LE QUATTRO VOLTE
Regia: Michelangelo Frammartino
Cast: attori non professionisti
Anno: 2010
Genere: documentario, drammatico
Durata: 84'
Voto: 8
Recensione:
Il fortunato spettatore che si imbatta in quest'opera del regista di origini calabre Michelangelo Frammartino si faccia un favore: si tolga il velo
del preconcetto e cerchi di non vedere questo come un mero film ma di
intraprendere un vero e proprio viaggio nel tempo, nello
spazio e nella
mente. Purtroppo, dato che Le quattro volte comunque appartiene alla
categoria del mondo "film" e non tutti possono permettersi un tale
sforzo d'azione, il lavoro è destinato a entrare di diritto nel ben
impaginato libro delle gemme misconosciute ai più.
Si tratta di un
autentico viaggio tra elegia, mito e realtà; i personaggi non sembrano
che attori inconsapevoli di un piano favolistico ed effimero in cui la
verità effettuale prende a braccetto l'azzeramento temporale per
celebrare con gaudio e baldanza l'egemomia della natura. Quest'ultima
diviene il primo protagonista del racconto e viene dipinta sia nella sua
componente serena e pacifica che in quella cinica; in tal senso
l'antica dicotomia fra "madre e matrigna" trova virtuosissima
rappresentazione. Boschi, prati, cielo, pioggia: questi elementi
obbediscono a forze oscure e ingovernabili ma anche generose e foriere
di risorse e sostentamento. La natura insomma permette alle capre di
alimentarsi e al pastore la sussistenza, ma costringe anche un tenero
agnellino a perdersi durante il suo primo pascolo smarrendo la
rassicurante folla che lo precedeva.
E l'uomo che ruolo ha in tutto
questo? Forse nessuno. Frammartino compie un piccolo miracolo: spoglia
l'uomo della sua umanità (perché lo fa fondere con la natura) e dota la
natura di umanità. Tutto, veramente tutto, dal più nascosto granello di
sabbia al filo d'erba nel regista viene valorizzato, ha un'espressione
umana e viene imbevuto di vivida vita. Sbaglia, oh se sbaglia, chi
casserà questo film stigmatizzandone un presunto immobilismo; l'intento
del regista, che poi si fa nutriente realtà, è dare vita alla vita in
tutte le sue forme e sinceramente sgomenta quanta esistenza esploda
letteralmente dallo schermo.
Per raggiungere tale traguardo e per
ambire ad altro ancora ecco la scelta più anti conformista possibile:
destrutturare la forma filmica a tal punto da segare via di netto tutti i
dialoghi. Chiariamolo: ne Le quattro volte non è che si parli poco, non
si parla proprio. Solo il sibilo del vento, il belato del gregge, il
contatto delle ruote del trattore su uno sfondo terreo... E' solo la
natura che può parlare, dire la sua, esprimersi, regina assoluta di un
contesto sociale che sa ancora rispettarla e temerla come le si compete.
Quasi che all'uomo, almeno nel contesto bucolico delineato dal film,
opportunatamente sia concessa null'altro che deferenza e che in questo
modo non si sta tanto male.
E metaforicamente Frammartino si spinge
oltre facendo annusare allo spettatore quattro vicende legate l'una
all'altra, quattro modi di intendere la vita, forse le quattro stagioni.
Dalla morte arriva alla vita, dal male si giunge al bene, nulla si crea
e nulla si distrugge in questo ciclo ambientale dove madre natura
impone una tonificante armonia.
Lo spettatore con la sensibilità meno
affinata potrà comunque godere dell'aspetto estetico, iconografico se
non di quello puramente etnografico. Un'atmosfera che lo pone in bilico
fra documentario e finzione cinematografica, in cui campi lunghi
meravigliosi li proiettano lontano, in un contesto dimenticato ma che
non può non affascinare, sedurre.
"Così deve andare" sembrano dirci
sia Frammartino che la natura. E ciò ha del prodigioso giacché si fa
implicitamente pedadogica forma di pensiero. Soprattutto in tempi di
consumismo esasperato, cementificazione selvaggia e tracotanza umana nei
confronti della natura... Beh questa pellicola ci sospinge a
ridimensionare il nostro posto nel mondo, riagguantare un po' di sana
umiltà, riprendere in mano quella frugalità che i nostri avi
tramandarono ma che molti hanno smarrito.
Le quattro volte ci fa fare
un bagno, un bagno di sole illuminando un cammino che sempre più per
forza di cose deve convergere su moderazione, sobrietà e disponibilità
sentimentale ad amalgamarsi con gli altri esseri viventi, siano essi
umani che naturali.
Come una filastrocca antica si arriva un po'
provati a fine viaggio; un po' perché Frammartino mette a ura prova la
nostra idea consolidata di cinema e un po' perché la semplicità di cui
si fa portavoce è talmente naturale e "semplice" da porre nella nostra
mente una serie di punti di domanda su scelte, motivazioni e forme
mentali.
E, a fine viaggio, oltre a dolcezza e una sorta di
contemplazione meditativa, ci si guarda dentro avvertendo qualcosa di
inspiegabile. In fondo la natura stessa non è meravigliosamente
inspiegabile spesso?