«Vorrei fare una promessa: ci sono
ancora artisti che ci credono e portano avanti la italodance; personalmente non la abbandonerò mai! Cercherò di creare un unico
gruppo di producers per rivoluzionarla; ho investito vari migliaia di
euro per comprare attrezzatura facendo un sacco di rinunce. Ci
metterò tutta la mia anima perché il genere non muoia; i prossimi
pezzi li farò uscire anche come
videoclip. Non si deve avere paura di fare flop, ma rischiare e fare quello che davvero si vuole! Non si deve anzi sputare sul piatto in cui si è mangiato; sento gente che ha vissuto di italodance per tanti anni e ci ha guadagnato, che adesso, non solo non la fa più, ma la critica. Non ci sono parole... Cerchiamo di fare tornare la musica a rappresentare un bene primario di tutti noi!»
videoclip. Non si deve avere paura di fare flop, ma rischiare e fare quello che davvero si vuole! Non si deve anzi sputare sul piatto in cui si è mangiato; sento gente che ha vissuto di italodance per tanti anni e ci ha guadagnato, che adesso, non solo non la fa più, ma la critica. Non ci sono parole... Cerchiamo di fare tornare la musica a rappresentare un bene primario di tutti noi!»
Un vero atto d'amore per le sette
quello di Domenico Pepe, produttore che negli ultimi anni si è
imposto in questo filone come uno di quelli più prolifici e
talentuosi.
Il suo punto di vista, misto a grande passione, è da prendere in considerazione anche solo per un paradosso incomprensibile: la italodance, i cui prodromi vanno ricercati nella italodisco anni '80 e nell'eurodance anni '90 e che ha imposto il nostro Paese come una delle locomotive in fatto di cassa, synthoni e melodie, oggi è quasi sparita. Non si registrano nuove produzioni da parte dei padri del genere e un gruppo di coraggiosi, fra cui Doddo, porta avanti il discorso.
Insomma il genere che porta il prefisso "italo" nella denominazione, in ITALIA si può considerare sclerotizzato almeno a livello commerciale.
Nato a Lecco nel 1987, Domenico si trasferisce poi con i genitori
a Salerno, città in cui oggi vive e lavora.
Scelta di vita?
La mia famiglia è originaria del sud e
ha deciso di tornarci; questo ha influito molto da un punto di vista
musicale su di me. Ho studiato la teoria musicale in una banda,
suonando poi il saxofono. Ma in quegli anni andava parecchio la
italodance con varie radio a pomparla di brutto come Disco radio con
Marco Ravelli e spopolava gente come Gabry Ponte, Gigi D'Agostino, i
Datura. Dopo aver imparato a suonare anche la chitarra, ho fondato un
gruppo a Salerno facendo anche dei live. Ma mi mancava qualcosa, mi
sono così chiesto come facevano i big della italodance a realizzare
i loro pezzi. La scintilla definitiva me l'ha data un sequencer,
Fruity loops, molto conosciuto un cinque anni fa e da lì iniziai a
comporre.
Da quel momento per Domenico la strada
produzione di singoli diventa continua.
Ho conosciuto diverse persone come
Glaukor fondando con lui e altri il progetto ItaloProducerz con il
primo singolo «Lamtumire» che andò bene tanto da balzare al primo
posto in Repubblica ceca e in altri Paesi come la Spagna. Il secondo
singolo si intitolava «Nostalgia», subito inserito in una
compilation importante; in Spagna ancora spopolò. Decisi poi di
sviluppare un discorso da solista come Dj Doddo e Domenico Pepe e
iniziai una bella collaborazione con Stefano Folegatti/Dj Fole/Dance rocker. «Al ritmo della dance» fu il nostro primo singolo,
pubblicato sulla label di Dj Power/Gianfranco Comis; nel secondo
singolo «It's our time» canta Sheby, un ragazzo spagnolo. Sempre
con Folegatti nacque poi «You are in my life» con forte influenza
eurodance anni '90 e da lì ho notato una particolare attenzione nei
miei interessi. Mi sono aperto una label mia personale, la «Style records», che si occupa rigorosamente di italodance, hands up e un
po' di trance. Arrivò dopo «La playa dell'amore» in cui abbiamo
deciso di cantare in italiano, inglese e spagnolo con un'atmosfera
molto estiva. Successivamente con la cantante Sherrita Duran abbiamo
creato questo brano che ricorda un po' Bob Sinclair, «My love is
true», che Luca Zeta, persona importante da un punto di vista
artistico e umano, mi ha permesso di pubblicare sulla sua etichetta.
Più avanti «Il potere del suono» con Dance Rocker, a cui ho
consigliato di portare avanti il filone di italodance sempre e
comunque. Infine ho incontrato Morgana, una cantante non
professionista con cui si è lavorato per in «Imagine dream». Poi
«Hi» con Glaukor e l'ultimo singolo è «Tu sei», che ha avuto un
grande successo su Youtube.
Dalle tracce che hai prodotto come si
avverte una certa urgenza di stampare messaggi e melodie in modo
immediato e spontaneo. Come avviene il tuo processo di scrittura dei
pezzi?
Butto giù quattro note al pianoforte o
alla chitarra e penso alla melodia vocale che può andare bene e poi
ci scrivo sopra le parole. Mi viene proprio la voglia di scrivere con
strumenti carnali e sto pensando di rispolverare il sax. Lo
strumentista è stato messo troppo da parte dall'elettronica; ma è
grazie agli strumenti reali che la musica è come poi la sentiamo.
Anche la dance rumena odierna, che per fortuna sta avenndo un grande
successo, è basata su fisarmoniche ricalcate dagli strumenti vari.
Glaukor, Dance Rocker, Sheby e altri
artisti con cui hai collaborato; quali sono i parametri che utilizzi
nella scelta del collaboratore ideale?
Non deve avere pregiudizi musicalmente;
nessuna chiusura, a me piacciono le persone amanti di tutti i generi.
Io voglio emozionare la gente e con Dance Rocker ho avvertito lo
stesso obiettivo e una grande passione, lo stesso con Andy-Glaukor.
A noi non interessa fare soldi, ma creare sensazioni positive, questo
mi spingerà a non mollare mai questo filone. Cito anche Dave/Davide Zacco, con cuo mi sono trovato molto bene.
La italodance: atmosfere pop si legano
a tappeti elettronici morbidi e sinuosi; ma se «pop» sta per
«popular», perché a tuo giudizio questo filone, che annovera
diversi esponenti di peso, in Italia non ha mai sfondato?
In Italia siamo stereotipati dalle case
discografiche, che vogliono andare verso certi generi. Vogliono fare
di tutti degli «housettari» senza passione; negli anni '90 si
andava a sentire hits che ti facevano piangere di gioia, adesso ci
sono sintetizzatori in distorsione che non comunicano niente. E il
pubblico va dietro a questa tristezza, hanno solo creato un
sistema-mostro che passa anche dall'organizzazione di serate tra
selezione all'ingresso, ragazze immagine e poca attenzione per la
musica in sé. E' colpa sia delle case discografiche che degli
artisti storici comunque, che si sono piegati a questo meccanismo;
anche Gigi D'Agostino non lo sopporto oggi, il lento violento non lo
concepisco.
Quali credi possano essere le «malizie»
con cui la italo può ambire a raggiungere un pubblico maggiore e un
interesse da parte delle orecchie che contano in fatto di vendite
musicali?
Il genere potrebbe riprendersi, ma si
deve togliere gli stereotipi; cambiare suoni: questo è il futuro!
Fino a qualche mese ero scettico per la nostra evoluzione, ma adesso
noto che nella progressive-house si sta inserendo una tendenza che
ricorda melodie di una volta ma con i suoni moderni. Dobbiamo
abbassarci di bpm, scendere dai 140, sui 130, fare avvicinare la
italo alla house ma lasciando i piani arpeggiati, i synths e le
parole che danno emozione. Gli artisti forti che prima facevano
italodance erano qualcuno nel mondo, adesso non sono più nessuno e
la loro rinuncia è imperdonabile.
Riprendendo le parole di un altro dj
che di recente ho intervistato, potremmo dire che l'italiano medio è
un po' caprone; mediamente non sta troppo a farsi un punto di vista
suo, ma preferisce seguire il gregge, appunto, e andare dove tira il
vento. Questo si potrebbe dire per la musica, ma non solo. Tu che ne
pensi?
L'italiano medio, oltre che caprone, è
anche stupido; casca negli stessi errori più di una volta e, anche
quando sbatte la testa, ci ricasca più volte. Non sa ragionare con
la sua mente!
Altra caratteristica che molti
affibbiano al nostro Paese è la facilità con cui si raggiungono
posizioni importanti nella scala sociale se si hanno spintarelle da
parte di persone che contano. Ammesso che sia vero, allora ha ragione
Roberto Saviano quando parla di una Nazione che non intende
valorizzare i suoi talenti?
Ci sarebbero molte cose da dire, non
posso dirti tutto perché mi farei molti nemici. Tante persone nelle
case discografiche maggiori sono raccomandate, molti artisti si fanno
scrivere i pezzi e li spacciano per loro. Manca poi l'umiltà, non
vedo artisti che vogliono emozionare le persone, vedo gente che vuole
salire sul piedistallo magari anche pagando. Spiegatemi dove si trova
la dignità in questi comportamenti!
Io ho 37 anni e, da sempre amante della
musica, sono cresciuto in un contesto molto diverso da quello
attuale. Non c'era l'ombra di internet ma la rete ha poi decisamente
cambiato la vita di tutti noi, la mia compresa. Come consiglieresti
un ragazzo oggi come oggi per un utilizzo del web consapevole?
La rete è la più grande opportunità
che ci è stata data; puoi entrare in contatto che le case
discografiche più importanti del mondo e prima era impensabile. Ma
gli effetti collaterali ci sono: mentre prima la musica era comprata,
c'erano i cd. Io stesso ne comprai e avevo i miei miti; adesso è
cambiato tutto. Il download illegale uccide, dovrebbero trovare uno
strumento per controbattere il fenomeno.