TUNNEL EROINA
Regia: Maurizio Pirri
Cast: Helmut Berger, Corinne Cléry, Franco Citti, Marzio Honorato, Agnès Nobecourt, Karl Zinny, Roberto Caporali, Aldo Bufi Landi, Antonio Buonomo, Francesca Ciardi
Anno: 1980
Durata: 94'
Genere: drammatico
Voto: 7
Trama:
Marco (Helmut
Berger) è romano, tossicomane ma originario di una famiglia potente
dell'alta borghesia con gli agganci giusti; sceglie però di essere
la pecora nera e trascorre le sue giornate cercando
espedienti che
gli procurino il denaro per bucarsi. Gli fanno compagnia Pina
(Corinne Cléry), la sua ragazza, e Toby (Marzio Honorato). Ma deve
arginare le angherie di un pusher (Franco Citti) che lo odia a morte.
Recensione:
Il problema
della tossicodipendenza cominciò a preoccupare seriamente
amministratori e gente comune a partire dalla fine degli anni '70 per
diventare questione sociale endemica nella decade successiva. A
questo periodo vanno datati un pugno di film sull'argomento, tra cui
«Tunnel eroina». Rispetto ad altre esperienze coeve, come «Amoretossico» di Claudio Caligari (1983) o «Christianne F. – Noi iragazzi dello zoo di Berlino (1981), la pellicola di Maurizio Pirri
si colloca ad un livello artistico inferiore, ma non per questo va
trascurata.
Il cast in
primis: riuscire in una botta sola a radunare gente del calibro di
Berger (solita grande prova per lui tre anni dopo «La belva col
mitra»), della Cléry e di Citti (amatissimo da Pasolini), non è da
tutti. E infatti loro ricambiano con generosità ed efficacia,
lasciando tre personaggi veramente scolpiti e debordanti. Completano
il quadro Marzio Honorato (attore in moltissime pellicole del B
italiano, ma anche di film d'autore e negli ultimi 15 anni impegnato
nella soup «Un posto al sole»), decisamente performante, e una
serie di altri personaggi più o meno conosciuti da chi mastica il
filone come Roberto Caporali, Karl Zinny, Aldo Bufi Landi, Francesca
Ciardi (che nello stesso anno prese parte a «Cannibal holocaust»).
Gli attori
consentono di dipingere un quadro d'insieme, se non di qualità
estrema, convincente e a tratti coinvolgente. Il film si dipana senza
risparmiare allo spettatore nulla: dagli aghi che penetrano le
braccia (famosa la scena della Cléry che si droga nella passera;
chissà cosa dev'essere stato al cinema!), agli ambienti squallidi e
degradati, al bus diroccato che funge da casa, ai pestaggi furiosi
(incredibile quello di Citti ai danni di Berger). Il doppiaggio rende
merito alla furia che falcidia queste esistenze allo sbando: da
sottolineare che Marco/Berger ha la voce di Sergio Di Stefano,
deceduto nel 2010 e doppiatore del drugo Alex DeLarge e del Dr.House).
Loschi ceffi si
annidano in bar malfamati, lobotomizzati zombie disposti a vendere
gli organi della madre, forse, per soddisfare l'impellente necessità
dello «schizzo», dell'amata «ero», ricercatori di un'adrenalina
esplosiva ma mostro compulsivo madido di morte.
Facciamo un
paragone con «Amore tossico»: laddove in quest'ultimo Caligari
riuscì a determinare un tale esame di realtà da raggelare lo
spettatore, Pirri non fu in grado di spingersi in modo tanto sublime.
I suoi in fondo erano attori professionisti, pagati per fingere di
amare la sostanza. I personaggi di Caligari nella vita erano
tossicomani, recitavano se stessi e, se dovevano dimostrare di «stare
a rota» in crisi di astinenza, dovevano semplicemente ricercare in
loro stessi.
Da segnalare
anche le ottime musiche del gruppo rock-new wave dei The Pretenders,
che accompagnano per la visione dell'intero film; colonna sonora
veramente da ricordare, molto ritmica, fresca, suggestiva, che
contribuisce con un valore aggiunto decisivo. Il gruppo
contrappunterà dopo il 1980 moltissime pellicole anche famose e
serie tv.
Si potrebbe
intravedere certa critica ai molli e turpi costumi dell'alta
borghesia, ma il concetto viene solo abbozzato in sede di
sceneggiatura. Certo Marco si stacca con decisione dall'humus da cui
proviene per abbracciare la suburbia come ragione di vita.
Refrattario a qualsivoglia giudizio, non si fa alcun problema a
minacciare la ex moglie per estorcerle denaro o utilizzare i doni
monetari del fratello per acquistare la roba. In tal senso non
suscita nessuna pietà nello spettatore, anzi in alcuni casi repelle;
Pirri non costruisce i personaggi per suscitare una vicinanza
empatica, anzi ne descrive le giornate quasi prendendone le distanze.
E ciò non è poco, anzi va lodato.
Sceneggiatura
scritta da Pirri come Morando Morandini Jr.
Oltre che
notevole per gli amanti del genere, l'opera va considerata documento
artistico di peso per la piaga sociale dell'eroina fra due decadi.