Manuel Le Saux: uno dei capisaldi della musica trance made
in Italy. Ne ha percorsa di strada da
quelle nottate interminabili in un locale lungo e stretto vicino alla stazione
Garibaldi di Milano, il “Cantiere delirio”, in cui per anni e anni si impose
come dj resident dell’organizzazione Trance gate. Molti appassionati lo
ricordano con piacere, con i suoi anelli alle dita, le braccia spaiate ad ali, le
cavalcate musicali sontuose, la simpatia autentica. Oggi Manuel calca i
palcoscenici di tutto il mondo esportando il suo monicker ed ha
inanellato una
lunga serie di canzoni sue e remix. L’ascoltatore attento si renderà conto che
esiste un vero “Le Saux style” a testimonianza che il nostro non si configura
come emulo di questo o quel big ma brilla nel firmamento musicale di armonia e
luce propria.
Il successo non l’ha cambiato: si tratta del Manuel di
sempre, il quale, con marcato accento romano, mi dice: “Questa sera sono tutto
tuo” e mi tratta come fossi suo amico da sempre. Non lo ringrazio solo della
forma poiché Manuel di sostanza ne ha tanta e la frase finale: “Ce ne sarebbero
ancora tante di cose da dire” mi suggerisce la sua essenza di bella persona al
di là delle sette note.
Ecco il risultato di un’oretta di
intervista.
Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando ti si vedeva
con le mani al cielo aizzare i trancers al mitico “Cantiere delirio” di Milano
al Trance gate. Che ricordi hai di quel periodo?
Innanzitutto ricordo la stretta collaborazione con Gianluca
Ferrandu: siamo partiti nel 2005 volendo
portare la trance tutti i mesi in Italia; era un’idea, un sogno nati dal nulla e siamo arrivati
piuttosto in alto. Con Gianluca poi è facile andare d’accordo, una persona
davvero speciale! Il “Cantiere” in sé e per sé non era il locale migliore sulla
piazza, ma iniziammo con 100 persone per poi ospitarne 3-400. L’importante non
è l’eccellenza del club né tanto meno la sua eleganza, ma il clima che si
sprigiona nella serata; e la cosa più bella lì era che ci si ritrovava in un
gruppo di amici. Pensa che un mese fa sono stato a Praga a suonare ed era
strapieno di italiani, alcuni di loro mi seguivano già da quei tempi! A me l’aspetto umano interessa molto e,
nonostante i criticoni e i gelosi a cui non importa la solidarietà, abbiamo
spaccato davvero con quell’esperienza. Ma, credo me lo potrai confermare anche
tu nel tuo lavoro, nel nostro Paese è difficile uscire da logiche di invidia e
cattiveria. Io, all’infuori di gente che stimo come Astuni, Fabio XB o Giuseppe
Ottaviani, vedo gente che non fa che parlar male alle spalle. A me piacerebbe
una scena in cui si è tutti collaboranti senza menate e prime donne; alcune
persone invece, forse perché non riescono ad arrivare in alto, ti piantano le
coltellate alle spalle. Mi spiace dirlo, ma l’esperienza all’estero mi ha
insegnato che abbiamo ancora tanto da imparare.
A proposito di estero, mi ha colpito che poco tempo fa hai
suonato addirittura in Bielorussia.
Ti sorprenderà sapere che a Minsk ho avuto un pubblico
sabato scorso con una risposta incredibile; 6 ore di set passate come l’acqua,
avrei continuato all’infinito. Sei ore a vedere ragazzi strillare, ballare,
saltare, una delle serate più belle che io abbia mai fatto con la gente che
sapeva e memoria le canzoni. Io non sono
un fighetto, sto sempre in mezzo alla gente e mi sentivo ragazzino a 37 anni!
Correva il 2007, se non erro, e uscivi con un pezzo che a
mio avviso ha dato una svolta alla tua carriera: “Lost control”, remix di Steve
Allen, che ancora oggi suona
freschissimo e vincente. Come entrasti in contatto con un grande della trance
come lui e che ricordi hai della canzone?
Steve, che allora cercava di farsi conoscere proprio come
me, mi chiese di fare un pezzo insieme e io gli remixai una sua canzone; se ti
devo dire la verità, credo di avere fatto di meglio e oggi forse per “Lost
control” farei scelte diverse. Come gradino verso una notorietà maggiore ti
citerei “Waterfall”, che suonò Tiesto
per un anno intero, cosa che, come puoi immaginare, mi riempì di orgoglio.
L’errore che poi feci fu di adagiarmi sugli allori: ero entrato nella chart
mondiale dei 150 djs migliori; per anni calai un po’ di consenso ma poi
ricominciai da capo con una nuova rinascita. Non è questione di qualità dei
pezzi ma di supporto esterno ; adesso mi trovo dalla parte di quello che deve
dare il supporto agli altri ed è molto gratificante.
Il tuo episodio che forse preferisco in assoluto è “Roma
airport” con Ferry Tayle: l’ho ascoltata decine di volte sognando ogni volta
come la prima. Mi sono chiesto il perché di questi titolo e che cosa
rappresenti per l’autore l’aeroporto di Roma. Puoi spiegarmelo?
Ferry mi disse che stava realizzando il suo primo album; il
mio aiuto lo indusse a introdurre Roma nel titolo, non ci sono motivazioni
particolari. Il mio remix lo chiamai “at the end” perché ero molto sfiduciato,
giù di morale, ma allora capii che solo il duro lavoro ti porta avanti, non c’è
niente da fare e sentirsi arrivati non può che segarti le gambe. A volte vedo
djs più famosi di me veramente stanchi, io non voglio diventare così; già
adesso torno dopo due serate di fila piuttosto provato. Quando tutto diventa
obbligo, la passione viene meno e io voglio, pretendo di vivere la mia musica e
la mia vita con passione.
Altre canzoni fondamentali per il tuo curriculum a mio
avviso sono la già citata “Waterfall, il cui titolo mi ricorda il capolavoro
“Moon’s waterfall” di Gianni Parrini negli anni ’90, “Season” e “Lost odyssey”.
Salgono e salgono fino a portare l’ascoltatore al massimo dei sensi per poi
esplodere di cassa. Come si sviluppa il tuo processo compositivo?
So che molti colleghi preferiscono partire curando cassa e
basso, io non faccio così: parto dalla melodia, che per me è tutto. Poi dipende
anche dal momento e dagli attimi della vita, ma in generale questo è il modo in
cui vengono in vita le mie canzoni. Lavoro molto in studio, sono abbastanza
metodico e preciso anche perché nella trance tutto deve essere calibrato e
perfetto. Mi metto tranquillo alla tastiera e cerco di trovare delle melodie
che, chiudendo gli occhi, mi possono far sognare.
Il pezzo che remixasti a Paul Miller “Sunny day” ha nel
titolo una delle sensazioni e dei sapori che un genere “solare” come la trance
è in grado di infondere. Qual è il caleidoscopio di umori che tu avverti
appartenendo a questo mondo e, se tu fosse un pittore o uno scultore, qualche
forma daresti a quello che hai dentro?
Mi viene un’immagine angelica, ma soprattutto qualcosa di
magnifico, altissimo, perfetto, maestoso. Io devo avere la pelle d’oca, sentire
le ali, le farfalle, le stesse emozioni di una persona innamorata; se mi si
alzano i peli delle gambe e delle braccia, allora sono una strada giusta. Prima
devo essere soddisfatto io, altrimenti non mi diverto a proporre il pezzo alla
gente. La cappella sistina è un’immagine che mi viene in mente per definire il
concetto di trance music; mi piacerebbe fare il pittore, ma sono una pippa a
disegnare (ride)!
Con “Strange world” hai remixato Push, un progetto non
fondamentale eppure culto per appassionati di certi suoni dance anni ’90. Che
rapporto hai con quella decade?
Io vengo da lì, cominciai nel 1989 a fare il dj e poi nel
1995 diventai produttore; ci sono pezzi bellissimi che ancora mi danno emozione
ma a livello clubbing l’ho rimosso quel periodo. Il pezzo di Push lo rifeci
perché mi piaceva moltissimo e fino al 1999 mi mossi davvero tanto per l’Italia
nelle tante serate fino ad arrivare allo sfinimento in questo tipo di eventi. Il
vero problema non fu la saturazione personale ma l’avere a che fare con gli
italiani; per questo ho rimosso diversi momenti a causa della cattiveria della
gente, poi conobbi la trance e cambiai la strada ma avendo già in mente di
emigrare e provare il grande salto europeo. Approfitto del tuo gentile spazio
per dirti questo: la soddisfazione più grossa è che nel 1998 partecipai a una
serata in centro Italia in cui c’erano tutti i big dell’epoca, ero giovane; a
distanza quasi 20 faranno la stessa serata quest’anno e non mi hanno chiamato.
Con la differenza che questi djs romani falliti, ti prego di sottolineare
nell’articolo l’aggettivo falliti, sono rimasti lì mentre io li guardo
dall’Europa. Presuntuoso? Non so, credo più che altro giusto e realista.
Lo scorso anno il traguardo di un album tutto tuo a nome
“First light”; immagino sia soddisfacente griffare un intero cd con il proprio
nome. Raccontami la genesi del progetto,
se sei del tutto soddisfatto del risultato finale e che aspettative ti sei
fatto al riguardo.
E stata una goduria disumana, nata tutta per gioco. Il capo
della mia etichetta mi chiamò proponendomi di creare un vero album tutto mio e
all’inizio rimasi un po’ in ansia per dover mettere insieme tutte mie canzoni,
io che più spesso mi ero dato ai remix di altri. La cosa bella è che è stato
molto apprezzato, ho partecipato anche una serata a New York per presentarlo.
Non potevo chiedere di meglio e sto già lavorando al secondo; a giugno starò
tutto il tempo in studio e nel 2015 forse uscirà.
Quando anni fa iniziai a sentire i primi vagiti della
progressive house e della EDM la prima cosa che pensai fu: “Quanto fanno il
verso alla trance questi suoni!”. Lì per lì rosicai anche da buon ascoltatore
di trance, perché i vari Avicii, Sebastian Ingrosso, Swedish house mafia o
Alesso stavano sbancando il mercato arrufianando il pubblico con suoni creati
da artisti come voi. Sei d’accordo? Ti piace quel movimento?
Non mi piace per niente e più che progressive house lo
chiamerei “modo facile per fare soldi”; non mi interessa quella filosofia. Io
sono d’accordo che la gente debba arrivare a fine mese ma quella è
spudoratamente una macchina da soldi. Preferisco rimanere underground e avere
casa a Roma piuttosto che vendere il culo per comprare casa a Los Angeles! Io
un po’ ho rinnegato il mio passato ma, come ti ho detto, per motivi diversi dalla
musica; uno come Tiesto invece ha rinnegato proprio lo stile da cui è partito e
che l’ha fatto mangiare per anni. Non lo critico perché mi ha aiutato molto
all’inizio, certo so che oggi ci sono ragazzi con tatuaggi enormi con la
scritta “Tiesto” che oggi vorrebbero levarselo perché il loro beniamino è
diventata un’altra persona!
Una delle critiche rivolte alla trance che talvolta ho
sentito è la ripetitività dei brani: cosa rispondi?
A volte è vero: ci sono tracce che sembrano fatte con lo
stampino. Un produttore famoso mi disse,
sentendo il mio album, che non c’era una canzone uguale all’altra; fu un gran
complimento. Secondo me quella presente nella tua domanda è un’analisi
superficiale di qualcuno che non ha capito il senso della nostra musica. Se tu mi
parli di arrangiamento e di scansione del pezzo allora è così, ma il genere
prevede quello; ogni canzone ha la sua anima comunque e sinceramente dare anima
a ogni singolo pezzo è il mio principale obbiettivo fin dall’inizio.
Hai avuto e hai la fortuna e la bravura di calcare i palchi
di mezzo mondo con la tua musica? Come percepisci che viene considerato il
nostro Paese in tempi di crisi economica e alla luce di tutte le criticità che
ci portiamo appresso da anni?
Ci massacrano: per anni ho sentito la frase “italiano-bunga
bunga”; all’inizio “mafioso/pizza/spaghetti”. Ti dirò, è una cosa che ho
imparato ad accettare anche se un po’ triste ma d’altronde io vado all’estero
per lavorare e divertirmi e non per difendere per forza il mio Paese.
Che rapporto hai con suoni più duri della trance come
hardstyle o hardcore? E con l’hardtrance?
In verità non ho moltissimo tempo di sentire altre cose rispetto
a quelle che produco e suono, quindi non posso risponderti chiaramente. Non è
un tipo di musica che farei e che mi attira comunque; ogni tanto su facebook mi
sento qualche pezzo hardstyle, ma io sono sposato con la trance (ride). Non
conosco nessuno di quella scena a parte Zatox; e, forse ti stupirà, ma non sono
per niente ferrato neanche di hardtrance. Due cose te le posso dire però: bene
o male tutti vanno a prendere dalla trance per le melodie ariose, a parte la
techno in cui è tutto groove; inoltre, girando l’Europa, so che l’hardstyle sta
ottenendo un successo fortissimo, ci sono party con decine di migliaia di
persone.
Non è il tuo caso ma capita a più di una persona che per un
certo periodo della sua vita assaggia il successo. Perché a tuo parere, a
parità di affermazione, qualcuno rimane se stesso coltivando come un tempo
conoscenze e non variando troppo il carattere e altri si sentono su un altro
pianeta camminando a due metri da terra?
Nel 90% dei casi il cambio di carattere dipende dalle
persone che lavorano intorno alla persona e non alla persona stessa. Io ho
conosciuto gente simpaticissima e umilissima agli inizi ma poi gli agenti li
hanno rovinati; chi ti sta intorno pensa solo al guadagno e, dopo un paio
d’anni che ti sfruttano, magari ti danno una pedata nel culo. Il mio agente è
italiano e sono felicissimo di averlo; posso dire senza falsa modestia di
essere rimasto uguale a prima, mi sento solo uno che mette i dischi, non sono
il papa. Il mio profilo facebook lo gestisco io, non ho intermediari.
Sei l’esempio di come si possano raggiungere ottimi
traguardi; non ti conosco personalmente ma la tua storia mi interessa e ti
chiedo come ciascuno di noi si può liberare dai condizionamenti di passato,
cultura e formazione per abbracciare davvero la propria natura?
Andare via dall’Italia; i miei non mi hanno mai supportato
ma è bello che adesso si vantino che il figlio gira il mondo per lavoro.
Bisogna avere tanta pazienza perché niente è facile nella vita; dipende dagli
obiettivi che uno si pone e comunque è sempre meglio non voler avere fretta. Io
dopo 25 anni sto ottenendo un po’ di successo, più paziente di me! Alcuni non
possono proprio avere la possibilità materiale di raggiungere i sogni però;
dietro ogni persona c’è una storia e non possiamo giudicare.