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mercoledì 3 ottobre 2012

IL DITTATORE

IL DITTATORE  

Regia: Larry Charles 
Anno: 2012
Durata: 83'
Genere: commedia

Voto: 8
 
Trama:
Lo stato africano immaginario di Wadiya viene retto da anni da Hafez Aladeen (Sacha Baron Cohen), un istrionico dittatore tanto spietato e crudele nella vita pubblica quanto inadeguato in quella privata. Ma le Nazioni unite lo esortano a recarsi a New York poiché egli si oppone a dei controlli atti a verificare l'assenza nel suo territorio di armi nucleari. Con a fianco il segretario Tamir (Ben Kingsley) parte per gli Stati Uniti ma viene rapito di Clayton (John C.Reilly), un sicario assunto da Tamir. Ha così modo di camminare libero per la democrazia occidentale e di incontrare sulla strada la svanita Zoey (Anna Faris), attivista coordinatrice di un emporio.

Recensione:
Si può accusare di tutto Larry Charles ma non della mancanza di coraggio e creatività; per la quinta regia, dinamitarda come un proiettile imbevuto di cianuro sparato con cerbottana da un clochard sifilitico, si affida
per la quarta volta all'estro di Sacha Baron Cohen ed è
di nuovo bingo dopo i notissimi «Borat» e «Bruno».
La pellicola, di breve durata (poco più di un'ora), si imbeve di caustico cinismo e spara a zero su tutto e tutti con una cinerea ironia che in alcuni tratti potrebbe addirittura farsi fastidiosa a causa della sua gravità. Non viene risparmiato nulla in questa invettiva perenne: le minoranze etniche, qualsiasi razza di questa terra, i politici, i giornalisti, i sistemi sociali di vario genere, i mutilati, gli indigenti.
Baron Cohen diventa il cerimoniere di questo dirompente spaccato degli effetti deteriori dei tempi moderni. E di «tempi» lui se ne intende in modo mirabile, se è vero che possiede plasticità nel volto, presenza scenica che imbarazza la maggior parte degli attori comici attualmente in circolazione, capacità nel calamitare gli occhi di chi guarda. Non si è tra l'altro occupato solo del ruolo attoriale, ma ha redatto soggetto e scenografia in questa pellicola liberamente e ironicamente ispirata alle memorie del dittatore Saddam Hussein e dedicata alla memoria del dittatore nordcoreano KimJong-il.
Quasi tutto ruota intorno alla figura del «dittatore», un podestà assolutamente fuori da ogni logica, provvisto di una crudeltà assurdamente grottesca, ignorante e fiero di esserlo, capace di azioni turpi ma che paradossalmente gli vengono perdonate per la sua trascinante simpatia. D'altra parte è mezzo impotente con le donne, non si è mai masturbato, non sa stare con gli altri in modo costruttivo, si bea dei suoi privilegi.
Le situazioni che fanno sbellicare dalle risate si contano a decine, non si ha il tempo di tenersi la pancia per una che già un'altra trova spazio sullo schermo. Non vi è una parte vincente del film, illuminato da una qualità assoluta per tutta la sua interezza che sorprende. Ed è il politically incorrect che sgorga a fiotti, dove anche i nomi di attori famosi sono citati in modo svillaneggiante, dove alcuni di loro presenziano direttamente con cammei (Edward Norton, Megan Fox), dove anche il personaggio collaterale drammaturgicamente meno utile trova consono spazio nel sontuoso mosaico generale.
E'proprio il carattere particolare del protagonista, egocentrico fino all'eccesso ed egoista sopra ogni cosa, a preservare Charles dall'eventuale biasimo di facile anti-americanità. Il dittatore, ma anche altri carachters (si veda il bizzarro capo della sicurezza che gli viene assegnato al suo arrivo all'aeroporto), rimangono chiusi nei loro steccati di confine di Stato e culturali, zeppi di preconcetti, odio, false maniere affettate. Il film parrebbe dunque più che altro una riflessione sulla folle crisi culturale che permea la Terra all'alba del 2012, che ci rende tutti più vicini grazie ai mezzi di trasporto e alla tecnologia ma anche più lontani per non sapere realmente mettere in discussione il nostro approccio alla diversità. Chi lo fa, come Zoey (una brava Anna Faris), è dipinta in modo bambinesco, quasi stupido, insultata a profusione dal dittatore, una caricatura insomma.
Allora sono le paure a prenderci per i testicoli e l'acre ironia qui presente si fa metafora per interpretare ed esorcizzare le ansie verso la globalizzazione e il melting pot interraziale.
«Il dittatore» si presta a tali approfondimenti, ma può benissimo anche essere goduto come pura opera comica, che farò ribaltare sulla sedia anche lo spettatore più distratto.