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lunedì 13 gennaio 2014

DJ STEPHANIE: INTERVISTA HARDSTYLE




A vederla volteggiare dietro a una consolle con gonna e tacchi non si immaginerebbe la sua passione per la musica hardstyle, un settore molto “maschio” per definizione data la sua durezza. Questo naturalmente a volume spento… Sì, perché quando gli speakers cominciano a eruttare basso e cassa, gli intendimenti di Stefania Alessi, in arte Dj Stephanie, risultano lampanti anche a un pitecantropo. Cresciuta già in tenera età
con l’ossessione per le sette note, un carattere arrembante e le idee chiare l’hanno resa quello che è oggi, ovvero una delle valchirie della musica hard più conosciuta in Europa. Di origine venete, la nostra non si è fermata alla dogana tricolore, ma, guidando un panzer ben carrozzato, ha percorso ad ampio chilometraggio l’Europa stampando a lettere roventi il suo nome sui flyers degli eventi che contano un po’ per tutto il vecchio continente.
Abbiamo fatto qualche chiacchiera con lei nella notte di natale allo Spazio A4 di Santhià (Vc), in cui i fortunati followers hanno beneficiato come regalo sotto l’albero elettronico di un suo dj set. 

Ente organizzatore Insound di Torino, da anni in prima linea quando occorre condurre ai livelli di eccellenza il connubio fra artisti musicali e logistica di un evento.

Una figura di spicco delle tue radici artistiche a quanto pare fu tuo padre, allora dj e organizzatore di eventi. Quanto ti ha dato e che sensazione avevi nel valutare che lui facesse un lavoro tanto diverso dai genitori dei tuoi coetanei?
Per me lui era già un mito da bambina; è difficile trovare un padre che di mestiere fa il dj, più facile un elettricista, che ne pensi? Dalle mie parti era un idolo capace di portare avanti generazioni e generazioni di ragazzi. Si muoveva con un camion con una consolle mobile in eventi estivi; puoi immaginare quanto mi affascinava tutto questo. Il mio gioco preferito erano i giradischi prima dei cartoni animati, ma in quinta elementare fregavo le cassette techno portandole a scuola e facendo un piccolo business. Io volevo fare il lavoro di mio padre e a 14 anni ho comprato il primo vinile.

Non è un mistero che Dj Activator ha rappresentato una fonte di ispirazione e di sostegno all’inizio della tua carriera. Cosa ritieni ti abbia insegnato sotto il profilo professionale e umano?
M’ha portato nel mondo dell’hardstyle, che comunque conoscevo nascendo come dj techno; ero amante del sound più cattivo e conoscere Manuel è stato fondamentale. Avevamo amicizie comuni che mi parlarono di lui come capace di inserirmi in una strada niente male chiamata “estero”. Ero una ragazzina intraprendente ed entrai in breve tempo in Activa records senza conoscere nemmeno come fosse fatto un computer. Andavo in studio con lui e mi insegnò moltissimo; iniziai poi a portare delle piccole idee, melodie che insieme a lui prendevano forma canzone. Mi ha anche dato fiducia nei miei mezzi; pensa alla scena di una giovane donna che se la fa addosso dalla paura in una consolle di un grosso evento europeo…

Se tu fossi un artista (pittrice, scultrice, scrittrice), cosa rappresenteresti per descrivere le sensazioni  che ti nascono dentro mentre suoni davanti a un pubblico preso bene?
Una domandona! Le emozioni non è facile descriverle. Ieri sera non riuscivo ad addormentarmi pensando che nel giro di una settimana avrei suonato davanti a 18 mila persone; la tremarella c’è sempre anche se impari a gestirla grazie all’esperienza. L’ultima ora prima del set è quella più difficile; l’artista vuole dare il meglio di sé e, quando vai su, devi vincere. Mi studio la pista e cerco di essere più professionale possibile, ma siamo umani e fa parte di noi questa tensione pre show. Ecco, per rispondere alla tua domanda, rappresenterei qualcosa legato a questo.

Lo stile di vita connesso all’hardstyle o anche all’hardcore vengono da qualche anno ostentati in video e canzoni stesse come nella tua “Groovin’to the beat”; ma in cosa coincide esattamente questa way of life fatta di grande masse di gente che danzano, sorrisi, cuori con le dita?
Questa non è la classica intervista, mi metti in difficoltà (ride), fammici pensare…

Look e aspetto per te sono componenti studiate a tavolino per creare consenso?
Essere donna aiuta, essere bella aiuta, essere le due cose ti prendi delle belle bordate. Devo essere sincera, io ho lottato molto per affermarmi: ti vedono come un progetto, m’hanno definita “barbie girl della consolle”. Con i social network arrivi a conoscere bene l’artista, ma prima me ne sono sentita dire di tutti i colori compresi gli insulti. Io sono quella che vedete in consolle, a volte vado a fare la spesa con il tacco 12 e non me ne frega niente. Nel mondo hardstyle la donna è vista non in modo positivo e la bellezza devi gestirla ingoiando dei gran rospi. Ho lavorato in una radio e ho visto vari settori musicali; mi proposero di suonare con il seno fuori, li ho mandati a quel paese. In Italia vinci anche solo scendendo a questi compromessi, anche se poi di musica non te ne intendi. Tacco e minigonna per me valgono come jeans e Alla stars, sono sempre io e l’importante è la mia musica.

Hai proposto una versione hard di “Komodo-Save a soul” di Mauro Picotto e di “The  power of love” di Frankie goes to Hollywood; dando per scontato un tuo attaccamento alla techno/dance anni ’90 e all’elettro pop anni ‘80, cosa ritieni quel filone avesse di più rispetto al più variegato universo danzante moderno?
Preferisco da un lato la vecchia musica, però adesso come adesso l’hardstyle si sta evolvendo sempre più, ci sono produttori di cui ho massima stima. Arrivo dall’early, dalla progressive e la raw non è il mio genere, la vedo come quell’intermezzo che non mi soddisfa. La hardcore, magari ti stupirà, ma mi piace molto.

Più parlo con artisti di vario genere e più sento dire che in Italia è difficile fare gruppo per via di un sentimento diffuso e pericoloso: l’invidia. Sei d’accordo? E, se sì, attribuisci a ciò la difficoltà a scrollarci di dosso tabù e carenze organizzative a livello di eventi e marketing?
L’invidia è una brutta bestia; a me fa male vedere organizzazioni che si fanno la guerra. In un momento di crisi dobbiamo essere una forza unica, non siamo in ambiente house che ha un sacco di terreno. Dove vogliamo andare in questo modo? Staremo sempre nel piccolo! 

Parlare male e focalizzarsi sull’aspetto negativo delle cose sembra essere diventato il tratto distintivo dell’uomo medio; andiamo controcorrente e dimmi qualcosa di bello del nostro Stato, qualcosa per cui vale la pena di rimanere qui.
Il cibo, il caffè, mare-montagna-lago. Basta. Se mi metto a parlare di politica e società, faccio un casino (ride). Purtroppo questo Paese è diventato negativo; io giro l’estero e, quando racconto quello che lascio allo Stato delle mie serate, i manager si mettono le mani nei capelli e non ci credono. Welcome in Italy!

In cosa ritieni che il mondo della notte, e nello specifico quello hardstyle, abbia patito, se ha patito, per via della crisi economica?
In Italia vedo un decadimento così come in Francia, dove un locale ha chiuso a settembre prima che io facessi la serata. Anche in Germania club che tenevano la bellezza di migliaia di persone hanno chiuso i battenti. In Olanda, soprattutto nel periodo estivo, è incredibile vedere quanti festival organizzano! Per esempio al Qlimax, dove il biglietto, quanto costerà, 70 euro, c’è comunque un rientro economico; il livello artistico è molto alto, la logistica è tenuta in modo impeccabile, perché un fan non dovrebbe muoversi anche dai Paesi stranieri o dall’Italia? Crescono organizzazioni come funghi lì o anche in Belgio, dove ci sono eventi davanti ai quali rimango io stessa a bocca aperta. E di questo ne risentono gli altri locali in altre Nazioni, perché Olanda e Belgio sbaragliano la piazza. La crisi economica fa il resto. 

Parliamo di quote rosa: allargando il discorso alla società intera, ritieni che l’entrata delle donne ai posti di comando sia soltanto premessa di propaganda politica o effettivo cambiamento del nostro Paese?
E’ così mai il maschio vuole comandare ancora, l’ho visto ovunque, di lavori ne ho fatti tanti ed è sempre così. L’uomo è orgoglioso e, anche se tollera la presenza di donne come colleghe, per le posizioni che contano non concepisce di essere scavalcato.

Non credi che il sistematico e furioso parlare da parte degli organi di informazioni di casi di violenza sulle donne non faccia altro che creare allarme sociale e porre preconcetti verso gli uomini stessi?
Purtroppo sento tante donne vittime di uomini; non faccio solo la dj ma anche educatrice dell’asilo nido che lavora con bambini, famiglie e psicologi e la violenza è una realtà che sale sempre più. I media dovrebbero abbassare i toni comunque e i telegiornali, se non parlano di quello, parlano di politica, che forse è una violenza ancora maggiore. 

Platone sosteneva: “La musica è la parte principale dell’educazione perché il ritmo e l’armonia sono particolarmente adatte a penetrare l’anima”. Quanto è spirituale il tuo rapporto con le sette note? Riesci davvero ad avere questo contatto con la parte più interiore di te o le vive semplicemente come sfogo, professione e divertimento?
Lo metto anche nelle tracce che produco: le melodie sono fondamentali! Quando viaggio in aereo e osservo i tramonti, mi scatta qualcosa dentro che poi si trasforma in musica. Questa è la mia vita, la passione e il mio lavoro vivono con me.