Con orgoglio posso affermare che questo blog con
l’intervista odierna ha raggiunto tre dei quattro “big four” della musica
hardstyle tricolore. Dopo Tatanka e Techoboy, anche Activator oggi penetra in
queste lande digitali; manca all’appello solo Zatox, che spero e credo di poter
avere il piacere di conoscere prossimamente.
In realtà Manuel Tessarollo, questo il nome di
battesimo di Activator, non diviene mero elemento statistico;
lungi dal
rappresentare una tacca sul calendario o oggetto di orgoglio e narcisismo
personale, il nostro si rivela una preziosa scoperta dando vita forse
all’intervista più gratificante in ambito hard da me condotta. Atteggiamento e
piglio di chi è ben conscio del bagaglio che si porta dentro, ha risposto con
pertinenza e vivida passione alle nostre domande dimostrando che chi veramente ama il proprio mondo interiore
contagia l’esterno con brulicante positività.
Il backstage dello Spazio A4 club ha ospitato la
nostra chiacchierata, il cui frutto potete leggerlo poco sotto. Ente
organizzatore, come sempre, Insound di Torino per l’ultimo evento della
stagione prima dell’inizio dell’estate.
A Manuel la
parola dopo un dj set che ha letteralmente frantumato le coronarie dei fautori
dell’hardstyle più acre e debordante.
Come ti sei trovato questa sera con il pubblico
dello Spazio A4 e con l’organizzazione Insound?
E’ stata una serata contro le mie aspettative: vuoi
che era la chiusura vuoi che è arrivato qualcuno che non ha molta possibilità
di andare all’estero a vedermi… Mi sono divertito! Non ho mai troppe
aspettative da una serata italiana, non ci suono spesso qui, ebbi anche due
anni di stacco dal nostro Paese. All’estero mi trovi spesso e non faccio mai in
Italia un set uguale a quello che balleresti fuori dai nostri confini; cerco
sempre di accontentare la pista con cose con il basso in levare. Se parliamo di
Olanda, lì sono aperti a tutto, per assurdo potresti fare un set di soli dischi
nuovi e loro si scannerebbero in pista.
Colpisce “Greta is great”, canzone dedicata, forse
anche insieme a Lullaby, a tua figlia, che tra l’altro omaggi in una ninna su
un tenero video di youtube. Come sei arrivato a concepire una canzone tanto
particolare e quali in generale sono stati i tuoi cambiamenti dopo la nascita
della tua Greta?
Il titolo del pezzo è per assonanza di suoni; i
primi giorni in cui lei piangeva sempre decisi, con l’accordo di mia moglie, di
registrarla. Ne venne fuori un suono tramite i distorsori, il resto l’ha fatto
una fiaba che ci ho costruito intorno; se uno sa l’inglese, capisce che la
bimba piange perché vuole ascoltare della musica hard. Io sono sempre stato
fuori dalla mischia, non ho mai seguito quello che andava per la maggiore; per
bienni è andata bene per altri meno e non perché fosse calato il mio livello di
produzione. Sai, la gente non segue sempre con lo stesso interesse e nel 2010 avvertii
un calo di risposta nei miei confronti per via di subground, l’altro mio filone
che porto avanti come Acti. Molti promoter non capivano più se io fossi venuto
a fare hardstyle o o subground e non mi davano il booking; dopo che si sono
abituati a queste diverse strade, i problemi sono finiti. E poi mi sono
schierato come Activator senza passare come prima da produzioni molto diverse
l’una dall’altra: ora sono raw style. Sull’aspetto umano rispetto a mia figlia
Greta ti posso dire che, dopo un periodo iniziale in cui mi preoccupai per il
cambio di vita, sono entrato in una tranquilla routine; ci fai con piacere
l’abitudine anche perché c’è tanto affetto verso di lei. Anche grazie all’aiuto
dei nonni, riesco a passare magari non più le otto ore in studio ma sì le
cinque/sei e ogni tanto ci porto anche lei. Ora è attirata da tutte le luci e i
pulsanti! La ninna nanna è stata da me scritta mentre lei nasceva; volevo farla
dormire uscendo dalle solite canzoncine e credo di esserci riuscito perché,
ogni volta che la sente, si incanta lasciandosi andare e rilassandosi.
Ti abbiamo visto in varie occasioni collaborare con
vari djs importanti hardstyle: facendo due nomi, mi vengono in mente Zatox
(“Make some noise” e Technoboy “Steam train”). Visto che siete tutti big della
scena tricolore, ciascuno con il proprio stile definito, come si riesce in quei
casi a collegare la voglia di affermare il proprio stile e la propria personalità
e il doverne unire due?
Dipende con chi mi trovo a lavorare: con Zatox
l’intesa è sempre stata istantanea, andiamo abbastanza a memoria; dal 2006
abbiamo fatto quasi un disco all’anno. Lui è un maestro della cassa, io mi
occupavo delle melodie e sono uscite cose ottime; o ci si trovava nel mio
studio o nel suo, mentre “Make some noise”, l’ultimo, ha goduto del passaggio
dei file in modo moderno e digitale. Technoboy ha sposato la causa di subground
e mi propose una collaborazione in un pezzo in cui si riconosce perfettamente
il reciproco stile. Con Tatanka è stato più difficoltoso lavorare: Valerio non
cede facilmente ai gusti dell’altro.
Insieme a Francesco Zeta hai remixato il classico
degli Iron Maiden “Fear of the dark”, che nella vostra versione suona come
“Fear and dark”. Avendo molto frequentato quella scena diversi anni fa, so che
il metallaro medio, quanto meno prima, era intransigente e ortodosso. Cosa
risponderesti se uno di loro ti accusasse di aver stravolto un pezzo puramente
rock?
Lo potrei capire. Mi ci sono trovato a parlare con
rockettari e metallari e ho percepito che di base sono schieratissimi. Quel
disco mi ha fatto patire parecchio appunto per questa attitudine: non trovavo
nessuno che mi prestasse la voce per il cantato. Mi sono poi imbattuto in una
cover band argentina con la cover già fatta: ho chiesto loro di poter prendere
la parte cantata e loro furono gentilissimi a dirmi sì. Lo feci per correttezza
perché legalmente potevo riprendere una cover senza interpellare gli interessati.
Il riff di chitarra si sposava bene in chiave hardstyle e d’altronde era il
periodo dei rifacimenti rock; se ben ricordi, Zany riprese “Nothing else
matter” dei Metallica.
Lo sai che fossi venuto a conoscere la tua versione
a 20/30 anni l’avrei odiata?
Ma sai, è nell’ordine delle cose che a una certa età
si viva con massimo traporto e intransigenza una passione musicale o un sistema
di valori e idee. Anche alcuni ragazzi che sono scalmanati in pista stanotte
allo spazio A4 schifano la house e d’altronde quanti gabber odiano lo stesso
hardstyle!
Due dei tuoi episodi che più preferisco sono
“Supersonic bass” e “The sign”; secondo la mia sensibilità appartengono a
quella frangia di pezzi hardstyle epici e trascinanti un po’ come Kodex –
“Heroes of hardstyle” o Doctor Zot “Only the brave”. Ritieni che questa
capacità della vostra musica di aggregare e far ballare i ragazzi creando un
senso di appartenenza sia una delle sue forze negli ultimi anni?
Io sono legatissimo al genere epico perché ho una
forte passione per la musica classica. “The sign” riprende Beethoven,
“Supersonic bass” invece un pezzi anni ’70; “The sign” è stato il primo disco
che ha dato vita al mio declino, un periodo buio: la gente stava perdendo
interesse per il nome Activator o si aspettava dell’altro. Sono stato il primo
a usare accordi epici nell’hardstyle, questo credo di poterlo dire. E, venendo
alla tua domanda, intuii che quelle atmosfere potevano fare bene al nostro
movimento perché lanciavano e lanciano grandi masse nell’unione e nel
divertimento. I fatti mi hanno dato ragione e infatti oggi i pezzi epici si
sprecano.
Un’altra traccia che mi scuote sempre molto è
“Winter song” che mi ricorda certa ricerca dei particolari di un grande artista
come Frontliner, uno dei miei preferiti nel genere. Che ne pensi della mia
analisi e quali sono a tuo avviso i migliori esponenti hardstyle oggi sul
mercato?
Può essere vero quello che dici: quel disco nasce da
un cantato risalente a molti anni prima che avevo nel pc e non pensato per
l’hardstyle. La trance sognante era finita, decisi di provare a ributtarlo in
chiave hard; se devo essere sincero, passò un po’ inosservato forse perché era
incluso in un ep in cui spiccavano cose decisamente più dure come “Big fat
puncake”. Io sarei molto legato a quel tipo di suono e, credimi, mi pesa non
poterlo più trattare come Activator; ma sono più credibile alla gente come raw
style. Il mio amore per la melodia però è tale che sto pensando di propormi
come ghost producer per qualcun altro; ho idee parcheggiate nel computer e
soprattutto una gran voglia di emozionare le persone. Uno che al momento
potrebbe dar vita a un disco come “Winter song” è Code black per cui provo
grandissima stima; oppure Wasted penguinz. Frontliner? Un grande di certo.
Mi è rimasta impressa anche “Summer breeze”, che ti
vede cavalcare molto l’approccio più sunny, “estivo” appunto che prevale negli
ultimi 2-3 anni nel genere. Come si sposa una canzone del genere come bordate
come “Brutal”, “Sparta” o “From dancefloor to dancefloor”?
Vado anche a periodi e a mood; conta che, se ti dico
che ascolto tutta la musica, non sono come quelli che conoscono tre canzoni in
croce e raccontano questa frase fatta. Io amo tutta la musica e ho prodotto
praticamente qualsiasi genere a parte latino americano. Ho fatto anche un album
di hip-hop italiano.
Come come? Questo proprio mi era sfuggito…
Cantavo io, fu divertente ma, credimi, lo feci senza
sforzi perché sento di avere dentro tantissimi sapori, tantissime emozioni da
portare alle persone. Soprattutto nella prima metà degli anni 2000 amavo
diversificarmi, poi mi concentrai di più su Activator. Da “Winter song” in poi
decisi di darmi solo al raw, dovevo riaffermare la mia figura e vedevo che la
massa mi seguiva su quel frangente; facendo questo come lavoro, devo pensare a
questioni del genere, capisci? Nella dance prima si ragionava a stagioni: a
febbraio si elaboravano dischi freschi per l’estate, ad agosto di pensava già
all’inverno. Nel 1994-’95 certi gruppi portavano i bpm più veloci dell’hardstyle
come Scooter o Digital boy. Nell’hardstyle c’è meno calcolo ma è indubbio che
negli ultimi anni la nostra musica si è molto commercializzata.
E’ risaputo che in questi ultimi anni sia
nell’hardstyle che in tanti generi si producano più canzoni di prima; le (ormai
non più) nuove tecnologie consentono a chiunque di produrre qualcosa. Mi dici a
tuo parere i pregi e i difetti di questa situazione?
Sono contento di questo: ho sentito troppa gente
lamentarsi del fatto che ci si copia l’uno con l’altro. In realtà oggi ognuno
ci si può esprimere; non era una pregio avere disponibili dieci milioni per
comprare attrezzatura o dover conoscere per forza qualcuno ai piani alti che ti
facesse accedere a quella tecnologia e a quel sapere. Oggi è tutto più
giustamente e comodamente democratico e ci si può mettere a pari livello di
partenza sia che tu sia figlio di un capitano di industria che di un operaio.
Non è meraviglioso tutto ciò? Un sedicenne si mette in gioco con un
quarantenne. E comunque non dobbiamo scoprirci ora invasi dalla tecnologia: la
concorrenza delle nuove leve c’è stata in ogni decennio. Ecco, posso dirti che
oggi si fa più fatica a trovare artisti di successo nel marasma di roba che
esce; prima il negoziante ti dava in mano 30 dischi a seconda dei tuoi gusti
musicali, ora sei tu da solo fra youtube o spotify a farti un’idea delle tante
nuove uscite. La gente compra ancora, sembra strano ma utilizza i-tunes e altre
piattaforme di commercio digitale con costanza.
Mi interessa la storia di persone come te che per
lavoro si trovano a girare spesso. Visto che gettare fango sull’Italia sembra
lo spot preferito di tanti italiani, ti va di dirmi qualche aspetto positivo
del nostro Paese che ti fa piacere esportare all’estero?
Non ho nulla da dire contro l’Italia, sono uno di
quelli che porta alta la bandiera fuori dai nostri confini; soprattutto in
ambito musicale credo che non dobbiamo invidiare nulla a nessuno. Se poi la
dobbiamo sempre metterla sull’organizzazione di eventi imparagonabili a certi
Stati esteri come Olanda, Germania o Belgio… Fatemi l’elenco di quanti Paesi al
mondo possono paragonarsi a quei livelli! Il discorso è molto ampio: il
disfattismo e la lamentela sembrano essere gli sport nazionali, non se ne può
davvero più di persone fortunate che però continuano a vedere il male che
abbiamo. Bologna o Torino sono realtà importanti per i suoni hard, lo vogliamo dimenticare? E pensa quante realtà
house italiane importanti dall’estero ci vengono ammirate e noi ce ne
dimentichiamo!
Giorni fa un’importante esponente italiano della
trance music, Manuel Le Saux, mi ha
detto una cosa che, non guardando il vostro ambiente dall’interno, non sapevo.
Mi raccontava che, quando un artista arriva a un buon livello, i manager e i
consulenti intorno a lui gli fanno spesso cambiare carattere facendogli montare
la testa. E’ proprio così?
Potrei essere d’accordo ma non so se questo dipenda
solo dal manager; ho conosciuto persone che si sono montate da sole la testa,
quindi sta tanto anche al carattere individuale. Restando al nostro ambiente,
ho spesso sentito parlare male di uno che è arrivato e poi osannarlo! Io sono
sempre rimasto me stesso, non è una frase fatta e possono confermartelo un po’
tutti; questo forse non mi ha aiutato e sai perché? Perché per la gente è bello
vederti come irrangiungibile; se invece sei troppo frendly, alla fine diventi
come loro e perdi smalto. E’ un po’ come se dicessero: “Guarda, Activator che
viene a berci una birra con noi! Guarda invece Brennan Heart come è distante,
lui sì che se lo può permettere!”. E’ anche questione di quanto sei conscio
delle tue potenzialità: ho l’impressione che alcuni se la tirano perché con
l’arroganza devono mascherare insicurezze e ansie da prestazione, soprattutto
quelli che passano come mezzi geni e poi i pezzi se li fanno scrivere da altri.
Io credo di essere nato per stare nella musica e mi viene naturale, non devo
sforzarmi e mi piace condividere questa dote con gli altri; se poi loro mi
apprezzano, tanto meglio, ma non posso basarmi solo sul consenso esterno.
Se tra qualche anno ti arrivasse una proposta
indecente ma che profuma di successo e denaro: abbinare il nome Activator e
sonorità che vanno per la maggiore in cambio di una bella paccata di euro (un
po’ come ha fatto Tiesto dandosi alla progressive house). Cosa risponderesti?
Penso che lo farei. Dopo anni di questo lavoro devi
concretizzare; se fossi da solo, sarebbe una cosa ma con una famiglia devo
pensare anche a chi voglio bene. Farei comunque una musica che ha la mia
impronta; Tiesto ormai non fa più musica, mette il suo nome su musica che gli
piace. Io non vorrei mai arrivare a quel punto; non voglio criticarlo perché ha
dimostrato nel tempo di avere un fiuto assoluto per il business, ma non risponde
alla mia idea di vita quella.