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domenica 16 dicembre 2012

IL GIORNO DELL'ODIO

IL GIORNO DELL'ODIO 
Anno: 2011
Durata: 72'
Genere: noir, drammatico, crimine

Voto: 7

Trama:
Una giornata infernale attende Gianni (Claudio Camilli), nerboruto giovane residente nella periferia romana; un debito contratto con Er tajola (Riccardo Camilli) lo costringe ad avventurarsi in una serie di peripezie fra violenza, spaccio, armi da fuoco e personaggi loschi. E tra amici e nemici come
Franco (Valerio Di Benedetto), Leo (Simone Nepa), Enrica (Alessandra Mosca) e perfino uno spacciatore interpretato da Paolo Calabresi de «Le iene».

Recensione:
«Di necessità virtù»: questo motto sembra caratterizzare il nostro cinema indipendente, falcidiato da tutta una serie di impedimenti che lo costringono a navigare in acque meste e limacciose senza particolari colpe. I giovani cineasti fanno pertanto ciò che riescono e l'impossibilità di miracoli sulla terra dà spesso luogo a produzioni genuine ma castrate da un limite principale: l'amatorialità.
Ma Daniele Misischia, classe 1985, aggira l'ostacolo dimostrando buona caratura artistica e capacità di una forma cinema personale e solida.
«Il giorno dell'odio», uno dei capitoli di una carriera sorprendentemente prolifica a dispetto dell'anagrafe, non costituisce solo l'esempio di un drama-noir verde-bianco-rosso. Ma lo sfondo della suburbia capitolina origina ed ospita vicende credibili, furente polvere di strada, esistenze dominate dalla violenza e persone che non divengono mai macchiette pre-impostate.
A condurre le danze l'attore Claudio Camilli (anche co-sceneggiatore e produttore), la cui possenza fisica e il cui volto vanno a braccetto con l'interiorizzazione di un giovane uomo non acculturato e troppo sensibile, ma che cerca un posto nel mondo con la pluralità delle declinazioni esistenziali. Bravo davvero Camilli: lo spettatore lo segue, se ne affeziona, capisce che può andare oltre ai pugni e alle scarpate (i pestaggi di cui si rende carnefice sono tremendi e tutti da vedere), che non si comporta da deviante a cuor leggero.
Il resto del cast, elemento non ovvio nel cinema indipendente, lo segue a ruota dando alla luce un quadro di insieme convincente e a tratti coinvolgente. Da segnalare anche il gustoso cammeo di Paolo Calabresi, il quale, al di là della giacca nera de «Le iene», si è già calato con interessanti intenti nei film.
Vincenti anche altre componenti: il cemento dei palazzi con l'alienazione periferica che si rende protagonista aggiunto, un ritmo narrativo non vorticoso ma che avviluppa chi osserva e centellina le sfumature da raccontare, dei dialoghi che non paiono proferiti da robot impagliati ma che si nutrono di dignità.
Il film, per la cui lavorazione Misischia ha profuso impegno con il suo staff per un anno, è costato 2 mila euro; molto poco. Il dato fa indignare l'intero sistema cinema italico per la vergognosa ed impari distribuzione di risorse; al contempo rende merito a chi, come questo regista, ha oggettivamente spremuto il risicato budget per ottenere il più possibile.
L'unica pecca è rappresentata da un uso della macchina da presa molto tremolante e «a scatti»; le modalità di ripresa rimandano all'approssimazione della tecnica, ma ci sta che Misischia abbia compiuto una scelta precisa, anche perché altri suoi lavori non soffrono in questo modo.
Buone notizie comunque da questa pellicola focalizzata sul crimine malavitoso della nostra capitale, in cui coloro i quali poggiano il culo sui gradini più bassi della scala sociale si danno ad attività illecite per campare. Non sembrano però sposare una mentalità comune, riconoscersi in un unico codice morale; paiono semmai cani sciolti in cerca di un tozzo di pane in questo schifo di mondo, dove la crudeltà si configura come arma verso «la tagliola» di un sistema che li ha dimenticati.
Il forte romanesco con cui si dispiegano i dialoghi diventa così non solo un dialetto linguistico, ma idealmente anche la chiusura con cui gli stessi si affrancano dal mondo borghese, benpensate, così avaro e stitico nell'offrire opportunità. Questa componente Misischia la abbozza soltanto dopo aver posto le fondamenta per un'interessante trattazione; ma al valente cineasta romano non si poteva chiedere di più dati i mezzi di partenza.