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giovedì 26 febbraio 2015

DJ GINGER: INTERVISTA


“Il Comandante”: non il soprannome di uno stratega impegnato in tecniche militari ma il modo in cui fra gli appassionati del genere viene conosciuto Dj Ginger, uno che praticamente ha lavorato con tutti dagli inizi degli anni '90. Autore di qualche singolo, ha percorso palmo per palmo le Regioni italiane
portando alla gente non solo dj set arrembanti ma un'attitudine bella “old school”, da persona della vecchia guardia. E in effetti basta stringergli la mano e guardarlo negli occhi per scorgere in quell'espressione uno che ne ha viste molte. Affabile, garbato e ancora appassionato nonostante l'età non più verdissima, dimostra la consueta disponibilità umana della vecchia generazione a parlare senza filtri, con umiltà e spirito di unione che alcuni colleghi più giovani oggi non sentono dentro. Negli ultimi anni ha scelto di non seguire il carrozzone dell'new hardstyle concentrandosi sul far rivivere ai ragazzi sapori e melodie delle radici di questa branchia dell'elettronica. Il suo background si imbeve di progressive, ma non di progressive house bensì di quel sound anni '90 che ha colorato i sogni a occhi aperti di tanti clubber.
Lo abbiamo raggiunto allo Spazio A4 club di Santhià (Vc) per una lunga chiacchierata.
Questa volta anziché "sorbirvi" la mia intervista, sarà il caso di "assorbirla".
Parola di Ginger.

Come ti sei trovato a lavorare questa notte con i ragazzi dell'organizzazione Insound?
Li conoscevo già, avevo lavorato già a Cigliano al Due; poi ci trovammo alla Crociata dello Chalet e mi chiesero se volevo venire a suonare, ovviamente ho accettato volentieri. Sono persone che sanno dove vogliono andare e i risultati danno loro ragione. Questa notte ho fatto un set remember, qualcosa che si poteva sentire qualche anno fa; i loro eventi sono interessanti perché si può miscelare e proporre a chi viene cose anche diverse.

Negli anni '90 sotto il tuo nome sono uscite diverse produzioni che oggi si possono definire “remember” ma che allora parlavano di techno, progressive e trance. Che cosa c'è davvero oggi da “ricordare” di quel tipo di concepire la musica e cosa hanno ancora da dire oggi sonorità di quel tipo?
Farei un distinguo: se adesso l'hardstyle o il remember rimangono generi di nicchia, la vecchia techno progressive anni '90 fece il botto; pensa che riuscivo a fare anche quattro club in una sola notte, prendevo accordi fra località vicine soprattutto in Emilia Romagna, questo per dirti quanta gente era interessata al fenomeno. Il genere di oggi è più duro, diventa difficile arrivare a quei risultati mentre con la progressive raccoglievi persone molto diverse che amavano le atmosfere da viaggio e melodiche. Oggi ha ancora senso suonarla se c'è la serata a giusta a tema anche perché ha prodotto molte tracce che spaccano ancora adesso.

La tua biografia è molto ricca di riferimenti che ti vedono collaborare in tante esperienze e in tante vesti. Produttore discografico, dj, portali web, televisioni musicali; si direbbe tu sia un personaggio molto eclettico artisticamente. In quale ruolo ti senti più a tuo agio e sei così eclettico anche nella vita privata?
Nella vita privata credo di essere una persona normalissima, poi ognuno ha il suo metro di misura sul concetto di normale. Per il resto mi hanno definito “Il Comandante” e porto avanti con quello spirito tutte le cose che faccio. Tuttora collaboro in dischi e situazioni varie, compilation e ho un po' limitato altro perché credo di più nelle serate, me le sento più addosso.

Il tuo esteso curriculum ti vede esibirti negli anni sia in club medio piccoli che in grande eventi come le love parade. Descrivimi le sensazioni che hai dentro quando ti esibisci in contesti così diversi.
Sono una persona che sente tantissimo le energie sia quelle negative che positive, sono praticamente una spugna che assorbe tutto. In un evento grosso hai un assorbimento grosso, questo è ovvio ma sai, dipende dalla risposta della gente; possono anche essere solo 300 che danno più soddisfazione di 5 o 10 mila. A quel punto scelgo tutta la vita il piccolo club con il calore! Allo Spazio A4 e allo Chalet i ragazzi sono sempre presi bene, adesso che non venivo qua era un anno e mezzo; Torino l'ho fatta dal 2000 dal Parashar e lo Shock, negli ultimi anni mi sono concentrato su altre Regioni.

Tu tra l'altro sei di Reggio Emilia ma non si sente mentre parli quella provenienza... Sarà una questione di assorbimento anche linguistico in altre parti d'Italia.
(ride) Quando ogni settimana stai in contesti diversi ovvio che anche senza accorgertene non ci stai più dentro! Altri mantengono molto la cadenza delle radici perché non assorbono.

Sembra la pubblicità di un Tampax!
(ridiamo).

Nel corso del tempo sei venuto in contatto con i nomi più alti dell'elettronica alternativa italiana; dimmi qualcuno di cui hai reale stima e con chi hai stabilito un rapporto umano di vera amicizia?
Qua in Italia ho lavorato praticamente con tutti, conosco l'80% degli artisti compresi quelli house; io suono con il vinile di solito, non stasera, ma di solito sì e questo aiuta a entrare in contatto. A livello di amicizia nel nostro Paese non c'è la cultura, si va sul perbenismo ma, anche se ho tanti amici con cui bere un caffè o fare una cena, alla fine non racconterei dei fatti privati a molta gente in questo settore. Si fa fatica, c'è invidia, competizione, all'estero è diverso: il panorama olandese non l'ho vissuto ma ti parlo di Germania, Svizzera, Austria, Love parade, Street parade, rave vari. Lì c'è proprio unione fra artisti: pensa a Richie Hawtin o Sven Vath che cercano di collaborare perché crescendo uno cresce automaticamente l'altro. E' cambiato il meccanismo: prima il direttore artistico ti chiamava per la serata, adesso c'è un amalgamare di situazione e personaggi e per molti è difficile lavorare. E' un bordello, ci sono antipatie, intermediari; il peggioramento è in tutta la società, c'è menefreghismo ed egoismo.

Nel 2009 hai fatto uscire come Ginger Kommander il pezzo “Old school” (a cui si aggiunge la saltellante “Danger”), una bella legnata che pur sua base melodica impone un cassa basso veramente tamarro e di altri tempi. Il titolo è un atto d'amore per la “vecchia scuola” a cui sei affezionato e che ti rende orgoglioso?
No, ho ripreso una traccia vecchia con remix, originale del 1998 che andava molto forte. Il lavoro lo feci con Francesco Zeta che uscì con uno pseudonimo, non poteva con il suo nome; Francesco è davvero molto bravo con le produzioni e infatti è ancora sulla cresta dell'onda oggi. Vedi cosa ti dicevo prima, no? Certi pezzi di qualche anno fa funzionano alla grande.

Una traccia come “Elektro tanzen” ti restituisce come artista dedito alle radici della musica hardstyle. Come ti trovi in cui oggi il genere si è aperto delle fette di mercato maggiori di prima, sono cambiate la sua natura e la sua estetica?
Mi ci trovo in queste aperture melodiche, ci stanno; c'erano anche nel vecchio hardstyle anche se molto meno commerciali. Nel set di stasera ho messo qualche pezzo aperto ma non farei mai un intero live in quel modo, trovo che il new style sia troppo tendenza all'hardcore, all'ultima hardcore intendo. I ragazzini di oggi ballano così oggi, è più facile per un dj tenere la pista, la techno di certo è più difficile ma io ormai sono specializzato sul remember e sono conosciuto per questo.

Hai condiviso la consolle con fior fior di vocalist come Mr Fudo, Joshua il Dalai Lama o Roberto Francesconi; che senso ha oggi anni 2015 quel tipo di approccio così particolare alla serata e cosa non dovrebbe fare un vocalist in un evento?
E anche Franchino... Io penso che ok il vocalist ma non in continuo; ho sempre pensato che sia giusto ascoltare la musica, non uno che parla sempre. I nomi che mi hai fatto sono di alto livello e, se non fossero stati veramente bravi, non saremmo qui a ricordarli dopo 20 anni; io ho sempre cercato di dirlo agli organizzatori di non mettermi vicino uno che strilla per tutto il set. Ci sta un intervento ogni 10-15 minuti, punto.

Diversi dj di vecchia data che ho intervistato hanno rilevato una chiara differenza dei ragazzi di oggi rispetto a quelli di 15-20 anni. Una filosofia differente di vivere la le droghe; tu cosa ne pensi?
Per quanto riguarda musica/droga già dai Woodstock c'è sempre stata; oggi quello che ha gravato sulla situazione è che i ragazzi si divertono meno e sopratutto ci si droga allo stadio, nelle piazze, ovunque, è una bruttura tutti i giorni. Io parlo con i ragazzi e non puoi venirmi a dire: “Non ho i soldi per la pastiglia e per scassarmi, quindi non vengo alla serata”. Prima la cultura era diversa: ti facevi il viaggio ma partecipavi all'evento, ci credevi.

La musica di oggi, esattamente come molti altri aspetti della società, è molto più variegata rispetto a prima; se questo da un lato è ottimo per la ricchezza delle proposte, dall'altro c'è dispersione e i ragazzi si identificano più difficilmente con quell'artista o quel genere. Come la vedi?
Questo miscuglio, che è a 360%, dà anche confusione, il che nasce dai fautori della confusione: ci raccontano che Ibiza è minimale quando invece Ibiza da sempre è house, ce la vendono così. C'è qualcuno che detta le mode e la gente, oltre che noi dj, deve starci dietro. Prendi Headhunterz: come si fa a mettere un ragazzino di 16 anni a suonare davanti a 50 mila persone? Il problema è a monte! Io ho suonato anche al Motor show e a San Siro, la meritocrazia non so dov'è finita.

Io sono una persona che ha vissuto vari cambiamenti nella vita; quando mi sento dentro un fuoco e un istinto, non ho problemi a chiudere una situazione e aprirne un'altra. Mi colpisce dunque un artista come te che da tanti anni suona gli stessi generi e bazzica la stessa scena. Dove si trovano le motivazioni per essere sempre all'altezza e felice?
Per me è la gente, vedi che è sempre questione di assorbimento? (ride). Mi hanno scritto su facebook, a cena ho incontrato un gruppo di ragazzi presi bene che mi diceva di aspettare il mio set. Lo senti se le persone ti vogliono bene, ti chiamano, ti invitano; ovvio che sei stimolato in quel modo. Questo calore ti scalda proprio, ti dà morale e ti fa svegliare alla grande per fare questo lavoro ancora dopo tanto tempo. Poi ci sta che io sono stato bravo a riciclarmi; iniziai nel 1991 come professionista e ho passato tante fasi; non è stato sempre facile e di successo e i periodi bui li ho superati.

Qual è il complimento più bello che ti è stato fatto in questi anni di carriera e viceversa c'è stato un momento in cui sei stato sul punto di mollare tutto?
La cosa più bella? La Love parade, ne ho fatte tre: 1999, 2000, 2001. Un milione di persone e pensa che il primo anno che tornai in Italia dopo quell'evento suonai a Rimini non ricordo in che club. Pensa la scena: riviera romagnola, un mare di locali con musica di ogni genere, atmosfera d'estate, cosa potevo chiedere di più? Eppure ero quasi depresso (ride). Il lunedì dopo mi sono tatuato il marchio della Love parade tanto mi aveva emozionato. I momenti brutti: certe volte mi chiedevo se ne valesse ancora la pena; mi dicevo così vedendo l'andazzo generale. Dove mi porta tutto questo? Ma poi le persone ti cercano, è il richiamo della foresta. Io cerco di dare energia dalla consolle, ho preso energia dalla gente. Nei pub e negli aperitivi io non ci vado a suonare anche se mi chiamano: non posso vedere la gente seduta che se ne fotte di quello che fai in consolle. Io arrivo dalla old school, a casa ho vinili di Kraftwerk, Jean-Michelle Jarre, Orbital, The Prodigy. Questo è il mio mondo: passione, interesse per la musica, ragazzi che si muovono.