Seconda parte del reportage sul
cortometraggio «Un gioco da grandi».
Il vostro blogger si è divertito a
porre alcune domande al regista Mauro Stroppa, il quale ha risposto
con profondità e gentilezza di cui mi compiaccio e per cui lo
ringrazio.
01. Come ti sono
venuti in mente il plot e l'idea per il corto?
Influenzato da un certo cinema di
Takeshi Kitano («Hana bi», «L’estate di Kikujiro»), mi piaceva
l'idea, in quanto prima regia, di mettere in correlazione un adulto
con un bambino, raccontare un pomeriggio fra
due individui apparentemente diversi, per età, caratteristiche fisiche e carattere, ma in realtà con molto in comune. Il plot invece nasce da un quesito abbastanza comune nellambito recitativo, che l’attore pone normalmente a sé stesso quando si prepara ad affrontare un personaggio: «Cosa accadrebbe se..?» (il «sé» e le «circostanze date» – metodo Stanislavskij).
due individui apparentemente diversi, per età, caratteristiche fisiche e carattere, ma in realtà con molto in comune. Il plot invece nasce da un quesito abbastanza comune nellambito recitativo, che l’attore pone normalmente a sé stesso quando si prepara ad affrontare un personaggio: «Cosa accadrebbe se..?» (il «sé» e le «circostanze date» – metodo Stanislavskij).
02. Il corto mette in correlazione certo filone sociale con quello di
genere (a me sono venuti in mente «Cani arrabbiati» di Bava e «Il ladro di bambini» di Amelio): sei d'accordo? E, se sì, in che senso rende
questa duplicità?
Si,
è così (fra l’altro sono un estimatore di Riccardo Cucciolla).
Senza svelare nulla (per chi non l'avesse visto) e senza voler
calcare troppo sul "di genere", diciamo che quest'ultimo è la
cornice ideale per raccontare qualcosa che va sul sociale. Che non
volevo palesemente ostentare ma solo descrivere con naturalezza,
poiché spesso con “sociale” si parla di malattie, gravi sintomi
o disturbi. Elementi che però, drammaturgicamente, vanno spesso a
sovrastare il plot stesso e quindi a snaturare l'essenza del corto,
trasformandolo in uno pseudo “spot pubblicitario” .
03. Quello
che colpisce molto è l'incontro/confronto fra Bevilacqua e la
piccola attrice esordiente: lui con volto con una storia scavata
dentro e una voce secca, lei con volto angelico e i modi teneri. Era
tua precisa scelta questa differenza di prospettive?
Assolutamente,
era una scelta miratissima. L'apparente «burberosità» e presenza
non sempre rassicurante di Emanuel in contrasto con la dolcezza, il
candore e la purezza della bambina. E'stato divertente, nelle prove e
durante le riprese, vederli interagire: così diversi, provenienti da
due mondi distanti, ognuno con la propria sensibilità, contaminarsi
l'un l'altro.
04. Come
ti sei imbattuto in Emanuel?
Emanuel l'avevo visto nel film cult
«L’odore della notte», poiché sono un estimatore di Claudio Caligari e amo particolarmente Valerio Mastandrea come attore. Ad
ogni modo ho cercato di rintracciarlo. Quando finalmente e
inaspettatamente scorgo un suo profilo su facebook e gli scrivo. Non
avevo ancora in mente l'idea a dire la verità –maggio 2011-, ma
Emanuel si dimostrò già allora disponibile e ci scambiammo i
contatti. Poi un mese e mezzo dopo, verso fine giugno, lo ricontattai
per combinare un incontro e ci incontrammo in quel di Ostia (location
fenomenale per il corto).
05. Ho letto che il corto origina da
un'esperienza teatrale con bambini; me puoi parlare?
Sì, il corto nasce da un'esperienza
teatrale ma soprattutto scolastica con i bambini. Mi son ritrovato a
fare da insegnante di teatro (in realtà era una mansione di
babysitting con intrattenimento) in una classe di prima elementare a
Roma in orario pre-pomeridiano. Come Arnold Schwarzenegger in «Un poliziotto alle elementari» ho iniziato a prendere confidenza col
mondo infantile, fatto di codici propri. Dall'orario mensa fino alle
16:30 fra musica, risate, disegni, giochi e ogni tanto qualche
rimprovero, ho avuto la possibilità di studiare le dinamiche dei
bambini, ma soprattutto i loro caratteri. In alcuni di questi era
presente anche una piccola componente di solitudine, dovuta forse al
bistrattamento di qualche genitore, in favore dei mille impegni
lavorativi.
06. Parlami dell'atmosfera sul set;
come hai ottenuto la naturalezza con cui si esprime la bambina?
Innanzitutto c'è da dire che Giorgina
(nomignolo affettuoso coniato da me) l'ho conosciuta a luglio sul set
di «Distretto di polizia 11», dove faceva una comparsa e in cui io
recitavo come attore. Mi aveva colpito il suo sorriso, lo sguardo e
la solarità, oltre che la sua scaltrezza, assolutamente indipendente
dal carattere dei genitori, persone squisite e per nulla irrequiete,
come lei invece è. Volendo puntare molto sulla naturalezza della
recitazione, giorni prima delle riprese ho fatto incontrare Emanuel
con Giorgia e assieme abbiamo provato le battute botta e risposta e
lì stesso ho «direzionato» Giorgia, facendole capire come
esprimere ora delusione e amarezza, ora entusiasmo e affezione.
Considerando che non hai recitato, cioè pronunciato battute, mi sono
semplicemente affidato alla sua spontaneità, che ha reso
magistralmente, considerando che quando girammo aveva solo otto anni
e mezzo (e a mio avviso una futura promessa come baby attrice). E,
cosa buffa, il secondo e ultimo giorno di riprese era quasi lei a
dettare i tempi e a richiamare gli altri ciak! Una VERA
professionista.
07. Scorrendo
la tua biografia, si notano varie esperienza creative; in quale ti
senti più di investire per il tuo futuro?
Ho ho iniziato con la radio come
speaker e imitatore e tuttora, quando saltuariamente mi capita di
farlo, lo trovo un campo dove sperimentare moltissimo (fra sit-com
recitate, spot o imitazioni). Chiaramente il cinema rimane «o primm'
ammore», poiché ho studiato recitazione due anni e ho fatto diversi
cortometraggi, qualche apparizione a «Distretto di polizia» e un
film da comprimario. Mentre ora sono passato dall'altra parte. Il
teatro su di me non ha lo stesso fascino, ma rimane comunque
un'ottima palestra attoriale, che offre buoni spunti di lavoro.
Quindi conto di rimanere sull'ambito audiovisivo, girando sempre, e
facendo assistentato di regia (che è la vera gavetta del campo,
quando possibile).
08. Qual è il tipo di cinema che
solitamente ti piace guardare? E i tuoi registi preferiti?
Non c'è un genere prestabilito che
ami, sono molto umorale. Amo registi come Takeshi Kitano, Alejando Amenabar («Tesis», «Apri gli occhi»), Claudio Caligari, Pedro Almodovar, Kevin Smith («Clerks») ed Elia Kazan («Gli ultimi fuochi»). Sono spesso attratto da un tipo cinema «new-neorealista»,
o melodrammatico, ma anche d'evasione (action/humour).
09. Quale ritieni sia l'incidenza del
cinema nella vita di un individuo particolarmente sensibile:
emotiva, intellettiva, di intrattenimento? E che ruolo ritieni possa
avere oggi il cinema di genere e quello che stimola una riflessione
sul singolo e la società?
Penso che il cinema, in quanto fabbrica
dei sogni, sia spesso un rifugio per i più sognatori, la porta di un
mondo di meraviglie sempre nuove e mutevoli. Qualcuno diceva (forse
per la narrativa) che spesso ci si affeziona a storie e personaggi e
che si vorrebbe spesso empatizzare storie o patemi altrui (vedi «Last action hero» di McTiernan). Ma comunque penso il cinema apra
letteralmente gli occhi a persone dotate di sensibilità e dia
strumenti di riconoscimento e comprensione della realtà, credo anche
maggiori della psicanalisi; oltre che fornire emozioni, che
solitamente scattano quando si sfiorano «corde» o nodi dell'animo
appartenenti o vicini a noi. Il cinema di (solo) intrattenimento
sinceramente lo vedo come un'evasione fine a se stessa, una sorta di
anestetico per i propri drammi. Il film stesso dovrebbe lasciare
qualcosa a fine titoli; se l'effetto è invariato, a che pro è stato
fatto? Ok il budget e l'incasso ma... Non è CINEMA, è business o
antistress per il singolo come per il gruppo-società. Il cinema che
dà da pensare, può anche convogliare intrattenimento, non è un
crimine, anzi ben venga; è come un medicinale travestito da
“caramella".
10. I progetti futuri di Mauro Stroppa?
Bella domanda. Al momento sono in
attesa di montare il mio secondo cortometraggio «Troppo buoni con le
donne»; girato a settembre dentro un'università con Antonio Petrocelli e un cast di giovani attori molto più ricco del
precedente (cinque attori più dieci figuranti), unica location,
azione continua. Fatto ciò, l’ambizione sarebbe di scrivere un
nuovo cortometraggio che tenti di far luce sui meandri più oscuri
dei sentimenti e rapporti umani. Ma anche sperimentare nuovi
linguaggi come una web series non sarebbe male.