Una voce stentorea, possente ma cristallina scandisce le notti di musica hard fra Torino e Santhià
ormai da tanti anni. Una voce che non si fa mai grido, latrato, ma
accompagnamento rispettoso e incentivante legato al sogno, alla
favola, al racconto di tanti viaggi fatti di «durezza»
frammista a mind tripping, body shacking, unione rituale. Chi si
fregia di tale ruolo è Darko MC, al secolo Fabio Scandre, vocalist
che accompagna i followers di musica hardstyle nelle numerose serate
dell'organizzazione Insound. Dando sempre
l'impressione di tenere in
pugno la situazione sia per il polso della pista che per la gestione
del timbro vocale, Darko entra sempre con la giusta distanza nel mood
della festa, contribuendo a fomentarlo senza opprimerlo con una
presenza troppo marcata. Una scelta precisa che l'ha condotto ad
occupare la residenza di Insound e l'ha imposto come una della voci
storiche della nightlife torinese.
E' evidente tu sia partito come
grande appassionato di musica. Che cosa ti ha spinto a misurarti con
il ruolo di vocalist e a non appostarti per esempio dietro a una
consolle come dj?
La passione per la musica si dipinge in
varie tonalità: ho scelto il ruolo di vocalist perché mi permette
di avere più contatto con le persone e per meglio esprimere quello
che penso rispetto a quanto può permettere un disco. Si ha un
controllo sulla situazione serata non solo vocale e si può cambiare
la situazione in pochi secondi. Proprio in questo mese di febbraio
2013 sono dieci anni che opero in discoteca; mi avvicinai
all'ambiente agli inizi degli anni 2000 facendo il pr in una domenica
pomeriggio al «Goa» di Avigliana (To). Allora venivo dal rap ma una
persona già inserita mi diede una cassetta raccomandandosi di
ascoltarla fino alla fine. Sentii allora questa musica che mi
sembrava tutta uguale con questo soggetto di cui non capivo
l'utilità. Il giorno dopo ci ritrovammo e lui mi disse: «Tu da
sabato prossimo vieni a casa mia e proviamo con il microfono a
lavorare come fa quello della cassetta». Fu gentile, mi comprò il
microfono, cominciammo in taverna, feste private, pub, feste di paese
fino alla discoteca.
Ti sei poi unito a Insound, con cui
collabori anche adesso?
No, all'inizio facevo parte della
concorrenza; sapevo che generi trattavano e che tipo di ospiti
portavano, ma non mi ero mai avvicinato. Con loro siamo al terzo anno
di lavoro insieme, iniziai qualche natale fa con Tatanka; ci fu
l'occasione di parlare con Double C e Marco Demolition per entrare
nello staff. Il resto è storia.
Saprai bene che in circolazione ci
sono persone che, al solo pronunciare il vocabolo «vocalist», sono
colte da convulsioni. In che modo a tuo parere un bravo vocalist
riesce a entrare nel giusto mood della nottata senza invadere? E in
che modo concepisci il tuo essere vocalist?
C'è una bella differenza fra chi lo fa
per passione e chi solo per farsi vedere: se ne vedono tantissimi di
entrambi gli schieramenti. Io appartengo alla prima categoria e
questo significa sbattersi anche quando la serata promette malissimo,
metterci l'anima e, ci fossero solo tre persone nel locale, saperle
coinvolgerle. Un altro modo di comportarsi è non seguire il dj, il
ritmo; quindi fare interventi fuori tempo,
abbassare la musica, tutto per farsi notare. Qualche volta un
vocalist rende meglio in silenzio, capendo che un disco tramettere
meglio di quanto potrebbe fare la voce.
Non ho ben chiaro in generale come
si è sviluppata questa figura nel corso del tempo nell'universo del
clubbing; mi puoi raccontare qualcosa in proposito?
La figura in dieci anni si è
completamente ribaltata: in Italia prima non si poteva pensare a una
festa senza vocalist soprattutto sulla techno, quella che oggi
chiamiamo «remember». La gente era abituata a farsi trasportare e a
farsi raccontare le fiabe da una voce; parlo di Douplé, Ultimo
impero, Dylan e altri locali storici. Oggi questo si è indebolito ed
è cambiato il rapporto con il pubblico, si tende ad andare verso il
party straniero, in cui il vocalist presenta l'artista e poi si
defila limitandosi a pochi interventi mirati. Oggi si tende a
valutare quasi solo il dj, ma alcuni vocalist italiani erano talmente
potenti da essere l'equivalente di un dj.
Il vocalist nasce prettamente in
ambito dance?
Secondo me nasce ovunque qualcuno
voglia intrattenere un pubblico.
Mi incuriosisce quello che ti può
scattare dentro a livello emotivo quando sei alla consolle e vedi
tutta quella gente sotto con le mani alzate verso il cielo. Ho più
chiaro quello che potrebbe provare il dj, ma tu come te la vivi in
quei momenti?
Con un senso di onnipotenza, forza
immensa: immaginare la pista con le mani su e realizzare la cosa
subito dopo è fantastico. E altrettanto fantastico è sentirsi parte
di questo grande spettacolo.
Io non sono particolarmente timido,
ma non so come reagirei se, mentre sto su un palco, la gente sotto rimanesse impagliata e fredda. In quei casi che si fa?
Lì viene fuori la differenza fra chi
sa come intervenire e chi si improvvisa. Ci sono momenti in cui
occorre riempire momenti difficili e fuori programma come un disco
che salta, un calo di corrente, disordini pubblici. Questa è la
bellezza di far funzionare tutto.
Ci sono particolari accorgimenti
che utilizzi per mantenere sempre la voce all'altezza? Ti è mai
capitato di dover salire sul palco senza voce, magari con un po' di
laringite o influenza? Cosa si fa in quei casi sfortunati?
Non mi è mai capitato: in dieci anni mai un calo di voce dopo una serata. Io ho la voce
bassissima, riesco a equilibrarmi con la parlata un po' più forte
senza urlo, quindi non sforzo mai troppo le corde vocali. E' una
fortuna che ho senza avere studiato; qualche volta il mal di gola mi
ha spaventato, soprattutto prima di serate importanti. Ma la tisana
della mamma ha sempre fatto effetto.
Parliamo più in generale:
hardstyle e hardcore, i generi principali delle serate in cui lavori,
hanno subito tanti cambiamenti in questi ultimi anni. Come ti poni al
riguardo?
Non sono molto contento di questi sviluppi: l'hardstyle prima aveva paletti più definiti,
oggi non sono troppo fiero della contaminazione con l'hardcore.
Occorre organizzare serate in cui ci sono entrambe, ma con un divario
ben preciso; in certi casi non mi trovo invece.
Ravviso un diverso gusto musicale: allo
Chalet la gente va più verso il commerciale, è più tranquilla;
sarà per l'influenza di altri generi che di sabato sera impazzano.
Trovo invece a Santhià, ma anche in zona Susa, Vercelli, la tendenza
al suono veramente duro. E questo è interessante notarlo anche nel
pubblico femminile; allo Spazio sono tutti più spietati nel ballo e
nell'attitudine.
Non so abiti proprio a Torino, ma
di certo la conoscerai meglio di me, che ho un'idea sommaria di
questa città. Come giudichi oggi il suo livello civico generale, la
sua vivibilità e le sue possibilità di divertimento notturno?
Si sta muovendo qualcosa in senso
positivo, la situazione è migliore di qualche anno fa. Da un punto
di vista civico ci sono cose che vanno peggio, come alcuni quartieri
periferici, però non mi lamenterei troppo. Si sta dando spazio a
qualsiasi forma di divertimento, una volta ricordo più difficoltà a
trovare la serata giusta.
Stupisci me i miei lettori: non ti
chiedo di farmi dei nomi di artisti e producers hard, ma di altri
cantanti o gruppi di altri generi che segui con passione.
Visto che siamo in periodi
elettorali: che cosa ritieni che la politica nel concreto dovrebbe
fare per favorire l'intrattenimento notturno dei ragazzi?
Nel nostro Paese si parte ancora dal
preconcetto della nonna che ci mettono la droga nella consumazione
per finire nel fatto che tutti spacciano; io so che se una persona la
cerca, la trova, ma se vai solo per divertirti ti diverti e basta. E
questo è valido anche per le risse: non si viene mai picchiati
casualmente. In un clima come questo i politici hanno da promettere
cose ben più importanti del divertimento giovanile; capiscano che i
problemi che vengono sottoposti al genere musicale ci sono ovunque e
non solo nel mondo notturno.