolto dal tribunale della sua coscienza”.