Nella classica dicotomia su cui si
incardina l'impianto compositivo di Domiziano Cristopharo fra carne e
anima, sangue e spirito o scurrilità e aulicità l'elemento corporeo
e materiale ha la prevalenza in questo lavoro. Sebbene fra le righe
si slancino sottotesti più astratti, il cineasta spinge
l'acceleratore sul corpo e su tutte le declinazioni dell'umana natura
che lo possano stuprare, coccolare, valorizzare, percuotere.
Il protagonista è un medico affetto da
impotenza e con la mente ottenebrata dall'ossessione di risolvere
questo problema che gli infama l'esistenza. Dopo vari esperimenti
compiuti su cadaveri di giovani donne, elabora un medicamento chimico
iniettabile che testa su se stesso. Le nuove vesti in cui si
struttura il suo corpo verranno in contato con realtà estreme e
peccaminose.
Non dev'essere stato facile in sede di
riprese: rispetto ad altri episodi della discografia in cui il numero
di attori è esiguo, in questo caso sono diversi i performer chiamati
a impersonare
caratteri con una precisa collocazione drammaturgica.
Ne consegue un buon polso di tenuta da cui sgorga una coralità a
tratti grottesca che non fa mai perdere di vista l'obiettivo. Il
pericolo poteva essere rappresentato da una mano troppo armata verso
l'ironia, invece i solchi del film sono intrisi di bagnata lascivia
seriamente vissuta. Il peccato irrora questo porno/horror in cui
erezioni a profusione, eiaculazioni, necrofilia, e amplessi non
consueti si fanno ancelle del demiurgo Cristopharo, ossessionato
dalle virtù e dalla derive che le potenzialità corporee possono
donare materialmente e spiritualmente. Il parco attoriale è non solo
ben calibrato ma interessante come unità: accanto ai fidi Yuri
Antonosante e Nancy De Lucia, troviamo Giovanni La Gorga, Ventantino
Venantini (nie panni di un ispirato e sinuoso barman), Claudio
Zanelli, Giovanna Nocetti, Alvia Reale, Adam Ford, Angelo Campus,
Giovanni Andriuoli. A giustificare e impreziosire la collocazione
comunque hard della pellicola ci pensano due vecchie glorie del porno
tricolore come Andy Spider (Andrea Autullo) e Francesco Malcom, oltre
a Roberta Gemma. La diva è già stata coinvolta nel circo di
Cristopharo in altri episodi e qui appare non solo in tutta la sua
avvenenza ma anche non doppiata con il suo accattivante timbro vocale
spontaneo a cadenza romanesca.
Talvolta si ha la sensazione che sia
stata inserita troppa carne al fuoco e i comparti non vengano
incastrati a dovere, ma la venialità del peccato è legittimata dal
fatto che l'attenzione dello spettatore è di continuo pungolata da
una sinusoide di situazioni, sguardi, inquadrature, personaggi
bislacchi. In tal senso il panorama che ne sorge è munifico e
prodigo di riferimenti che si lasciano ricordare. Personalmente sono
rimasto incantato dalla scena cui partecipa lo stesso regista dei due
amanti letteralmente intessuti da ago e filo a trafiggere lembi
corporei. E dal pene strappato a morsi e sputato sulla telecamera da
una meravigliosa Roberta Gemma; senza contare la sindrome di Lazzaro
nell'ambulanza con Spider, i vari boudoir zeppi di dolci parafilie,
coltelli nei genitali, lo stesso volto espressivo e grottesco di
Spider.
Per sceneggiatura e musiche il regista
ha scelto rispettivamente i fidi Andrea Cavaletto e Kristian Sensini (Alex Cimini è autore di un brano) i cui
apporti nei rispettivi settori appaiono fornire un robusto slancio.
Preziose e gustosissime le scene poste
in mezzo al dipanarsi della sceneggiatura con sprazzi di lucidità e
intelligenza: i discorsi su vivisezione, industrie farmaceutiche o la
pacatezza della sessualità senile non fanno che caricare di frutti
un albero già di per sé generoso.
Quanto alle riflessioni che un'opera
tanto bizzarra può indurre, occorrerebbe penetrare nella fervida
mente del regista: a spanne si potrebbe riferirsi al rapporto
dell'uomo con le proprie inadeguatezze, la spiritualità di altre
figure angeliche o diaboliche, le perversioni sessuali e psicologiche
come forma espressiva o artistica, la non canonicità come progetto
di vita.
Nulla è scontato in Cristopharo, nulla
è preordinato, tutto si fa teatro e realtà in un andirivieni di
rimandi senza sosta. Il dinamismo la fa da padrone e allo spettatore
pare di andare sulle montagne russe in un viaggio per cui hai pagato
il biglietto ma di cui alla fine non ti penti nonostante il timore
iniziale.
E allora ancora una volta è la società
ad essere analizzata, o meglio la dualità fra quest'ultima e
l'individuo, prono sui bisogni personali e quelli del gruppo, dalle
basse necessità corporali e quelle spirituali più alte. Un uomo,
quello di Cristopharo, destinato non trovare mai la pace e
l'equilibrio ma sospinto in modo perenne e passionale verso la
scoperta di un'identità interiore in barba a convenzioni e format.
Un uomo per cui il regista pare avere
una tenera carezza data l'inquietudine con cui convive
quotidianamente. Un'apprensione che non si fa scelta ma necessità
poiché persegue una natura non convenzionale ergo destinata a
soffrire. Una natura comunque pulsante, inevitabile nella sua ferocia
che nell'estremo rinviene i semi della felicità. Una natura che cela
i “segreti incubi”, che talvolta si fanno calvari personali e
albergano dentro tutti noi.
Citando Giovenale: “Questo è il
primo dei castighi: nessun colpevole può essere assolto dal
tribunale della sua coscienza”.