Un nome di punta capace di sviluppare
il genere techno-hardcore in Italia? Non pochi citerebbero Piccolo Kimico. In circolazione dai primi anni '90, ha suonato nei più
importanti hard club, con la residenza al notissimo Number one e la
partecipazione a innumerevoli eventi. Abbiamo fatto due chiacchiere
con lui nel backstage dello «Spazio A4» di Santhià (Vc), locale in
cui ha suonato nell'area kore in un evento organizzato dalla Insound.
Come sei venuto in contatto con loro?
«Conosco questi ragazzi da più di
dieci anni, ci collaborai per delle serate al «Due» di Cigliano
(Vc) anni fa; sanno fare il loro lavoro e i grandi nomi che portano,
oltre alla
quantità di ragazzi che fanno arrivare, la dicono lunga».
quantità di ragazzi che fanno arrivare, la dicono lunga».
Per la cronaca, nella serata hanno
svolto un dj set anche gli olandesi Noise Controllers nella main room
hardstyle.
Kimico già nei primi '90 metteva
techno, ma l'innamoramento per l'hardcore non tarda a giungere
impetuoso.
«Arrivavano dall'estero questi dischi
con la cassa più accelerata, allora non si poteva parlare di
hardcore, ma di techno più robusta. Ricordo momenti meravigliosi in
cui si andava a comprare i vinili nei negozi, uno spirito nuovo
nasceva sia nella musica sia dentro di me. Così ho cominciato a
proporre quelle sonorità nei locali e l'accoglienza fu da subito
buona».
Kimico ravvisa delle nette diversità
circa l'approccio del pubblico di allora rispetto a quello attuale.
«Sembra strano, ma quei dischi nuovi
facevano tendenza, si apprezzavano più di adesso; la gente capiva
che quelle bombe andavano come treni all'impazzata ed erano fatti con
il cuore. Non serviva la hit, i ragazzi si fidavano della qualità
che i dj proponevano».
Si legge in queste parole una
differenza anche nel ruolo di dj in vent'anni.
«Assolutamente sì: prima aveva un
ruolo importante, lo si rispettava perché azzardava le proposte e
dettava una strada in fatto di gusti da seguire. Oggi noto che molti
ballano per lo più quello che conoscono, mentre prima venivano
apprezzate di più le novità».
Senza contare che la stessa hardcore ha
subito molti cambiamenti da allora; e il commento in merito
è chiaro come sole.
«Io non so nemmeno più se
considerarlo un genere alternativo: prima si puntava tutto sulla
cassa, oggi il suono è sempre aggressivo, ma dal 2000 sono spuntate
melodie e pause prima impensabili. Io suono anche questo new style e
lo faccio ancora con grande passione, certo che rimpiango un po' i
vecchi tempi in cui sono cresciuto».
L'avvento di internet ha poi sovvertito
molti equilibri nella vita di tutti noi e anche nella musica.
«Certo e ti dirò che da un lato è un
bene perché i più giovani possono avvicinarsi al mio genere, ma
dall'altra parte la commercializzazione non fa sempre bene. E le case
discografiche utilizzano a piene mani la rete per produrre canzoni
spesso con lo stampino, su un modello che sanno funzionare. Io che
sono della vecchia scuola a casa ho uno studio bello carico in cui
provo le tracce prima di suonarle nei locali; mi pare invece che
alcuni dj giovani oggi facciano questo con le casse pc da 40 euro».
Qualche nome che a tuo parere ha
rappresentato molto per l'avanguardia hardcore italiana degli inizi.
«The stunned guys certamente, ma anche
Claudio Lancinhouse e Cirillo; questi ultimi due furono i primi a
suonare produzioni della Rotterdam records in grandi platee».
Kimico, che riceve la stima di molta
gente per la perizia tecnica e la capacità di sviluppare debordanti set
spacca dancefloor, in sede live alterna vinili e digitale in un mix
incendiario. Del 1998 la sua unica produzione personale dal titolo
«Bass station». Lui che spesso ha veduto i ragazzi dimenarsi con
incontenibile adrenalina nei pit, come valuta i preconcetti verso di
loro?
«Ogni persona è da prendere come
singolo; uno, prima di essere un gabber, è un essere umano complesso
e con tante sfaccettature. La tuta dell'Australian, la cresta o i
piercing non fanno di qualcuno un criminale o un drogato. I club
fighetti house, dove sicuramente la gente è vestita meglio, non sono tanto migliori di quelli in cui suono io. Io comunque sono del tutto contrario sia alle droghe
sia a chi dà un cattivo esempio e cattivi modelli per i nostri
ragazzi».
E dei rave party cosa ne pensi?
«Se intendi gli illegal, allora
capisco che si tratta del posto in cui avviene il massimo sfogo per
la gente. Sono combattuto, è un tema sempre difficile da trattare:
oggi lo Stato mette dei paletti molto tosti per esercitare la
professione di dj o ai locali stessi, quindi i raduni illegali
diventano quasi un modo per sfogarsi contro queste regole esagerate.
Detto questo, mi spiace che alcuni ragazzi lì facciano uso di
sostanze stupefacenti, è inutile negarlo, tutti sanno che è così».
Un'ultima curiosità: a cosa di deve un
nome d'arte come «Piccolo kimico»?
«E' un nome di fantasia che dura da
una ventina d'anni: sono sempre stato un grande sperimentatore in
fatto di tecnologia».
Ringrazio Kimico in quanto si è
dimostrato squisito, disponibile e umile in maniera rara. Si dice
spesso questo quando si viene in contatto con artisti noti al
pubblico, ma in questo caso ammetto di essere rimasto paradossalmente
imbarazzato dal suo atteggiamento composto e rispettoso.
E ringrazio Christian Icaro e Fabio
Phoenix di Insound per avermi consentito quest'intervista.