Mi avete letto in ...

venerdì 26 ottobre 2012

E LA VITA CONTINUA

Regia: Abbas Kiarostami
Anno: 1992
Durata: 91'
Genere: drammatico 

Voto: 9
 
Trama:
1990, Iran. Un violentissimo terremoto ha dilaniato il nord dello Stato e il regista che aveva girato «Dov'è la casa del mio amico?» (Farhad Kheradmand) parte con il piccolo figlio (Buba Bayour) a bordo di una scalcagnata Renault gialla alla ricerca dei bambini che avevano recitato come attori al suo film.

Recensione:
Pochi registi come Abbas Kiarostami sono in grado di esprimere un vastissimo ventaglio di suggestioni con una narrazione minimale, asciutta e un approccio che lambisce il documentario. Quest'ultima inclinazione esce frantumando letteralmente lo schermo da «E la vita continua», secondo capitolo di
una trilogia cominciata con «Dov'è la casa del mio amico?» (1987) e terminata con «Sotto gli ulivi» (1994). E sta al cinefilo raccogliere questi frantumi, che, esattamente come le macerie del terremoto iraniano, esprimono, si fanno diamanti preziosi e chiavi interpretative della realtà.
In questo che a tutti gli effetti appare un road movie si ritrovano molti presupposti del lavoro antropologico, con il gusto di scovare volti, frasi, punti di vista dal di dentro, ovvero appartenenti al mondo stesso interessato da un fenomeno. E così le facce corrucciate di chi ha perso famigliari e si è visto distrutta la casa esplodono nelle mani di Kiarostami, il cui alterego viaggia su una vecchia auto dalla carrozzeria malandata e si insinua tra le pieghe del dolore.
Ma, aspetto assolutamente interessante, il nostro non ritorna da questo pellegrinaggio addolorato, poiché si imbeve di una vitalità, di una voglia di ripartire, di un attaccamento alla vita che dà un significato alle cose. Come interpretare se no la magnifica scena del dialogo con l'uomo che sta imbastendo un'antenna perchè tutta la comunità possa vedere la partita dei mondiali di calcio. E'vero che spazi di divertimento possono cozzare contro un lutto societario, ma è ancora più vero che appunto «la vita continua» e i mondiali si svolgono solo ogni quattro anni. O la stimolante frase per cui l'uomo capisce il valore della vita solo quando muore, quasi a dire che durante il cammino dell'esistenza diamo troppo per scontato troppe cose, troppe comodità.
Il regista è ossessionato da uno stimolo nei dialoghi con la gente del posto (da notare che si tratta dei veri abitanti di quelle lande): «Raccontami, dimmi com'è andata». Un'urgenza dunque a sapere, con lo sfondo dei classici paesaggi dove una vegetazione rigogliosa attornia strade senza asfaltatura e case erette con materiali leggeri. Kiarostami sposa ancora una volta il campo lungo come metodo preferenziale di ripresa, ma non disdegna primi piani. E da sottolineare anche i rimandi a «Sotto gli ulivi» con l'anticipo della scena oggetto di riprese cinematografiche e l'attore che reciterà nel suddetto lavoro. E ancora una volta altri topoi della sua arte: le voci che parlano da lontano senza che si inquadrino i visi, la storia in bilico fra realtà e finzione, un finale che si presta a sviluppi successivi e non troppo delineato.
E come non pensare al ruolo del bambino, il quale tra l'altro recita benissimo: lui, così a digiuno dei fatti della vita, che viene portato in un luogo in cui certi fatti della vita risultano pesanti. Il piccolo fa il bagno in una realtà terribile, ma è necessario che sappia come siano andate le cose e che sviluppi anche lui con i locali un'empatia umana, una compassione, una compartecipazione. Gli stessi sono dipinti con tutto il coraggio possibile; sono rimasti nonostante il cataclisma, non sono fuggiti come altri, rimangono radicati laddove il destino o meglio dio ha deciso di infliggere loro qualcosa di orrendo. Ma vanno avanti, «la vita continua» e ci si imbatte nel film a scene di gruppo in cui ciascuno svolge un lavoro a beneficio di tutti.
Kiarostami costruisce un'opera stupenda che rimane impressa nella testa per giorni e giorni; le musiche di Vivaldi incrementano il pathos che si respira, mai smaccato ma sempre discreto, composto e rispettoso.
Come il suo cinema, che lo eleva a status di poeta.