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giovedì 1 gennaio 2015

BASEBOY: INTERVISTA FRENCHCORE


La situazione è la seguente: hai un amico "normale", abituato alla routine, ordinario e poco aperto alle cose alternative. Non è cattivo eppure ti va di shackerargli il cervello perché in fondo ti sta sulle scatole. Vuoi farlo talmente arrabbiare da farti togliere il saluto? Beh portalo con l'inganno a una serata di musica frenchcore spacciandogliela come innocuo revival e poi stai vedere la sua faccia
quando parte la cassa. Se lui reagisce invece con filosofia ringraziandoti di avergli fatto scoprire un mondo nuovo e tutto sommato gradevole, prendi il tuo amico a braccetto, hai davvero trovato qualcuno di speciale.
La frenchcore è un sottogenere della techno hardcore molto veloce e ritmato proposto all'inizio in Francia, come dice la parola. Basato su una cassa percussiva drittissima e sul basso in levare con bpm (battiti per minuto) compresi fra 190 e 230, si è affermato dapprima nei rave illegali per poi approdare negli ultimi anni nei locali e dare alla luce i primi vagiti commerciali.
Te ne accorgi dell'onda d'urto della french, te ne accorgi e devi essere pronto a sostenerla. Lo vedi dalla gente in pista, totalmente rapita da quella morsa che ti prende alla gola e ti scuote qua e là contro la tua volontà. Un universo tanto estremo e particolare non può che dividere: fra i suoi estimatori vi saranno coloro che sentono solo quello o quelli che lo rispettano pur amando più altro. Certo che negli ultimi anni il nord Italia grazie a un paio di crew e organizzazioni ha imposto un trend decisivo in tal senso andando a conquistare sale in eventi di elettronica pesante importanti, intensificando il numero dei dj set, proponendo djs rispettati e creando produzioni ben visualizzate su internet e ascoltate in un numero sempre crescente di case.
In questa flotta pronta a colpire ben si posiziona Baseboy, dj torinese dall'eloquio salace e dalla spiccata spontaneità che abbiamo incontrato nel backstage dello Spazio A4 club di Santhià (Vc). 
Organizzatori come sempre i ragazzi di Insound, ormai abituati agli eventi che contano. 
Gigi ci ha raccontato con agevolezza di pensiero e senza troppi peli sulla lingua qualcosa in più su questo mondo ormai neanche più tanto sommerso. Con l'umiltà e la ragionevolezza di chi si è impegnato al massimo e sa ironizzare prima di tutto su sé stesso.
Ma anteponendo a tutto sempre la serietà del lavoro.

Signore e Signori, usando una sua espressione ovviamente in chiave ironica, a voi il "messaggero della frenchcore", che potete trovare su www.soundcloud.com/baseboy, www.violentunderground.com,  https://www.facebook.com/EardrumCrusher?ref=hl,

Come ti sei trovato questa notte a lavorare i ragazzi dell'organizzazione di eventi Insound?
E' andata alla grande! I ragazzi di Insound li conosco da poco ma mi sembrano tutti simpatici e appassionati di musica come me, non poteva che andare bene con queste premesse. Quando ti porta avanti la passione puoi fare dei bei risultati; un plauso perché riescono a fare ospitoni soprattutto di hardstyle come questa sera Valerio/Tatanka. Oltre al fatto che è un piacere suonare in una serata in cui calca il palco anche un grande come Piccolo Kimico. Colgo l'occasione di invitare tutti la sera del 31 gennaio, quando sempre con Insound organizzeremo “Voulez-vous frenchcore”, un evento interamente dedicato alla nostra musica. Daremo allo Spazio A4 delle belle badilate, preparatevi perché sarà bellissimo! A Torino allo Chalet abbiamo di recente già fatto qualcosa di simile, è andata bene. La french esiste dal 2000 e adesso sta avendo il primo vero successo dopo tanto sbattimento di noi djs.

Mi stupisce la fetta appassionati e, diciamolo, anche di mercato che la frenchcore si è conquistata nel tempo; anche in grossi eventi italiani e stranieri di hardance la french riesce spesso a conquistarsi un sala apposita. A cosa si deve questo processo?
Questa è una domanda da un milione di dollari. Prima di tutto è merito di chi l'ha spinta fin dall'inizio e noi torinesi in questo possiamo dire di esserci stati in quei tempi. Noi siamo di sonorità hard da sempre, non ci è mai interessata la musica dei club; nel tempo nei club ci siamo poi trasferiti e abbiamo perfezionato una filosofia di serata portandoci gli appassionati del genere. E' stata importante la promozione di noi stessi, non abbiamo mai avuto paura a metterci la faccia con coraggio. Anche internet ha dato una spinta dando la possibilità a tanti di scoprire un genere che prima trovavi ai rave. Per fortuna già in certi Paesi all'estero la nostra musica si è ritagliata una bella fetta di mercato ed è stato bello sapere che uno dei miei fratelli, Sebastian dei The Braindrillerz, sta portando alta la bandiera della frenchcore e dell’Italia in tutta Europa.

Nella tua bio si legge che sei dedito alla filosofia “save the vinyl”; per quanto la tecnologia si sia evoluta tantissimo, il fascino della puntina non scompare mai. A cosa si deve questo tuo amore?
Nasco da lì, nell'era dell'analogico e da lì ho tratto le prime emozioni; la differenza del suono si sente eccome, la puntina è insostituibile e mettici anche la questione del collezionismo. Alla fine chi ama davvero la musica ha spesso avuto il piacere di allestirsi la camera con armadi pieni di dischi. Tenerne uno in mano è già di per sé una soddisfazione e l'acustica ne guadagna molto; chi viene dall'old school come me non potrà mai parlarti in altro modo. Con il computer puoi fare un sacco di cose che con i semplici piatti non ti potevi permettere, ma rimango fedele alla linea. Certo ultimamente sto suonando solo con i cd perché le consolle di una volta non le trovi quasi più; ma se si organizza una serata vecchio stampo, sono già pronto adesso (ride) e anzi i piatti me li sono sempre portati da casa.


Nel 1997 sei stato Londra per la prima volta dove a quanto pare ti sei affacciato a nuovi stili musicali. Ti sarà capitato di riflettere sulla differenza fra Italia ed altri Stati europei in fatto musicale. Cosa ne pensi?
Londra è sempre stata la capitale dell'underground ma a Torino nel 1997 ci difendevamo con classe : c'era un super movimento fra rave party, Ultimo impero con la progressive o altri generi come l’inizio dell’hardcore. In più avevamo la classica caratteristica degli italiani, cioè di essere “party animals”, di fare casino più degli altri; qui sta proprio la differenza: siamo i più caldi!

Di solito i vari dj che intervisto allo Spazio A4 mi dicono il contrario: bannano l'Italia e osannano alcune Nazioni estere.
Diciamo che se parli di organizzazione, certo in altri posti sono anni luce avanti; in Italia è difficilissimo organizzare un evento come fanno loro, che hanno strutture, ideologia, leggi, cultura di organizzare il party. Da noi è sempre terra di nessuno, se hai tanti soldi e agganci allora fai un po’ quello che ti pare, altrimenti è impossibile. All’estero c’è lo stato che finanzia gli organizzatori, ed esiste un circuito di sponsor e di occupati nel settore a livello professionale; i risultati si vedono con feste di proporzioni gigantesche rispetto all’Italia. Ultimamente allo Chalet abbiamo portato più di 1.500 persone e possiamo dire che per essere in Italia è qualcosa di grande. Solo per farti capire la differenza. Ma noi non ci abbattiamo e continueremo a organizzare eventi con la musica che ci piace cercando sempre di migliorare.

Questione rave party: mi piacerebbe sapere il tuo punto di vista sugli illegal.
Ormai sono vissuti in modo diverso da quello in cui sono nati. L'avvento di internet ha pubblicizzato troppo la cosa in canali impropri e nel tempo si è distorto il suo reale spirito.
Penso però che criminalizzare chi va ai rave sia una cosa inutile e l’ennesimo depistaggio dai reali problemi di questa società che sta andando alla deriva a causa del suo modello sbagliato.

Non è che prima ci si faceva per divertirsi invece adesso i ragazzi si fanno tanto per farsi? Una sorta di “depressione chimica autoindotta in modo volontario”?
Sono d'accordo. La questione è culturale e generazionale e non c'entrano né i rave né l'hardcore. Negli adolescenti il problema si nota con l’abuso di qualsiasi sostanza, tante volte fine a se stesso e molto pericoloso. Un altro fallimento del proibizionismo che confina nell’ignoranza e nell’illegalità l’uso di sostanze che esistono dai tempi degli degli egizi, invece di informare e controllare cosa viene immesso nel mercato, con l’unico guadagno di chi la importa (ovvero le mafie di tutto il mondo).

Nell'intervista che gli feci un mesetto fa Claudio Lancinhouse mi disse un aspetto interessante: a suo parere nei generi da lui suonati il giovane è più arrogante del musicista più affermato. Trovo paradossale la cosa, dovrebbe essere in contrario. Qual'è la tua esperienza?
Il dj è di facile costruzione sia musicalmente che come aspetto. Quando eravamo ragazzini noi, i djs erano 2-3 che sapevano davvero mettere mano ai piatti, lo sapevano fare davvero ed erano gli unici. Per questo veneravi gente come Lancini o pochi altri, perché ti portavano in un altro mondo con le loro capacità, erano veri artisti. Oggi alcuni giovani che magari hanno fatto un singolo che è su facebook ti arrivano arroganti; ma questi sono spam, pubblicità. A loro voglio dire questo: la gente la si guadagna con la cassa non con il social network. Non farei però di ogni erba un fascio: c'è anche gente che ti rispetta e sa considerare chi davvero ha fatto la storia come Lancini. Noi intanto lavoriamo e davvero ti posso assicurare che ci facciamo un gran mazzo a diffondere la frenchcore; non posiamo, ci crediamo con tutto il cuore e queste stronzate non ci interessano.

Ho partecipato a qualche serata frenchcore e ho notato che molte volte i ragazzi entrano nel club con amore per quella musica, gran voglia di ballare; insomma scelgono davvero quell'evento e lo sentono dentro in modo assoluto. Ritieni questo un valore aggiunto alla tua scelta di suonare in questo modo?
Questa è la soddisfazione più grande! Pochi come noi hanno creduto fin dall'inizio nella musica amata; l'abbiamo spinta indipendentemente dall'opinione degli altri. Poi il nostro è un genere estremo e richiede gente estrema che sappia apprezzare e dimostrarcelo in pista. Non puoi portare tutti i tuoi amici a una serata french, verrebbero sotterrati dai bpm (ride)! Abbiamo un pubblico ristretto ma molto appassionato, non viene a ballare i nostri set per caso ma perché ci crede. Vedere che la gente ti acclama o che si dimena in modo evidente è qualcosa di magnifico.

Fai parte di Violent underground, una crew che, nata nel 2008, dà spazio ai suoni elettronici estremi con serate a tema e produzioni. Quali sono i prossimi obiettivi in tal senso?
Vogliamo arrivare dove vogliono arrivare quelli che fanno questo mestiere; giungere ovunque e alle orecchie di più gente possibile. Le cose stanno andando bene, Sebastian è in Olanda che fa scintille ma noi non molliamo neanche in Italia; gli eventi continuano, i nostri djs spaccano i dancefloor e le produzioni non si fermano. Siamo una bomba a orologeria e lo dimostriamo in occasione di ogni nostro live. Veniteci a vedere, seguiteci sui nostri canali digitali e soprattutto sappiate che noi siamo qui per farvi divertire e per far avanzare sempre più la nostra amata french.

E' innegabile che la hardcore nel corso del tempo ha trovato maggiore spazio commerciale e consenso in forza di un cambiamento di suono, quanto meno a livello di main style. Personalmente quanto sei disposto a mediare nel tuo modo di essere e di suonare per avere più possibilità di eventi, di notorietà e di cachet?
Un minimo ci può stare, la mediazione fa parte del gioco, ma a questo punto da mediare c'è ben poco. Il nostro genere è quello e continueremo con quello; cercheremo di evolverla ricercando nuove musicalità ma scendere di bpm mai e poi mai. Non posso dare una risposta unica per i miei colleghi, personalmente però ti posso dire che la french è la musica con cui sono cresciuto e quella cui intendo andare avanti. Quindi non mi metterei a fare hardcore main style, mi divertirei di meno e questo si vedrebbe anche da parte di chi mi viene vedere. E' troppo importante il rapporto che si crea con chi ti viene a ballare e io mi sentirei fuori contesto, perso. Invece quando devo far partire una sberla french so esattamente cosa voglio e dove voglio essere in quel preciso momento: esattamente lì dietro alla consolle.

Facciamo un gioco: devi dirmi le tre qualità principali che dovrebbero avere queste tre categorie: il clubber/appassionato, il producer, il direttore artistico dell'evento.
Il clubber: felice di venire alla serata senza scopi malevoli, agitato in pista, sempre presente con noi. Il musicista: acculturato di base, paziente, creativo. Il direttore artistico: in Italia ne abbiamo di vari tipi; per me dovrebbe essere gentile, preciso (la correttezza si sottintende, l'imprecisione causa problemi) e... Ricco, questa l'ho detta (ride)!

Hai poco più di 30 anni e ovviamente sei giovane. Giornali e mondo dei media in genere spesso dipingono il nostro Paese in modo anche troppo negativo; se è vero che la società moderna è piena di problemi, varrebbe la pena di vedere più spesso il lato positivo delle cose. In tutto questo che consigli daresti ai tuoi coetanei per muoversi in questa giungla?
Non è facile andare avanti! Io consiglio di crederci sempre nonostante le porte chiuse in faccia soprattutto adesso in cui c'è una concorrenza degenerativa in tutti gli stili e gli ambiti della vita. E senz'altro appassionarsi davvero, quasi non dormirci la notte per la voglia di fare quella determinata cosa. Provateci sempre, qualcosa salta fuori e, anche se non è tutto quello che volevate, può essere un ottimo risultato.

Il titolo degli Indeep “Last night a dj save my life” è meraviglioso nella sua semplicità. Credi davvero che la musica possa salvare la vita o quanto meno migliorarla?
Assolutamente sì! Io sono uno di quei casi in cui questo titolo è giusto. La musica mi ha distolto da altri tipi di passione non sane; più in generale credo che la musica dia talmente tanto da poter tirarti su dal baratro. A me ha salvato, io voglio salvare tanti altri; chiamami “messaggero della frenchcore” (ride)!