IL PADRE DEI MIEI FIGLI
Regia: Mia Hansen-Love
Cast: Louis-Do de Lencquesaing, Chiara Caselli, Alicede Lencquesaing, Alice Gautier, Manelle Driss, Eric Elmosnino
Anno: 2009
Durata: 106'
Genere: drammatico
Voto: 7
Trama:
Gregoire
Canvel (Louis-Do de Lencquesaing) è un produttore cinematografico
alla guida della piccola ma alacre Moon films; lavora come un
forsennato mantenendo una vivida passione anche a discapito della
moglie Sylvie (Chiara Caselli) e delle tre figlie (tra cui spicca la
perspicace Clemence - Alice de Lencquesaing). Ma la sua personalità
istrionica e il suo idealismo portati all'eccesso determinano il
fallimento dell'azienda e una montagna di debiti da saldare. Gregoir
decide di suicidarsi.
Recensione:
Mia
Hansen-Love (nel suo curriculum dei ruoli in produzioni di Olivier Assayas), classe 1981, sa esprimere molto con la classica giusta
misura del cinema francese. Lo si vede in questo che
è il suo
secondo film (il primo «Tout est pardonné» risale al 2006) e nel
successivo «Un amore di gioventù». Interessata ai piccoli-grandi
sentimenti delle persone comuni, fa delle storie di vita ordinarie il
suo focus di interesse rendendo lo spettatore alquanto partecipe e
vicino ai destini dei suoi personaggi.
«Il
padre dei miei figli» è pellicola incentrata sull'elaborazione del
lutto, ma anche su altro. Il primo obiettivo viene centrato in modo
pertinente e si noti come non si indulga sull'esasperazione della
sofferenza né tanto meno sul pietismo strappa-lacrime per aprire gli
orizzonti invece a una narrazione compita, in punta di piedi. E c'è
di più: la pellicola risulta molto vitale sia nella prima parte
(quando Gregoire è in vita) che nella seconda; i famigliari si
tuffano in varie faccende, soprattutto la moglie e la figlia maggiore
Sylvie e fra loro si alimenta un istinto di conservazione dinamico.
E
anche un cieco si renderebbe poi conto della componente «cinema nel
cinema»: il lavoro del produttore viene scandagliato per filo e per
segno, non solo da un punto di vista operativo ma anche da quello
emotivo. E allora Gregoire (incarnato da un bravissimo, carismatico e
buca-schermo Louis-Do de Lencquesaing) sanguina passione per le
relazioni con i committenti, le ansie delle distribuzione in sala, la
raccolta fondi per le spese. Questo amore per il lavoro rappresenta
un valore aggiunto che fa empatizzare con chi ama il cinema al di là
questo film. E gongoleranno gli appassionati e gli addetti ai lavori
del cinema indipendente, dei percorsi artistici poco battuti,
dell'anti-Hollywood. Qui si ritroverà quella fatica propria di chi
persegue una strada personale al di là delle mode e dei contatti
altisonanti.
In
tal senso è opportuno evidenziare che la regista si è ispirata alla
figura realmente vissuta di Humbert Balsan, produttore
cinematografico morto suicida nel 2005 in seguito all'affondamento
della propria casa di produzione. La Hansen-Love lo ha davvero
conosciuto un anno prima del gesto estremo e si sarebbe dovuta far produrre questo lavoro proprio da lui.
Queste
componenti elevano questo «Il padre dei miei figli» grazie a un
intrinseco valore morale sempre più attuale in tempi in cui
realizzare un film si bilancia su un paradosso: tutto sommato la
tecnologia consente anche agli amatori di mettere in digitale
un'idea, ma la scarsità di finanziamenti, la pigrizia dei produttori
e la standardizzazione delle proposte fanno rimanere molte idee pur
valide in cantina.
Il
film brilla comunque di luce propria: la Hansen-Love non è una
virtuosa e lo si vede da un regia senza picchi e intuizioni
particolari. Eppure sa come costruire una buona sceneggiatura
forgiando un ritmo che non smarrisce mai il bandolo della matassa.
Non si troveranno qui scene madri, l'opera va gustata nella sua
interezza e possiamo anche dire che ciò costituisce un limite. A
volte pare non succeda molto e alcune componenti rimangono
sfilacciate, ma vi è una precisa identità di cui cui va dato merito
alla giovane cineasta.
Inoltre
la semplicità della macchina da presa corre a braccetto con la
spontaneità dei volti e delle inquadrature. Esattamente come la
volontà di rendicontare di sentimenti frugali, normali, di gente
comune.
Film
del premio speciale della giuria «Un certain regard» al festival di Cannes 2009.