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martedì 29 gennaio 2013

RED KROKODIL

RED KROKODIL
Cast: Brock Madson
Anno: 2013
Durata: 82'
Genere: drammatico

Voto: 7,5

Trama:
Un tossicodipendente allo stato terminale di cui non si scoprono né nome né ruolo nel mondo (Brock Madson) si aggira ciondolando per la sua spoglia e lercia abitazione bucandosi le carni con la droga krokodil tra crisi di astinenza e visioni lisergiche e disturbanti.

Recensione:
Un opera d'arte può reputarsi tale qualora se ne fotta dello spettatore? «Red krokodil» del coraggioso indipendent god italiano Domiziano Cristopharo sostanzia
la risposta affermativa del quesito. Qui non vi è alcuna parvenza di ammiccamento con chi guarda, la cui pazienza viene martoriata da un interminabile e doloroso piano sequenza (che piano sequenza non è da un punto di vista tecnico, ma idealmente sì, un continuum tossico, agonico e tremebondo di disgregazione fisica e mentale). La consolidata forma cinema, che anche nei casi più autoreferenziali viene per lo più costruita, in questo caso lascia a briglia sciolta franca autorialità e libertà espressiva.
Se c'è un aspetto di cui il cineasta non può essere accusato è l'ardimento con il quale personalizza il film, che esplode letteralmente dallo schermo come progetto solido, squadrato, confezionato con una fotografia livida e tendente a tinte da sala operatoria e che rende il quadro ancora più terrificante.
Una sceneggiatura? Neanche a parlarne, quanto meno in senso tradizionale.
Un protagonista, forse tre: a svolgere un racconto di vita un giovane intriso di stupefacenti fino all'ultimo anfratto del suo essere. Ma anche una droga, il krokodil, desomorfina fatta in casa, una sordida mistura (come viene spiegato nelle allarmanti scritte pre film) di varie schifezze chimiche che frantuma l'organismo dal di dentro rendendo pelle e carne più simili a un «coccodrillo» che a un uomo. Pare che la sostanza si stia diffondendo in alcune lande dell'ex Unione sovietica e infatti «Red krokodil» è lì ambientato. E poi, terzo personaggio, una casa tra le più disadorne, raccapriccianti e fruste mai vedute in una pellicola cinematografica. Il ragazzo dorme in un letto che non si avrebbe l'ardire di auspicare per il proprio peggior nemico, sanitari e mobili sono percorsi da striature e infiltrazioni di marcia entità, per terra regnano microbi di ogni sorta. Ma è il senso di degrado e incuria a perpetrare una tirannia draconiana, un disequilibrio parallelo alla mente del protagonista, il quale ha deciso di ambientare in quel caos il caotico declino della sua vita incontrovertibilmente smarrita.
Ecco dunque che allo spettatore non viene tesa alcuna simbolica mano; trattasi della storia di un drogato falcidiato da dolori lancinanti, motilità rallentata all'inverosimile, proiezioni del cervello astruse e pericolose. 
Nulla di meno, nulla più.
In tal senso Cristopharo è fottutamente realista, raschiando via tutto il raschiabile, sottraendo ogni humus interpretativo, prendendo a calci nei denti con una proposta scabra, asciutta come raramente si è veduto. Unica «concessione» l'over voice che lemme lemme (con la voce di Simone Destrero; per lui un paio di apparizioni in due film di un altro regista romano, Daniele Misischia) contrappunta la discesa negli inferi verso quel maledetto pentolino ribollente di velenosa poltiglia rubiconda. Interessanti e ben realizzate poi le musiche di Alexander Cimini.
Si potrebbero avanzare e a ragione paragoni con Jorg Buttgereit (indimenticabile «Schramm») o certe suggestioni di David Cronenberg (si pensi a «Spider» ma non solo). Ma Cristopharo aggira una sclerotizzata mimesi dando alla luce (o alla morte, vista la vibra che aleggia per la quasi ora e mezza di lunghezza) un film-non film che brilla di tenebra propria.
Stupisce il rigore formale del regista, per cui predominano alcune pregevoli intuizioni circa la messa a fuoco di talune suppellettili della casa e le angolazioni di alcune riprese. Il tutto, come già detto, imperlato da una fotografia che è lecito considerare una delle componenti migliori dell'intero lotto.
«Red krokodil» farà la felicità di coloro i quali non si irrigidiscono alla sperimentazione più decisa, che sanno avventurarsi negli inerpicati sentieri della destrutturazione formale. E che gradiscono le storie malate e maledette, in cui l'esistenza è scivolata via, vomitata via, annacquata dalle tossine esattamente come il preparato da scaldare sul cucchiaio e poi da sperarsi in vena con una merdosa spada.