Foto di Florian Nagel - Joker'Z Photography |
Da tempo ormai la techno hardcore si è affrancata dai pregiudizi, quanto meno dalla maggior parte di essi e dalla loro superficiale ignoranza, che la vedevano sentina di rifiuti sociali e di gente allo sbando. E' sempre più facile vedere alle serate persone vestite in modo meno istrionico e comunque gli eventi raccolgono un folto numero di appassionati, elemento che da solo legittima ad interessarsi al fenomeno con curiosità. Chi vi è addentro, sa bene che il movimento è frastagliato in tante declinazioni. Andrea, in arte Andy the core, spirito del piacentino e dotato di un carattere assai simpatico e gagliardo, si muove in territori ancora più estremi dell'hardcore più tradizionale. Come sempre dietro a una scelta spesso vi è un preciso intendimento, una filosofia di azione, oltre che un gusto musicale e l'appartenenza a una bandiera.
Abbiamo inteloquito piacevolmente con Andy nel backstage dello Spazio A4 di Santhià (Vc) in occasione in un suo dj set in un evento firmato Insound. Per la prima volta il nostro lavora con questa organizzazione e se il buongiorno si vede dal mattino, c'è solo da rallegrarsi...
Come ti è sembrata la serata di stasera in
collaborazione
con l’organizzazione di eventi Insound? Hai lavorato bene con
loro e pubblico e locale come ti sono sembrati?
Il locale, lo Spazio A4, è organizzato bene, pensavo
ci fosse meno gente invece è pieno ed è più interessante suonare in questo
modo. Il club non è enorme, ma la presenza di molta gente rende tutto più
coreografico, ottimo feed back da parte mia. Con lo staff di Insound poi mi sono
trovando ben: Marco Demolition è una brava persona e così mi sono sembrati gli
altri ragazzi. Ho notato che sono precisi nelle comunicazioni e professionali,
cosa che non sempre succede quando si lavora come deejay. Complimenti a loro e
per questa serata splendida!
Nella traccia “Virus D” riprendi nella parte
centrale il noto pezzo “Mad world”; detto positivamente, mi piace pensare che
artisti come voi stuprino gli originali dando loro una sfumatura diversa. Come
ci si sente a riprendere in mano qualcosa di tanto diverso dai propri canoni?
L’hardcore è molto basata sul salire, le pause e il
riprendere; alla gente piace fermarsi, godere di una pausa che sa di viaggio e
poi ripartire con la furia. In un dato momento mi è andato di riadattare “Mad
world” in chiave hard, pezzo che tra l’altro già in tanti hanno rivisto. E’ una
delle prime in cui faccio una pausa così, smielata oserei dire, ma, l’hai sentita,
dopo è inarrestabile e il numero dei bpm cresce in modo improvviso. E’ anche
divertente spiazzare la gente, dargli qualcosa di molto calmo che però è solo
preparatorio al massacro successivo. Gli accendini in aria che accendono nella
parte centrale poi è meglio che li spengano quando riparte la cassa per non
bruciarsi (ride).
Proponi un tipo di hardcore assai particolare e che
non concede molto a facili ritornelli e
ad approcci commerciali; come sei arrivato a questa scelta e che rapporto hai
con la hardcore new style?
Oggi spopola letteralmente la new style, che ha una
metrica tutta uguale; i produttori da due o tre anni stanno proponendo quello
che i ragazzi vogliono, ma in realtà c’è tutta una schiera di persone che
quelle cose non le amano e che richiede atmosfere simili a quelle che faccio io.
Appena dopo la metà degli anni 2000 suonavo addirittura hardstyle; dal 2006/2007
mi misi ad ascoltare hardcore quando secondo me era al top e non ti nego che
rimpiango quei momenti perché lì c’è il vero suono “core” che dà ragione al mio
nome. Oggi il genere è molto ampio, diviso in tante sottocategorie e magari uno
conosce Art of fighters ma ti guarda storto se fai il nome di un grande come
The destroyer. Io da anni mi sento di suonare con melodie violente, cassa
lanciatissima e pochi ritornelli e sinceramente mi sembra che oggi ci sia un
bel ritorno a questo modo di intendere le cose. Con le melodie più in là di un
tot non si può andare, pensa solo al fatto che hardstyle e hardcore, quanto
meno nel main, si stanno quasi equivalendo; guarda a uno come Headhunterz, che è
l’estremo della commercializzazione.
Non ci si sente un po’ frustrati nella consapevolezza
che, nella migliore delle ipotesi, il proprio sound arriverà a festival più
grossi ma sempre nella cerchia hardcore senza mai raggiungere un pubblico
davvero vasto?
E’ vero come dici ma lo metti già in cantiere quando
inizi; è chiaro che, scegliendo questa strada, sapevo già dall’inizio di poter ambire
a un pubblico di nicchia. Questo comunque è quello che mi piace, lo faccio con
passione e non potrei guardarmi allo specchio sereno se facessi altro. Vedere
però anche un buon numero di persone che balla i pezzi che stai mettendo in
consolle è la fine del mondo e ti ripaga di tutte le frustrazioni. Non è detto
che un giorno non cambino le cose sia nella scena hard sia nei miei gusti; e
poi pensa alla sfida di far emergere un suono che piace a pochi cercando di
farlo piacere a tanti. Stimolante, no?
Sono curioso di conoscere come componi i tuoi suoni
e da dove trovi l’inspirazione sia a livello di concetti che ti musiche.
Non c’è una ricetta: a volte in dieci minuti esce
tutta la traccia, a volte è meglio che ti alzi dal computer e vai a fare altro
perché non ce n’è (ride). Io porto tutto quello che provo nell’ascoltare tanti
generi nell’hardcore: sento heavy metal…
Ferma ferma, anche metal?
Certo, ti parlo di gente con le palle come Iron
Maiden, Judas priest, Slayer, Metallica. Ma sono stato forgiato da un serie di
atmosfere tanto diverse! Se stai troppo a pensarci a tavolino, perdi quella
spontaneità che invece è importante; io mi metto al sequencer e mi faccio
aiutare dalla macchina a tirare fuori quello che ho dentro. E’ un flusso che
non puoi fermare quando la giornata è giusta ed è qualcosa che davvero riempie
la vita.
Forse non è una domanda che prevede una risposta
univoca, ma prova a descrivermi l’appassionato medio di filoni estremi come la
frenchcore, la splittercore, la terror o la speed.
Il prototipo esiste più all’estero che in Italia; da
noi, anche se negli ultimi anni assistiamo a un’apertura, già è difficile proporre
questi suoni, figuriamoci delle serate specifiche ed eventi ad hoc. In Paesi come Olanda, Belgio e Germania è diverso, più
organizzato e allora lì puoi trovare gente che sente solo terror, magari, e che
schifa la hardcore normale. Secondo me qui oggi la french va tanto quando l’hardcore
perché ha suoni semplici e gira e rigira la gente quello vuole. I ragazzi
entrano in sala e sanno che in quel caso si spaccherà e andrà a 200 bpm tutta
notte. Che persone sono mi chiedi… Prima c’era la classica figura del gabber
che si riconosceva a livello estetico, oggi lo stereotipo è sparito perché i
generi si sono mischiati e durante la settimana è possibile anzi probabile che
questa persona sia un bravo studente o un bravo lavoratore e poi si disfi il sabato sera. Spero davvero che
oggi l’idea del tossico che si va a calare le paste con l’hardcore sia sparita!
C’è un tuo pezzo che si chiama “Hopeless science”,
scienza senza speranza, che inizia con spoken words tenebrose per poi partire
in modo furioso. C’è una riflessione dietro a un titolo tanto particolare,
“scienza senza speranza”?
Il vocal è preso da un film degli anni ’40 in bianco
e nero di cui adesso non ricordo il nome; uno scienziato parla con il suo boss
dicendogli di aver trovato cose che gli umani non possono nemmeno immaginare. E’ un
mio modo classico di muovermi, l’ho fatto in tante altre tracce, mi piace
andare alla ricerca di cose folli. Più che una vera riflessione sulla scienza e
il mondo, in quell’occasione come nelle altre simili c’è la voglia di fare
qualcosa di più ricercato. Poi, è inutile negarlo, uno cerca il vocal che in
pista fa ballare la gente; siamo sempre dei dj e non dei moderatori di un
simposio scientifico (ride)!
Sei autore di una grande quantità di canzoni e
questa è una tendenza che ho già notato in altri produttori del suo genere; a
cosa si deve questa prolificità? Un modo per farsi conoscere in un momento
storico della musica molto inflazionato di proposte? Un’esigenza naturale?
E’ voglia di fare musica e basta; adesso è facile,
molto più di una volta, fare sentire un tuo pezzo. Anni fa, prima che fosse
stampata in vinile, dovevi convincere un’etichetta che te lo producesse, ora
con le net labels i contatti sono veloci. Alcune canzoni magari hanno migliaia
di play ma non verranno mai inserite nei mercati digitali, puoi anche tenerle
lì solo su Soundcloud o Youtube. Al livello in cui sono ho ancora il piacere di fare
quello che mi pare e anche molte collaborazioni che ho con altri produttori
sono per empatia e stima reciproca e non per particolari motivazioni di
marketing.
Se un profano del genere che suoni di dicesse che le
tue canzoni sono tutte uguali ed è solo “bum-
bum-bum”, ritieni meriterebbe risposta e, se sì, cosa risponderesti?
Ma la mia musica è tutta “bum-bum-bum”! (ride). A
parte gli scherzi, se fosse vero questo, allora chiunque si mettesse davanti a
un pc e lanciasse qualcosa a 180 bpm, avrebbe chiuso una canzone in pochi
minuti. Per fortuna la realtà è ben diversa: come diceva Art of fighters “l’hardcore
è kick-down based music”, insomma la cassa è importante, è la base. Ma questa
cassa deve avere un senso, viene amalgamata con altri elementi che ti fanno capire
che questa alla fine è musica come altre. Le nostre canzoni devono dare
emozioni come qualsiasi altro artista di qualsiasi altro genere, le nostre sono
emozioni violente forse, ma chi è in grado di dire che un’emozione non può
essere violenta? E poi ogni ascoltatore si vive dentro l’emozione in modo
diverso. Siamo un genere di impatto, o dentro o fuori, è istinto e ti piace
subito, se ti piace.
Questione rave: come ti senti di commentare i
pregiudizi in vigore verso questi eventi e che opinione hai in merito?
Se intendi quelli illegal… Non li vedo un posto dove
non vai per la musica, ci vai per sballarci, perché è gratis; se invece vai in
discoteca, paghi un biglietto come ad un concerto, c’è un atteggiamento
positivo verso la line up di chi suona e la musica in generale. Ecco, tornando
alla tua domanda di prima, ai rave è più facile trovare quello stereotipo di
tossico che ascolta musica elettronica. Le leggi sono quelle poi: se tu occupi
una proprietà privata e rovini strutture e natura, devi essere sgomberato e
risarcire. E’ un contesto che non fa per me, credo che la musica non debba mai
passare in secondo piano.
Si sente spesso parlare del fatto che nel nostro
Paese sia assente la meritocrazia, la premiazione dei talenti e la frustrazione
di tanti ragazzi uomini e ragazzi che vedono svilite le loro competenze. Come
può difendersi da tutto ciò un giovane che decide di rimanere qui e non
emigrare all’estero?
Ora come ora da lavoratore ti posso dire che, se all’estero
uno trova una vita migliore, non posso certo biasimarlo se emigra. Poi ognuno
ragiona secondo coscienza e le possibilità sono infinite: chi rimane qui, chi
se ne va per sempre, chi va e poi ritorno. Il nostro Paese è bellissimo, io lo
adoro per certe cose, ma oggi spesso è invivibile. Un dj emergente ha meno
spazio, le occasioni di grandi eventi latitano, è anche vero che con i contest
oggi offrono spazio. Devi andare avanti con il feed back della gente e con l’entusiasmo
della passione: anche se una persona solo ti apprezza, ti dà morale e lotta giorno
dopo giorno per convincere tante altre persone.