“Il Comandante”: non il soprannome
di uno stratega impegnato in tecniche militari ma il modo in cui fra
gli appassionati del genere viene conosciuto Dj Ginger, uno che
praticamente ha lavorato con tutti dagli inizi degli anni '90. Autore
di qualche singolo, ha percorso palmo per palmo le Regioni italiane
portando alla gente non solo dj set arrembanti ma un'attitudine bella
“old school”, da persona della vecchia guardia. E in effetti
basta stringergli la mano e guardarlo negli occhi per scorgere in
quell'espressione uno che ne ha viste molte. Affabile, garbato e
ancora appassionato nonostante l'età non più verdissima, dimostra
la consueta disponibilità umana della vecchia generazione a parlare
senza filtri, con umiltà e spirito di unione che alcuni colleghi più
giovani oggi non sentono dentro. Negli ultimi anni ha scelto di non
seguire il carrozzone dell'new hardstyle concentrandosi sul far
rivivere ai ragazzi sapori e melodie delle radici di questa branchia
dell'elettronica. Il suo background si imbeve di progressive, ma non
di progressive house bensì di quel sound anni '90 che ha colorato i
sogni a occhi aperti di tanti clubber.
Lo abbiamo raggiunto allo Spazio A4
club di Santhià (Vc) per una lunga chiacchierata.
Questa volta anziché "sorbirvi" la mia intervista, sarà il caso di "assorbirla".
Parola di Ginger.
Come ti sei trovato a lavorare questa
notte con i ragazzi dell'organizzazione Insound?
Li conoscevo già, avevo lavorato già
a Cigliano al Due; poi ci trovammo alla Crociata dello Chalet e mi
chiesero se volevo venire a suonare, ovviamente ho accettato
volentieri. Sono persone che sanno dove vogliono andare e i risultati
danno loro ragione. Questa notte ho fatto un set remember, qualcosa
che si poteva sentire qualche anno fa; i loro eventi sono
interessanti perché si può miscelare e proporre a chi viene cose
anche diverse.
Negli anni '90 sotto il tuo nome sono
uscite diverse produzioni che oggi si possono definire “remember”
ma che allora parlavano di techno, progressive e trance. Che cosa c'è
davvero oggi da “ricordare” di quel tipo di concepire la musica e
cosa hanno ancora da dire oggi sonorità di quel tipo?
Farei un distinguo: se adesso
l'hardstyle o il remember rimangono generi di nicchia, la vecchia
techno progressive anni '90 fece il botto; pensa che riuscivo a fare
anche quattro club in una sola notte, prendevo accordi fra località
vicine soprattutto in Emilia Romagna, questo per dirti quanta gente
era interessata al fenomeno. Il genere di oggi è più duro, diventa
difficile arrivare a quei risultati mentre con la progressive
raccoglievi persone molto diverse che amavano le atmosfere da viaggio
e melodiche. Oggi ha ancora senso suonarla se c'è la serata a giusta
a tema anche perché ha prodotto molte tracce che spaccano ancora
adesso.
La tua biografia è molto ricca di
riferimenti che ti vedono collaborare in tante esperienze e in tante
vesti. Produttore discografico, dj, portali web, televisioni
musicali; si direbbe tu sia un personaggio molto eclettico
artisticamente. In quale ruolo ti senti più a tuo agio e sei così
eclettico anche nella vita privata?
Nella vita privata credo di essere una
persona normalissima, poi ognuno ha il suo metro di misura sul
concetto di normale. Per il resto mi hanno definito “Il Comandante”
e porto avanti con quello spirito tutte le cose che faccio. Tuttora
collaboro in dischi e situazioni varie, compilation e ho un po'
limitato altro perché credo di più nelle serate, me le sento più
addosso.
Il tuo esteso curriculum ti vede
esibirti negli anni sia in club medio piccoli che in grande eventi
come le love parade. Descrivimi le sensazioni che hai dentro quando
ti esibisci in contesti così diversi.
Sono una persona che sente tantissimo
le energie sia quelle negative che positive, sono praticamente una
spugna che assorbe tutto. In un evento grosso hai un assorbimento
grosso, questo è ovvio ma sai, dipende dalla risposta della gente;
possono anche essere solo 300 che danno più soddisfazione di 5 o 10
mila. A quel punto scelgo tutta la vita il piccolo club con il
calore! Allo Spazio A4 e allo Chalet i ragazzi sono sempre presi
bene, adesso che non venivo qua era un anno e mezzo; Torino l'ho
fatta dal 2000 dal Parashar e lo Shock, negli ultimi anni mi sono
concentrato su altre Regioni.
Tu tra l'altro sei di Reggio Emilia ma
non si sente mentre parli quella provenienza... Sarà una questione
di assorbimento anche linguistico in altre parti d'Italia.
(ride) Quando ogni settimana stai in
contesti diversi ovvio che anche senza accorgertene non ci stai più
dentro! Altri mantengono molto la cadenza delle radici perché non
assorbono.
Sembra la pubblicità di un Tampax!
(ridiamo).
Nel corso del tempo sei venuto in
contatto con i nomi più alti dell'elettronica alternativa italiana;
dimmi qualcuno di cui hai reale stima e con chi hai stabilito un
rapporto umano di vera amicizia?
Qua in Italia ho lavorato praticamente
con tutti, conosco l'80% degli artisti compresi quelli house; io
suono con il vinile di solito, non stasera, ma di solito sì e questo
aiuta a entrare in contatto. A livello di amicizia nel nostro Paese
non c'è la cultura, si va sul perbenismo ma, anche se ho tanti amici
con cui bere un caffè o fare una cena, alla fine non racconterei dei
fatti privati a molta gente in questo settore. Si fa fatica, c'è
invidia, competizione, all'estero è diverso: il panorama olandese
non l'ho vissuto ma ti parlo di Germania, Svizzera, Austria, Love
parade, Street parade, rave vari. Lì c'è proprio unione fra
artisti: pensa a Richie Hawtin o Sven Vath che cercano di collaborare
perché crescendo uno cresce automaticamente l'altro. E' cambiato il
meccanismo: prima il direttore artistico ti chiamava per la serata,
adesso c'è un amalgamare di situazione e personaggi e per molti è
difficile lavorare. E' un bordello, ci sono antipatie, intermediari;
il peggioramento è in tutta la società, c'è menefreghismo ed
egoismo.
Nel 2009 hai fatto uscire come Ginger
Kommander il pezzo “Old school” (a cui si aggiunge la saltellante
“Danger”), una bella legnata che pur sua base melodica impone un
cassa basso veramente tamarro e di altri tempi. Il titolo è un atto
d'amore per la “vecchia scuola” a cui sei affezionato e che ti
rende orgoglioso?
No, ho ripreso una traccia vecchia con
remix, originale del 1998 che andava molto forte. Il lavoro lo feci
con Francesco Zeta che uscì con uno pseudonimo, non poteva con il
suo nome; Francesco è davvero molto bravo con le produzioni e
infatti è ancora sulla cresta dell'onda oggi. Vedi cosa ti dicevo
prima, no? Certi pezzi di qualche anno fa funzionano alla grande.
Una traccia come “Elektro tanzen”
ti restituisce come artista dedito alle radici della musica
hardstyle. Come ti trovi in cui oggi il genere si è aperto delle
fette di mercato maggiori di prima, sono cambiate la sua natura e la
sua estetica?
Mi ci trovo in queste aperture
melodiche, ci stanno; c'erano anche nel vecchio hardstyle anche se
molto meno commerciali. Nel set di stasera ho messo qualche pezzo
aperto ma non farei mai un intero live in quel modo, trovo che il new
style sia troppo tendenza all'hardcore, all'ultima hardcore intendo.
I ragazzini di oggi ballano così oggi, è più facile per un dj
tenere la pista, la techno di certo è più difficile ma io ormai
sono specializzato sul remember e sono conosciuto per questo.
Hai condiviso
la consolle con fior fior di vocalist come Mr Fudo, Joshua il Dalai
Lama o Roberto Francesconi; che senso ha oggi anni 2015 quel tipo di
approccio così particolare alla serata e cosa non dovrebbe fare un
vocalist in un evento?
E anche Franchino... Io penso che ok il
vocalist ma non in continuo; ho sempre pensato che sia giusto
ascoltare la musica, non uno che parla sempre. I nomi che mi hai
fatto sono di alto livello e, se non fossero stati veramente bravi,
non saremmo qui a ricordarli dopo 20 anni; io ho sempre cercato di
dirlo agli organizzatori di non mettermi vicino uno che strilla per
tutto il set. Ci sta un intervento ogni 10-15 minuti, punto.
Diversi dj di vecchia data che ho
intervistato hanno rilevato una chiara differenza dei ragazzi di oggi
rispetto a quelli di 15-20 anni. Una filosofia differente di vivere
la le droghe; tu cosa ne pensi?
Per quanto riguarda musica/droga già
dai Woodstock c'è sempre stata; oggi quello che ha gravato sulla
situazione è che i ragazzi si divertono meno e sopratutto ci si
droga allo stadio, nelle piazze, ovunque, è una bruttura tutti i
giorni. Io parlo con i ragazzi e non puoi venirmi a dire: “Non ho i
soldi per la pastiglia e per scassarmi, quindi non vengo alla
serata”. Prima la cultura era diversa: ti facevi il viaggio ma
partecipavi all'evento, ci credevi.
La musica di oggi, esattamente come
molti altri aspetti della società, è molto più variegata rispetto
a prima; se questo da un lato è ottimo per la ricchezza delle
proposte, dall'altro c'è dispersione e i ragazzi si identificano più
difficilmente con quell'artista o quel genere. Come la vedi?
Questo miscuglio, che è a 360%, dà
anche confusione, il che nasce dai fautori della confusione: ci
raccontano che Ibiza è minimale quando invece Ibiza da sempre è
house, ce la vendono così. C'è qualcuno che detta le mode e la
gente, oltre che noi dj, deve starci dietro. Prendi Headhunterz: come
si fa a mettere un ragazzino di 16 anni a suonare davanti a 50 mila
persone? Il problema è a monte! Io ho suonato anche al Motor show e
a San Siro, la meritocrazia non so dov'è finita.
Io sono una persona che ha vissuto vari
cambiamenti nella vita; quando mi sento dentro un fuoco e un istinto,
non ho problemi a chiudere una situazione e aprirne un'altra. Mi
colpisce dunque un artista come te che da tanti anni suona
gli stessi generi e bazzica la stessa scena. Dove si trovano le
motivazioni per essere sempre all'altezza e felice?
Per me è la gente, vedi che è sempre
questione di assorbimento? (ride). Mi hanno scritto su facebook, a
cena ho incontrato un gruppo di ragazzi presi bene che mi diceva di
aspettare il mio set. Lo senti se le persone ti vogliono bene, ti
chiamano, ti invitano; ovvio che sei stimolato in quel modo. Questo
calore ti scalda proprio, ti dà morale e ti fa svegliare alla grande
per fare questo lavoro ancora dopo tanto tempo. Poi ci sta che io
sono stato bravo a riciclarmi; iniziai nel 1991 come professionista e
ho passato tante fasi; non è stato sempre facile e di successo e i
periodi bui li ho superati.
Qual è il complimento più bello che
ti è stato fatto in questi anni di carriera e viceversa c'è stato
un momento in cui sei stato sul punto di mollare tutto?
La cosa più bella? La Love parade, ne
ho fatte tre: 1999, 2000, 2001. Un milione di persone e pensa che il
primo anno che tornai in Italia dopo quell'evento suonai a Rimini non
ricordo in che club. Pensa la scena: riviera romagnola, un mare di
locali con musica di ogni genere, atmosfera d'estate, cosa potevo
chiedere di più? Eppure ero quasi depresso (ride). Il lunedì dopo
mi sono tatuato il marchio della Love parade tanto mi aveva
emozionato. I momenti brutti: certe volte mi chiedevo se ne valesse
ancora la pena; mi dicevo così vedendo l'andazzo generale. Dove mi
porta tutto questo? Ma poi le persone ti cercano, è il richiamo
della foresta. Io cerco di dare energia dalla consolle, ho preso
energia dalla gente. Nei pub e negli aperitivi io non ci vado a
suonare anche se mi chiamano: non posso vedere la gente seduta che se
ne fotte di quello che fai in consolle. Io arrivo dalla old school, a
casa ho vinili di Kraftwerk, Jean-Michelle Jarre, Orbital, The
Prodigy. Questo è il mio mondo: passione, interesse per la musica,
ragazzi che si muovono.