Personalità non indifferente per il
filone hardstyle Italia Doctor Zot. Oggi resident dell'organizzazione di eventi «Insound», creatore dello staff
Maximum project e produttore e remixer per l'etichetta «Activa records», inizia a mixare nel 1994. La passione per i suoni duri lo
porta dopo qualche anno a sposare la causa dell'hardstyle e dar
vita a
produzioni proprie a partire dal 2007. Fruttuosa la sinergia con l'hard god Activator, con cui produce alcuni singoli e ultimo in ordine di tempo il lavoro con Francesco Zeta con la traccia «Shake that monkey». Da non dimenticare la sua residenza dal 2002 nel club «Due» di Cigliano (Vc), locale storico per questo filone musicale e prodromo di «Insound» qualche anno dopo. Oltre alla cura di alcune compilation, Doctor Zot vanta la consolle in molte discoteche italiane e annovera in curriculum alcune esperienze all'estero. Abbiamo fatto due chiacchiere con lui prima di un suo dj set ricevendo cordialità e passione.
produzioni proprie a partire dal 2007. Fruttuosa la sinergia con l'hard god Activator, con cui produce alcuni singoli e ultimo in ordine di tempo il lavoro con Francesco Zeta con la traccia «Shake that monkey». Da non dimenticare la sua residenza dal 2002 nel club «Due» di Cigliano (Vc), locale storico per questo filone musicale e prodromo di «Insound» qualche anno dopo. Oltre alla cura di alcune compilation, Doctor Zot vanta la consolle in molte discoteche italiane e annovera in curriculum alcune esperienze all'estero. Abbiamo fatto due chiacchiere con lui prima di un suo dj set ricevendo cordialità e passione.
Come e perché ti sei avvicinato
alla musica e quali i tuoi esordi nella nightlife?
Lo spettacolo in generale mi è sempre
piaciuto; a 14 anni con un amico iniziai a giochicchiare in cantina
con il giradischi con risultati inguardabili ad oggi (ride). Da lì è
stata tutta una bella discesa: dalle prime feste nei locali, al
mixaggio, ai primi pezzi prodotti. La musica mi piaceva da piccolo,
quando desideravo prima fare il cantante e poi suonare uno strumento.
I primi passi in disco furono da clubber, ma già con le mire di
lavorarci dentro; stavo attaccato alla consolle per carpire i segreti
del dj di turno.
Quali ritieni siano stati i tuoi cambiamenti da pezzi come «Envoice» o «The power of the evil» a quelli più recenti come «Wet pussy» o «Shake that monkey»?
«Shake that monkey» è l'ultimo mio
singolo in ordine di tempo e concepito con il mio amico Francesco
Zeta per Activa, un team veneto, in cui sono entrato nel 2008. Hai
beccato con «Envoice» qualcosa che non si ricorda nessuno adesso,
grande! Tra l'altro era un esperimento di un altro genere, in quanto
all'inizio mi muovevo in ambito underground, progressive, techno e
poi hardstyle dal 2002. Ancora oggi amo moltissimo la techno tedesca
o quella di Detroit e con l'esplosione dell'hardstyle ho abbracciato la
causa e sono onorato che il Piemonte sia una delle Regioni più
prolifiche per il mio genere. L'hardstyle ha fatto nel tempo almeno
3-4 steps fondamentali per arrivare dov'è oggi.
Come giudichi le derive più
melodiche di artisti come Brennan Heart, Ran-D o The Prophet?
Ran-D è un
compromesso fra l'ultimo periodo e quello precedente. La spaccatura
oggi è fra il raw style (grezzo e allo stato brado ché più non si
può) e un versante più ragionato e commerciale. Secondo me entrambi
sono validi: l'avanguardia è comunque da tenere d'occhio perché è
il futuro e il commercializzare apre il genere a un pubblico
maggiore. Noi siamo una nicchia in Italia, dunque ben vengono le
tracce melodiche che, influenzate dalla trance, fanno alzare le mani;
e poi si rimane sempre in territorio «hard», si tratta sempre di
canzoni pestate. Nel nostro Paese gli hardstylers stanno dietro alle
uscite e seguono con passione, sta a noi djs anticipare le tendenze e
fare amare il più possibile il tutto.
Ritieni che siano giustificati gli
ortodossi del raw, che possono storcere il naso per esempio davanti
ad una «Lose my mind»?
Sono posizioni
giustificate, ognuno deve dare il suo parere e l'attaccamento alle
sonorità significa amare il genere dal di dentro. Ma un conto sono i
forum e i social network e un conto e la pista; da dj il mio feedback
è lì: a volte è giusto suonare «Lose my mind», a volte no.
Occorre rispettare chi è nel dancefloor facendolo divertire,
mantenendo però la propria personalità. Io ad esempio suono molti
pezzi miei nelle serate e per il resto sono flessibile con l'occhio
allenato che osserva la pista.
Piccolo Kimico tempo fa mi disse nell'intervista che
a suo parere oggi il dj ha smarrito quell'aura di santità che anni
orsono aveva; quasi che la gente oggi va a ballare non per imparare
nuove tracce, anche a causa del dilagare del download selvaggio.
Ciascun appassionato è sempre più autonomo insomma.
Grande Kimico! Lo
salutiamo. Gli dò ragione ed è una cosa molto italiana; se suoni
negli eventi esteri, la gente è più attenta e apprezza la novità e
parallelamente il deejay. Facciamo fatica a proporre evoluzioni, ma
d'altronde il nostro pubblico è un ottimo banco di prova, perché,
se noti che l'apprezza, sai di aver fatto qualcosa di davvero figo.
Io sono sempre per buttare in pista qualcosa di nuovo, se no ci si
ferma; alcuni djs fanno pista proprio mettendo sempre le stesse cose,
ma a piccole dosi a mio parere è corretto evolvere i gusti. In caso
contrario perderei il gusto sentendomi un juke-box.
Mi stupisce per l'organizzazione
«Insound» la quantità di followers affezionati e fidelizzati alla
vostra causa; grande quantità di gente e molta passione. A cosa di
deve?
Nonostante le
difficoltà di condurre certi tipi di serate, riusciamo a dare un
ottimo prodotto di intrattenimento in cui le persone si divertono,
sono serene e soprattutto si sentono parte di una famiglia. In questo
modo nasce qualcosa dentro e un ragazzo a priori viene da noi anche
indipendentemente dagli ospiti. Le nicchie musicali comunque portano
un discorso del genere e poi sta allo staff rendere il gruppo sempre
più coeso. E' una questione di comunicazione genuina, è una
compagnia allargata in cui i legami sono improntati alla gentilezza
prima di tutto, una gentilezza onesta. Il direttore artistico di
«Insound» Marco Demolition poi, insieme a noi, riesce a portare
nomi di richiamo affacciandosi alla scena europea e mondiale.
La discoteca «Due» rappresentò un
punto di riferimento per il genere per anni e nel raggio di molti
chilometri. Che ricordi hai di quei tempi?
Posso solo provare
pelle d'oca, brividi; per anni fu la mia casa, tutti i
sabati lì, un pezzo di me che ha condiviso moltissimo con tanta
gente. Vi ho ricavato un bagaglio che mi porterò dietro per sempre e
dei ricordi meravigliosi. Lì cullammo questa sensazione di famiglia
di cui ti parlavo.
Cosa ascolti a parte l'hardstyle?
Mi muovo in vari ambiti: rock e anche musica classica per «depurarmi» un
po', poi ovviamente tutta l'hardstyle che esce e techno. Anche qualcosa
di italiano e tra qualche mese grazie alla mia ragazza che mi ha
regalato il tickets: concerto dei The Darkness!
Ci sono canzoni e
artisti interessanti che mi piacciono anche nella frenchcore, ma come
varianti a quello che ascolto di solito; come Insound abbiamo una
sala kore che funziona molto bene, conosco molti addetti ai lavori
del filone comunque.
E un parere sugli illegal party/rave?
Ci sono anche
andato qualche volta a farmi un giro: non è il mio mondo, preferisco
un discorso di club, qualcosa di più istituzionalizzato. Inoltre la
musica che si suona in quei casi non mi piace tanto, così come
il fatto che lì si segua il sound system più che il dj in sè. Non
ne so tantissimo in realtà, ma in questo mondo c'è spazio per tutti
e vedo che a volte queste esperienze vengono troppo ghettizzate e non è corretto. La
strumentalizzazione da parte di amministratori e politici su quella
filosofia non me la racconta giusta; ci fosse la possibilità di capire come
collegare il discorso free party al mondo delle disco, si evolverebbe
il movimento.