Il vostro blogger ha incontrato una
ragazza italiana assunta in un ipermercato cinese. La stessa, che
preferisce rimanere anonima, racconta senza pudore non solo di avere
trovato una dimensione professionale, ma di trovarsi più che bene
con i suoi capi. Si occupa del reparto di abbigliamento, settore in
cui operava già prima in un altro negozio che ha chiuso per via
della crisi lasciandola a casa. Dopo mesi e mesi di inutile assenza
di risposte a fronte di decine di curricula inviati, oggi il suo
padrone ha gli occhi a mandorla. «Sono assunta regolarmente –
spiega – ho trovato nei cinesi molta più onestà di tanti
italiani; prima mi è capitato di lavorare senza tutti i requisiti
del contratto, quando sono venuta qui sono stati precisi e
scrupolosi». Il resto del personale è cinese, lei è l'unica
italiana: «Ma questo non è un problema, anzi mi piace stare con
loro, mi trattano bene e, cosa importante, lo stipendio mi è sempre
arrivato». E la questione lingua? «Questa è l'unica cosa che mi
lascia a volte perplessa; fra loro parlano cinese, ma in mia presenza
in italiano. All'inizio, quando non capivo quello che si dicevano,
andavo un po' in panico». Ma come fanno a tenere i prezzi tanto
bassi? La nostra interlocutrice abbassa la testa e non scende nei
particolari, ma si limita a dire: «Loro hanno fornitori che portano
merce dalla Cina, altro non so». Anche perchè si sente spesso delle
loro condizioni di lavoro al limite dell'inumano e della non qualità
dei prodotti: «Non so risponderle, qui è tutto a posto e i turni di
lavoro sono quelli normali».
Ma normali per i parametri italiani?
Ma normali per i parametri italiani?
Il
capo insistentemente osserva me e la ragazza che parliamo da minuti e
la stessa decide di salutarmi in tutta fretta continuando a piegare i
vestiti.
I cinesi vincono, che piaccia o meno è così. Un dato su tutti deve far riflettere: la Camera di commercio ha stimato che nella città di Milano 1 cinese su 8 è imprenditore, contro la statistica italiana che vede 1 nostro connazionale su 27. In barba alla crisi la loro comunità, la quarta per numero di componenti dopo rumeni, albanesi e marocchini, riesce ad aprire esercizi commerciali in costante incremento. Stime approssimative calcolano che risiedono in più di 250.000 in Italia, senza contare quelli (numerosi di certo) di cui non si sanno le generalità. Alacri lavoratori, alcuni di loro sono in grado di acquistare in contanti (pratica sempre più difficile per noi) immobili e impiantare negozi di ogni tipo. E dopo le metropoli stanno conquistando anche i centri più piccoli; a meno di non abitare in alta montagna, non sarà infatti infrequente imbattersi in loro negozi anche in luoghi mediamente urbanizzati.
Con una novità sostanziale: anni fa apriva il parrucchiere o il venditore di gadget, adesso vi sono ipermercati, piccoli centri commerciali in cui il cliente può trovare qualunque articolo eccetto gli alimentari. Sono gli unici ora come ora fra gli stranieri a potersi permettere di commerciare a questi livelli, tra l'altro a prezzi del tutto abbordabili, largamente più bassi della distribuzione italiana.
Si badi poi ad altri rilevatori spiccioli ma neanche tanto: il presidente dell'Inter Massimo Moratti ha siglato un accordo con il presidente della China Railway Construction Corporation per l'acquisizione di una quota di minoranza della società nerazzurra. E ancora: è noto che il cognome Hu ha battuto a Milano nei numeri Brambilla e Fumagalli. E ancora, e quanto segue è sintomatico di una loro presenza più che massiccia nell'economia italiana: secondo il Financial times la Cina avrebbe acquistato circa il 4 % del debito pubblico italiano per un totale di 1.900 miliardi di euro.
E dulcis in fundo, mostrando quell'autonomia che tutti gli riconoscono, alcuni imprenditori cinesi da qualche tempo hanno assunto personale italiano. Questa, che per ora sembra una pratica ancora poco battuta, potrebbe rappresentare un'inversione di tendenza rispetto allo stereotipo dell'immigrato sfruttato dal datore di lavoro più ricco. Perchè, e sono dati di fatto, i cinesi stanno diventando loro dei datori di lavoro in terra straniera, datori di lavoro di italiani.
I cinesi vincono, che piaccia o meno è così. Un dato su tutti deve far riflettere: la Camera di commercio ha stimato che nella città di Milano 1 cinese su 8 è imprenditore, contro la statistica italiana che vede 1 nostro connazionale su 27. In barba alla crisi la loro comunità, la quarta per numero di componenti dopo rumeni, albanesi e marocchini, riesce ad aprire esercizi commerciali in costante incremento. Stime approssimative calcolano che risiedono in più di 250.000 in Italia, senza contare quelli (numerosi di certo) di cui non si sanno le generalità. Alacri lavoratori, alcuni di loro sono in grado di acquistare in contanti (pratica sempre più difficile per noi) immobili e impiantare negozi di ogni tipo. E dopo le metropoli stanno conquistando anche i centri più piccoli; a meno di non abitare in alta montagna, non sarà infatti infrequente imbattersi in loro negozi anche in luoghi mediamente urbanizzati.
Con una novità sostanziale: anni fa apriva il parrucchiere o il venditore di gadget, adesso vi sono ipermercati, piccoli centri commerciali in cui il cliente può trovare qualunque articolo eccetto gli alimentari. Sono gli unici ora come ora fra gli stranieri a potersi permettere di commerciare a questi livelli, tra l'altro a prezzi del tutto abbordabili, largamente più bassi della distribuzione italiana.
Si badi poi ad altri rilevatori spiccioli ma neanche tanto: il presidente dell'Inter Massimo Moratti ha siglato un accordo con il presidente della China Railway Construction Corporation per l'acquisizione di una quota di minoranza della società nerazzurra. E ancora: è noto che il cognome Hu ha battuto a Milano nei numeri Brambilla e Fumagalli. E ancora, e quanto segue è sintomatico di una loro presenza più che massiccia nell'economia italiana: secondo il Financial times la Cina avrebbe acquistato circa il 4 % del debito pubblico italiano per un totale di 1.900 miliardi di euro.
E dulcis in fundo, mostrando quell'autonomia che tutti gli riconoscono, alcuni imprenditori cinesi da qualche tempo hanno assunto personale italiano. Questa, che per ora sembra una pratica ancora poco battuta, potrebbe rappresentare un'inversione di tendenza rispetto allo stereotipo dell'immigrato sfruttato dal datore di lavoro più ricco. Perchè, e sono dati di fatto, i cinesi stanno diventando loro dei datori di lavoro in terra straniera, datori di lavoro di italiani.