Regia: Damiano Damiani
Cast: Franco Nero, Riccardo Cucciolla, Georges Wilson, John Steiner, Turi Ferro, Enzo Andronico, Claudio Nicastro, Patrizia Adiutori
Anno: 1971
Genere: drammatico, carcerario
Durata: 93'
Voto: 7,5
Recensione:
Tetro e cazzuto dramma sulle tare del sistema carcerario italiano che, a
giudicare dalla situazione che impera oggi nel nostro Paese, non fa
sentire i suoi 40 anni e passa, visto è databile 1971.
Idealmente a braccetto con l'altra pellicola del regista Damiano Damiani sempre del 1971 "Commissione di un
Idealmente a braccetto con l'altra pellicola del regista Damiano Damiani sempre del 1971 "Commissione di un
commissario di polizia al procuratore della
Repubblica", il film si poggia sulla convinta e assertiva prova attoriale
di Franco Nero nelle vesti un architetto che, per un banale incidente
d'auto, viene posto dietro le sbarre (E "Tante sbarre" fu il romanzo di
riferimento) e si mescola alla popolazione detenuta tanto diversa da
lui. Il nostro farà di tutto per uscire ma deve scontrarsi con un
microcosmo patologico in cui la corruzione non è assente proprio come
nel mondo fuori.
Damiani sceglie la strada della mancanza di orpelli e
sovrastrutture per raccontare una storia (di ordinaria follia? Forse
sì) in cui Nero metaforizza l'uomo comune, allora (e forse anche oggi)
si diceva "borghese", a confronto non solo con le pieghe malate
dell'umanità ma anche con quelle sempre malate del sistema e
dell'istituzione. Stato e carcere vengono allineati in una medesima
sentina di problematiche, scorrettezze e non valori. Damiani ha al
contempo l'arguzia di non sollevare il protagonista da responsabilità
morali in quanto egli stesso banchetta consapevolmente con quelle
marcescenti pietanze allineandosi, laddove gli conviene, con la non
giustizia. Il piglio di Nero è uno di quelli che si ricordano e la sua
capacità va plaudita anche per rappresentare in termini estetici e
attitudinali l'uomo medio in rapporto con un ambiente nuovo, diverso
dalla sua quotidianità.
Intorno a lui si muove tutta una schiera di
attori più o meno conosciuti che costituisce un guscio solido e
marziale: il mai troppo apprezzato Turi Ferro, John Steiner (dotato di
un volto e di maniere davvero luciferini), Claudio Nicastro, Enzo
Andronico. Senza dimenticare il noto Riccardo Cucciolla nei panni di
Pesenti, un super testimone di buona cultura a cui ne succedono un po'
di tutti i colori.
Impossibile non pensare, in parallello alla
presente opera, al film di Nanni Loy Detenuto in attesa di giudizio.
Entrambe condividono l'idea di fondo anche se L'istruttoria è chiusa è
meno angosciante e più da impegno sociale, da denuncia; la pellicola di
Loy indaga più da un punto di vista psicologico, particolarizza il
disagio forse anche perché doveva far vivere un'esperienza a un cavallo
di razza come Alberto Sordi.
Buone anche le locations carcerarie e
l'occhio registico di Damiani che va a indagare nelle anguste celle, nei
pertugi, nei dettagli umani dei vari detenuti. La macchina da presa si
allarga a capo lungo quando deve immortalare momenti d'insieme come la
bella scena degli ideanti nel cortile del carcere. Le scene e i passaggi
fra una scena e l'altra vengono scanditi dalla colonna sonora
arrembante e da groove urbano di Sua Maestà Ennio Morricone.
Damiani
asciuga l'asciugabile restituendo ai posteri una durissima riflessione
su quanto le condizioni delle persone siano difficoltose in un ambiente
del genere. Quelle "facce da galera", verrebbe da dire, non vengono
strumentalizzati dal regista e non appaiono né buoni né cattivi, ma, è
evidente, vengono dipinti come "persone". Il film riflette anche sulla
durezza dell'imprigionamento al di là della colpa, delle criticità di
rapporti all'esterno con avvocati faciloni e parenti e sull'incapacità
delle guardie carcerarie di adempiere agli obbligli sanciti dal diritti
nel rieducare i reclusi e non punirli e basta.
Un film pessimistico, livido, un film che oggi non sarebbe facile fare. Bravo Damiani, davvero.