Tatanka: «bisonte» in lingua lakota? Il titolo di un film italiano? Anche, ma soprattutto il nome di una colonna portante del genere musicale hardstyle. Valerio Mascellino, originario della provincia di La Spezia, ha
contribuito in maniera
determinante al germogliare nel nostro Paese di questo «stile
duro» di origine nordeuropea. Insieme a pochi altri (qualche nome?
Activator, Zatox, Technoboy,
Antonio Donà, Zenith, Mondello e Vortex) riprese tra i '90 e i 2000
la lezione straniera per dare voce al grezzo grido italico in fatto
di durezza. E oggi, oltre a dividere i più importanti palchi europei
con i mostri sacri del genere, a sua volta impartisce la lezione ai
newbies del genere con produzioni devastanti in bilico fra tradizione
e modernità e live acts incendiari. Sì, perché ogni grande non
rimane ad innaffiare le proprie radici, ma protende i rami verso
l'infinito vedendo anche più in alto degli altri.
Abbiamo incontrato Valerio nel backstage dello "Spazio A4" di Santhià (Vc) prima di un suo dj set organizzato da Insound.
Abbiamo incontrato Valerio nel backstage dello "Spazio A4" di Santhià (Vc) prima di un suo dj set organizzato da Insound.
Ho letto che la canzone che ti aprì
le porte della musica elettronica fu «Hocus pocus»; che ricordi del
clima che si respirava nelle disco degli anni '90?
Iniziai con questa
passione da ragazzino, a 13 anni; la musica la seguivo già, ma non
andavo oltre i soliti artisti commerciali. Mi entrò in testa «Hocus
pocus» appunto e la vita cambiò: la cercai disperatamente in radio
e scoprii tutta una serie di tracce esaltanti che registravo. Da
allora i primi tentativi di mix: pensa che all'inizio utilizzavo le
funzioni «stop» e «rec» dei vecchi stereo. Frequentai allora le
discoteche, a volte anche spacciandomi da maggiorenne (ride), come
hanno fatto in tanti; bazzicavo nei club della mia zona e con il
tempo suonai alla discoteca «Alhambra» e poi via via sempre di più.
Il clima, che te lo dico a fare, era frizzante, divertente, unico,
quanti ricordi.
Che cambiamenti pensi di avere
passato dai tuoi primi pezzi come «Amphetamine» o «Kilowatt» a
quelli più recenti come «AKT» o «A true story»?
Ti dirò che la
mia è sempre stata musica di ricerca: si andava ad accaparrarsi nei
negozi musicali i dischi nuovi particolari e ponevo attenzione con
profondità anche ai lati B. Mi sono fatto edit da solo cercando di
personalizzare il più possibile il lavoro e andai in studio una
delle prime volte proprio con «Amphetamine». In quel momento volevo
sentire quello nella pista, qualcosa che non c'era ancora. Oggi siamo
estremamente schematizzati nell'hardstyle con poco spazio
all'interpretazione di chi crea; nei pezzi si sente la differenza tra
un produttore e l'altro, il livello è medio-alto, ma c'è meno
libertà di prima. Io cerco invece di lasciare un messaggio nella
traccia, questa è la mia libertà: a volte si capisce di più, altre
volte il contenuto rimanda alla profondità della mia persona, ma, se
ci si sofferma con attenzione, si arriva a capire.
Il tuo nuovo singolo «Arabika» è
uscito il 12 dicembre: dopo «Afrika» e «Tokyo», altri mondi da
scoprire per te. A cosa si deve questo interesse?
Vi sono culture
che si conservano nel tempo per la loro particolarità e rimangono
fedeli alle tradizioni del passato; la nostra società si comporta in
modo diverso, basti pensare a quanta gente butta via il vecchio per
il nuovo. Ma l'essere umano ha bisogno di sapere da dove arriva per
determinare chi è e per indirizzare il cammino futuro. In «Arabika»
ho giocato un po' con gli stereotipi; la prima parte è ispirata al
suono di un marranzano, strumento che io credevo fermamente di
origine siciliana, invece arriva dall'Arabia durante le
colonizzazioni di questa nostra isola. Ho approfondito ulteriormente
e si presume giunga addirittura dalla Cina. Questo per dirti che
faccio delle ricerche a 360 gradi: come in «A true story», che
parla di come siamo arrivati ai festival di oggi con l'evoluzione
dall'acid house ai giorni nostri.
Da «tecnico dell'hardstyle» come
giudichi il cambiamento del tuo genere che guarda sempre più alle
melodie? Pensa
infatti a nomi come Ran-D, Brennan Heart o The prophet.
Ran-D sta cercando
di dare qualcosa di personale e che ha dentro pur arrivando dal
versante più crudo. Brennan Heart ha sempre espresso musicalità
toccante che, unita a idee vincenti e bei cantati, ha generato ottime
hits. The prophet è lì dal giorno zero dell'hardstyle, mixa
dall''85; oggi si prende cura del movimento e sta molto dietro
all'etichetta «Scantraxx». Per i puristi del raw style, della
vecchia scuola: secondo me oggi c'è troppa gente che parla e non ne
sa un cazzo, che parla per parlare. La musica è evoluzione pura! A
me ogni anno, da quando ho iniziato, alcuni ricordano come suonavo in
modo diverso prima. Puristi di che cosa?
Uno che gironzola nei club di mezzo
mondo come te come valuta il ruolo del dj ora rispetto a prima?
Negli anni '70 chi
metteva i dischi ancora un po' era relegato in cantina per arrivare
nella decade '90 in cui la stessa figura aveva funzioni divine.
Nell'hardstyle ci sono djs che sono stati capaci di farsi valorizzare
tramite stile e personalità anche in altri circuiti. Il pubblico si
è allargato e questo è oggettivamente è un bene; è responsabilità
di noi dj oggi rendere questa musica alla portata di tutti. Io cerco
di essere coerente con me stesso, ma di attuare un progressione; non
sempre si riesce a produrre hits che spaccano, ma questo non deve
impedirmi di surclassare ogni volta me stesso migliorandomi
costantemente.
Ho la netta impressione che i
ragazzi vengano alle serate hard in quanto ci credono davvero,
partecipa all'evento con dedizione. Come ti poni verso i club
fashion-house-minimal dove, mi pare, la situazione non sia proprio
così?
Sono sicuro che
noi facciamo le cose con il cuore; anche loro, ma alcuni, e ne
conosco tanti, arrivano a un tale livello da farsi la bocca buona con
il denaro da guadagnare. A quel punto si sviluppa un credere nella
propria musica diverso dal mio; io mi motivo tantissimo dalla
reazione della gente, ci metto la faccia e la mia vita.
Nell'hardstyle ci sono altre usanze: cerchiamo di portare avanti quel
senso di famiglia, quell'atmosfera che negli anni '90 faceva
trasgressione, tendenza, aggregazione, diversità e unione. Noi
arriviamo da lì, da disco mastodontiche che ci hanno insegnato
tantissimo.
Sono un immenso amante del genere
hands up: perché non ha mai attecchito in Italia?
Perché non hai
mai goduto di una spinta mediatica come si deve; e poi non si
rispecchia in nulla che adesso in Italia fa tendenza anche per una
predisposizione a sfuggire ai generi. Non è hardcore, non è trance,
è una «maranzizzazione» della trance, ma non si è creata una
spinta sostentativa. L'italiano è piuttosto «caprone», si beve di
più le cose che gli servono, è esterofilo; farà successo quando
dall'estero arriveranno filmati di party con 40 mila persone che
vanno matte per canzoni hands up, con mille fighe, con uno stile di
vita vincente, con abbondanza, con la sensazione di essere «fighi»
a stare lì. Bisogna creare il desiderio: l'essere umano vuole quello
che vede, non quello che non visualizza.
Che rapporto hai con le estremità
più dure dell'hardcore?
Offer/demand: se
esistono, significa che c'è qualcuno che chiede di più in fatto di
crudezza musicale. Io non mi pongo così estremamennnoote, anche se
alcune canzoni, con l'orecchio da tecnico, mi garbano molto. All'estero
alcuni grossi eventi come il «Dominator» ci insegnano un mondo
diverso dal nostro: da noi l'hardcore viene vista da fuori come un mondo
di indemoniati, impasticcati, rifiuti sociali; fuori dai confini no.
E degli illegal party/rave?
La mentalità
distorta di cui ti parlavo nella domanda precedente genera
l'illegale: io sono contro e se si chiamano «illegali» un motivo ci
sarà, o sbaglio? Non ci sono controlli in quelle esperienze!
Bisognerebbe organizzare i rave legali e levare un po' di ipocrisia
nel dire chiaramente che i problemi in questo Paese non vanno
attribuiti a una cassa distorta. L'educazione si può dare anche
tramite messaggi derivati da musica di impatto. Inoltre lì c'è la
questione droga: ai rave la si consuma troppo alla luce del sole; se
entri in un posto e trovi tavolini con secchi pieni di qualsiasi
sostanza, è più facile lasciarsi prendere la mano con la nascita di
incidenti brutti.