Il regista Mauro Stroppa |
Cinema e arte: tante le declinazioni,
le sottigliezze, le possibilità di godimento. Ve n'è una pregevole,
preziosa, nutriente, che li eleva all'olimpo delle invenzioni
mirabolanti e che, sia detto a chiare lettere, consegna al fortunato
possessore di sensibilità intellettuale le chiavi per aprirlo
quell'olimpo. Talvolta una pellicola rimanda a temi più astratti e
allora ben
venga il cinema quando si fa lussuoso pretesto per ambire
a raccontare, a ingenerare un ragionamento, oltre che naturalmente
un'emozione.
Il corto di Mauro Stroppa, giovane
attore romano
giunto al secondo capitolo dietro alla macchina da presa dopo «Un gioco da grandi» del 2011 (con l'attore Emanuel Bevilacqua), dimostra di avere compreso tale lezione e dà alle stampe una riflessione sotto forma di commedia circa sessismo, maschilismo, femminismo, emancipazione femminile, competizione, corteggiamento. Insomma una vasta gamma di suggestioni dipanate con buon polso e inventiva per 10 minuti abbondanti e condotte dal ruolo di prim'ordine di Antonio Petrocelli, performer di lusso per Stroppa che, vantando un'illuminata carriera decennale, ha inanellato collaborazioni con Moretti, Mazzacurati, Luchetti, Nuti, la Cavani, oltre a teatro e televisione. Altra «gemma» dell'intero lotto è Roberta Gemma, forse conosciuta da certuni come Roberta Missoni, professione pornodiva ma con qualche zampata nell'ambito cinematografico non propriamente hard come la presenza in tre film del regista Domiziano Christopharo, video musicali e comparsate in televisione. A giudicare dalla sua figura nel presente cortometraggio si direbbe che Roberta possa provare a passare al di là della barricata del porno, non per forza affrancandosi da tale settore, ma integrandolo con il cinema tout court.
giunto al secondo capitolo dietro alla macchina da presa dopo «Un gioco da grandi» del 2011 (con l'attore Emanuel Bevilacqua), dimostra di avere compreso tale lezione e dà alle stampe una riflessione sotto forma di commedia circa sessismo, maschilismo, femminismo, emancipazione femminile, competizione, corteggiamento. Insomma una vasta gamma di suggestioni dipanate con buon polso e inventiva per 10 minuti abbondanti e condotte dal ruolo di prim'ordine di Antonio Petrocelli, performer di lusso per Stroppa che, vantando un'illuminata carriera decennale, ha inanellato collaborazioni con Moretti, Mazzacurati, Luchetti, Nuti, la Cavani, oltre a teatro e televisione. Altra «gemma» dell'intero lotto è Roberta Gemma, forse conosciuta da certuni come Roberta Missoni, professione pornodiva ma con qualche zampata nell'ambito cinematografico non propriamente hard come la presenza in tre film del regista Domiziano Christopharo, video musicali e comparsate in televisione. A giudicare dalla sua figura nel presente cortometraggio si direbbe che Roberta possa provare a passare al di là della barricata del porno, non per forza affrancandosi da tale settore, ma integrandolo con il cinema tout court.
Roberta Gemma |
In un'aula di sociologia sperimentale
un professore (Petrocelli) tiene una lezione sulla capacità da parte
di un maschio di conquistare una donna: la trattazione è rigorosa,
vengono enucleate tre fasi operative, ma l'attitudine scientifica ed
empiricamente verificabile, insieme al verboso discorrere degli
studenti, viene interrotta dall'arrivo di una procace studentessa che
sovverte ogni equilibrio (la Gemma ovviamente).
Stroppa sa il fatto suo; qualche
leggerezza in fatto di direzione dei giovani attori (alcuni dei quali
sono poco incisivi nell'eloquio) non gli fanno smarrire la solidità
di un lavoro a tutto tondo; al termine si ha l'impressione che il
messaggio arrivi, che il dado sia tratto, risultato ottenuto. A
Petrocelli è sufficiente un volto dai tratti somatici buca-schermo
di default per connotare in brevissimo tempo il suo ruolo e la Gemma
fa subito simpatia con un timbro vocale accattivante e la cadenza
assai laziale già all'arrivo in scena.
Sprazzi di intelligenza narrativa
permettono al regista di dipingere il mutamento di prospettiva
davanti a un aggraziato corpo femminile, la meschina (ma si guarda il
tutto con un sorriso compartecipato) competizione fra i maschiacci,
la caducità del tanto sbandierato auto controllo e la frantumazione
dei piani iniziali. Tanto parlare, tanto darsi un tono con il rigore
scientifico (apprezzabile in tal senso l'applauso al prof dopo il
pistolotto sul «seme del consenso» impiantato in una donna), ma
davanti alla realtà tutto frana e la tronfiaggine si sgonfia come un
canotto bucato.
Antonio Petrocelli |
Chissà che Stroppa non abbia voluto
riflettere anche sull'esteriorità ostentata della moderna società
italiana e non; l'immagine allora diventa esplosiva, motivo di gioia
ma anche viatico di ansia da prestazione. Una bella donna, quantunque
oggetto di desiderio e in grado di sovvertire gli equilibri di un
gruppo (di lavoro, di amici, ecc.), può metaforizzare l'aggressiva
ricerca di perfezione, performance, esagerazione che le persone oggi
vivono qualche volta in modo ansiogeno.
Stroppa si è occupato, oltre che della
regia, anche della produzione; montaggio a cura di Francesco
Chiatante per questo lavoro molto diverso dal precedente «Un gioco
da grandi», dotato di un registro maggiormente drammatico e poetico
al contempo. Ambedue peraltro condividono quella simbologia di cui
sopra, quella capacità variopinta del cinema di rimandare a ben
altro, ad elementi più elevati, meno carnali ma ugualmente pulsanti.