L'INSOLITO CASO DI MISTER HIRE
Regia: Patrice Leconte
Cast: Michel Blanc, Sandrine Bonnaire, André Wilms, Luc Thuillier
Anno: 1989
Genere: drammatico/noir/giallo
Durata: 75'
Voto: 6,5
Trama:
Che vita
solitaria quella di Mr Hire (Michel Blanc), algido sarto quarantenne
rinchiuso nella propria incapacità di stare con gli altri. La sua
vita riceve una sferzata quando si trasferisce nel palazzo di fronte
al suo una giovane bionda, Alice (Sandrine Bonnaire), la quale gli fa
intravedere le proprie grazie per l'assenza delle sedie. Un gioco
voyeuristico? No, molto di più.
Recensione:
Altro che
regista di commedie! Due anni dopo il fortunatissimo «Tandem», che
lo consegnò agli onori di francesi e non solo, Patrice Leconte fece
uscire nelle sale cinematografiche un'interpretazione del romanzo do
Georges Simenon «Les fiançailles di monsieur Hire». Lo stesso
aveva trovato già spazio al cinema nel 1946 con una pellicola di
Julien Duvuvier chiamata «Panico».
Leconte si
scopre in questo caso non solo creatore di noir/drama, ma anche in
grado di farlo, almeno in parte. Senza far gridare al capolavoro,
«L'insolito caso di mister Hire» appare ricamato alla perfezione da
un punto di vista formale sebbene alquanto freddo in quella
emozionale. Si dirà: il noir per definizione non è certo il genere
del melodramma e del tocco al cuore; eppure la storia del cinema è
costellata di fulgidi esempi in cui le due prerogative si sono
alimentare fino a fondersi nell'eccellenza. Qui non accade e il
«pacchetto» confezionato da Leconte, quantunque sontuoso e
impeccabile, soffre di certa freddezza.
Misuratissima la
recitazione di Blanc, innervata di contegno e proficua rigidità;
Leconte ce lo sbatte in faccia rendendocelo il più antipatico e
asettico possibile questo anacoreta dei rapporti umani, misantropo e
racchiuso in se stesso. E interessante anche la prova della Bonnaire,
che ha poco della femme fatale e sarebbe capace di solleticare le
fantasie di un eunuco. Fra i due si origina un legame tutt'altro che
banale; lei ricerca il contatto con Hire per convenienza (l'uomo ha
visto qualcosa che non avrebbe dovuto vedere), ma poi se ne lascia
attrarre affezionandosi in un rimando di ghirigori psicologici
potenzialmente profondi. Uso questo avverbio poiché è evidente come
Leconte intenda far parlare i silenzi e interloquire con i piccoli
gresti, ma tale tentativo gli riesce solo in nuce. Il film alterna
preziosi momenti ad altri abbozzati, come se l'eloquenza della stasi
rimanesse solamente «in progress».
Ottime
notizie dalla componente tecnica, impreziosita da un serie di
inquadrature pregevolissime, primi piani molto espressivi e una
compenetrazione fra vicende e musica riuscitissima. Al film ha
lavorato niente meno che il compositore Michael Nyman, che
accompagnerà Leconte anche per «Il marito della parrucchiera» e
che vanta in curriculum svariate collaborazioni con Greenway e molti
altri (come «La stanza del figlio» di Nanni Moretti). La scelta è
caduta sul quartetto op.25 in sol minore per violino, viola,
violoncello e pianoforte di Brahms, le cui arie rarefatte si
intarsiano alla perfezione dando i brividi allo spettatore (e
uditore).
Il rischio per un regista, allorché si
impegna a fare emerge gli io insospettabili delle persone è dietro
l'angolo. Vi è la possibilità concreta, qualora non si trovi la
quadra, o di virare verso un eccessivo e lezioso romanticismo (non è
questo il caso), o di dare alla luce qualcosa di sommario (questo è
il caso). In ambi i casi il retrogusto che ne deriva è dolce/amaro e
questi coni d'ombra che si avrebbe l'ardire di mostrare rimangono
troppo «in ombra», confinati in uno spazio che rimane sconosciuto
agli occhi dello spettatore.
In sostanza non si metti qui in dubbio
la professionalità di Leconte, si rilevano i limiti di un lavoro
forse troppo ambizioso e astratto, dove l'elemento giallo c'è, la
tensione anche, ma troppi contenuti rimangono inesplorati. La durata poi lascia un po' perplessi: il film avrebbe potuto essere farcito qua e là di quella "latitanza esplorativa" di cui sopra e appena 75 minuti francamente non paiono sufficienti.