Non solo le cose non sono cambiate, ma ho voglia di dirle ancora più a voce alta e mi accorgo che sono ancora più intransigente ed estremo nella scelta del cibo con cui nutrire il mio corpo.
Se ne accorge anche chi mi sta intorno, a volte mi sento anche un po' noioso pur non imponendo mai a nessuno una way of life precisa.
Per me da anni funziona così: la dieta che affrontai con successo sette anni fa coincise con l'inizio di un nuovo abito mentale nei confronti dell'intera vita.
Mi dissi che ero riuscito a perdere tutto quel peso, avrei potuto cambiare anche altro: abitudini, mentalità, attività positive. E, cosa ancora pià meravigliosa, potevo cambiare con piacere e senza insormontabile fatica.
Iniziare a moderare e disciplinare il cibo mi sembra cosa buona e giusta per moderare e disciplinare lo stile di vita e di pensiero in genere.
Buona felicità per tutti.
«Sei quello che mangi»: non uno spot
commerciale dell'ultima dieta avveniristica che promette «sette chili in sette giorni» ma il best seller della nutrizionista e
presentatrice televisiva Gillian McKeith. E soprattutto un assioma,
in quanto tutta la comunità scientifica, suffragata dall'Oms, propugna da anni che il
benessere fisico e psicologico di una persona viene determinato in
modo fondamentale dal tipo di alimentazione sposata.
In questo articolo non si troveranno né
diete né precetti di buona vita, ma lo stimolo alla riflessione che
il mangiare correttamente può diventare una vera forma mentale, un
abito mentale da indossare ogni volta ci si sveglia la mattina e da tenere addosso fino a quando ci si addormenta.
Fughiamo subito un dubbio: l'aggettivo
«corretto» in questo caso è improprio; se è vero infatti che
esistono oggettivi parametri validi da praticare (un cospicuo consumo
di verdura e frutta, un equilibrio nutritivo fra
proteine-carboidrati-grassi, l'esercizio fisico, ecc.), d'altro canto
ogni individuo è diverso, viva dio, dall'altro. Per ciascuno dunque
valgono regole proprie e un buon nutrizionista è colui che,
rifuggendo diete indiscriminate e fisse, valuta caso per caso anche
da un punto di vista psicologico. Uno non solo può essere più o
meno sovrappeso, ma può preferire questo o quel cibo e avere dei
momenti nella giornata in cui si sente più «cagionevole» e
incorrere nella cattiva abitudine. Ergo è perfettamente inutile per
un medico obbligare un paziente a mangiare quel tipo di verdura
quando quest'ultimo non la gradisce.
Un altro dubbio da chiarire è il
significato del vocabolo «dieta»: la radice etimologica, che spesso
viene a sostegno del preconcetto fuorviante, rimanda con il latino e
prima ancora con il greco al concetto di «modo di vivere»; si
aggiunga poi che anche le piante hanno una dieta. Non si tratta quindi di un
vezzo intellettuale rimarcare che con dieta è da intendersi non solo
l'impegno di perdere del peso ma anche e soprattutto l'alimentazione
atta appunto a determinare un modo di vita. Il tipo di dieta
corrisponde pertanto al tipo, allo stile di consumo alimentare di
un uomo.
Chiunque possegga l'abito mentale di
cui sopra sa bene quanto benessere guadagni giorno dopo giorno.
Perchè lo sente sulla pelle, nella carne, nelle ossa e nei movimenti
corporei di tutti i giorni. Leggerezza, spigliatezza, velocità di
esecuzione, equilibrio psicologico rappresentano solo alcuni
tangibili vantaggi; gli altri, più squisitamente medici, sono legati
al controllo di diabete, colesterolo, disfunzioni cardiache,
respiratorie e una miriade ai altre componenti dell'organismo umano.
Ecco allora che quello che facciamo assimilare al nostro corpo ci
trasforma in quello che presentiamo al mondo e per noi stessi.
E
diventa cibo per la mente.
Ci costruiamo un'immagine di noi più
vincente e rilassata, ci vogliamo bene, sappiamo cogliere meglio le
opportunità perchè più a nostro agio con noi stessi, possiamo
indossare vestiti più audaci o comunque più carini, ci piacciamo di
più alla prova dello specchio, facciamo l'amore con maggiore
libertà.
Coloro i quali negano queste componenti
o, peggio ancora, mangiano in modo sregolato paventando che il
destino a volte coglie con infarto anche un giovane, mentono sapendo
di mentire.
Perchè mangiare bene non solo diventa
utilissimo, fondamentale per svolgere attività preventiva su di noi,
ma ci distingue per capacità di controllare gli impulsi scegliendo
di essere morigerati.
Altra diceria miserabile è il preconcetto per
cui chi mangia il giusto è emaciato, triste e non si gode i piaceri
della tavola. Nulla di più falso! Non solo puoi mangiare tanto e
rimanere nel tuo peso forma, ma puoi mangiare bene, anzi benissimo,
godendo ogni boccone come il più fortunato dei re, anche
moderandoti.
Le abbuffate sono degli olocausti calorici che piegano
il nostro organismo a una strenua battaglia impari; gonfiano,
ingrassano, sviliscono la persona. Non sono il male assoluto e
talvolta, soprattutto quando il desco è pieno di amici, creano
atmosfera; ma non possono e non debbono diventare la regola. Il trend
quotidiano va commisurato a gusti, indole e e fisico-mente personali;
ciascuno, magari con il sostegno di un nutrizionista, deve trovare la
sua strada, perchè migliorare la propria alimentazione significa
migliorare tutti i giorni della propria vita.
L'invito è infine di scoprire il
piacere di introdurre il giusto dentro di sé, di giocare a calcolare
le calorie di ogni pasto, di capire che alcune abitudini sono non
solo dannose ma anche stupide (la pasta è buona anche senza un sugo
trattato, il condimento esagerato è un abominio). Amoreggiamo con il
nostro fisico, trattiamolo bene e lui ci ricambierà dandoci
leggerezza e, per chi ne ha necessità, calo ponderale.
In ultimo una postilla sulle diete
intese come calo di peso: non occorre brutalizzarsi per un certo
periodo e poi tornare a mangiare come gli animali. Occorre invece
indossare quel famoso abito mentale e metterlo, con un cambio di
mentalità definitivo.
La dieta allora è un ponte verso un
modo di pensare e di essere, un'opportunità che il destino ci dona
per migliorare e per passare a qualcosa di più ambizioso e
rispettoso di noi stessi.
Vogliamoci bene.