Anno: 2012
Durata: 83'
Genere: commedia
Voto: 8
Trama:
Lo
stato africano immaginario di Wadiya viene retto da anni da Hafez
Aladeen (Sacha Baron Cohen), un istrionico dittatore tanto spietato e
crudele nella vita pubblica quanto inadeguato in quella privata. Ma
le Nazioni unite lo esortano a recarsi a New York poiché egli si
oppone a dei controlli atti a verificare l'assenza nel suo territorio
di armi nucleari. Con a fianco il segretario Tamir (Ben Kingsley)
parte per gli Stati Uniti ma viene rapito di Clayton (John C.Reilly),
un sicario assunto da Tamir. Ha così modo di camminare libero per la
democrazia occidentale e di incontrare sulla strada la svanita Zoey
(Anna Faris), attivista coordinatrice di un emporio.
Recensione:
Si può accusare di tutto Larry Charles ma non della mancanza di
coraggio e creatività; per la quinta regia, dinamitarda come un
proiettile imbevuto di cianuro sparato con cerbottana da un clochard
sifilitico, si affida
per la quarta volta all'estro di Sacha Baron Cohen ed è
di nuovo bingo dopo i notissimi «Borat» e «Bruno».
per la quarta volta all'estro di Sacha Baron Cohen ed è
La pellicola, di breve durata (poco più di un'ora), si imbeve di
caustico cinismo e spara a zero su tutto e tutti con una cinerea
ironia che in alcuni tratti potrebbe addirittura farsi fastidiosa a
causa della sua gravità. Non viene risparmiato nulla in questa
invettiva perenne: le minoranze etniche, qualsiasi razza di questa
terra, i politici, i giornalisti, i sistemi sociali di vario genere, i mutilati, gli indigenti.
Baron Cohen diventa il cerimoniere di questo dirompente spaccato
degli effetti deteriori dei tempi moderni. E di «tempi» lui se ne
intende in modo mirabile, se è vero che possiede plasticità nel
volto, presenza scenica che imbarazza la maggior parte degli attori
comici attualmente in circolazione, capacità nel calamitare gli
occhi di chi guarda. Non si è tra l'altro occupato solo del ruolo
attoriale, ma ha redatto soggetto e scenografia in questa pellicola
liberamente e ironicamente ispirata alle memorie del dittatore Saddam Hussein e dedicata alla memoria del dittatore nordcoreano KimJong-il.
Quasi tutto ruota intorno alla figura del «dittatore», un podestà
assolutamente fuori da ogni logica, provvisto di una crudeltà
assurdamente grottesca, ignorante e fiero di esserlo, capace di
azioni turpi ma che paradossalmente gli vengono perdonate per la sua
trascinante simpatia. D'altra parte è mezzo impotente con le donne, non si è mai masturbato, non sa stare con gli altri in modo costruttivo, si bea dei suoi privilegi.
Le situazioni che fanno sbellicare dalle risate si contano a decine, non si ha il tempo di tenersi la pancia per una
che già un'altra trova spazio sullo schermo. Non vi è una parte
vincente del film, illuminato da una qualità assoluta per tutta la
sua interezza che sorprende. Ed è il politically incorrect che
sgorga a fiotti, dove anche i nomi di attori famosi sono citati in
modo svillaneggiante, dove alcuni di loro presenziano direttamente
con cammei (Edward Norton, Megan Fox), dove anche il personaggio
collaterale drammaturgicamente meno utile trova consono spazio nel
sontuoso mosaico generale.
E'proprio il carattere particolare del protagonista, egocentrico fino
all'eccesso ed egoista sopra ogni cosa, a preservare Charles
dall'eventuale biasimo di facile anti-americanità. Il dittatore, ma
anche altri carachters (si veda il bizzarro capo della sicurezza che
gli viene assegnato al suo arrivo all'aeroporto), rimangono chiusi
nei loro steccati di confine di Stato e culturali, zeppi di
preconcetti, odio, false maniere affettate. Il film parrebbe dunque
più che altro una riflessione sulla folle crisi culturale che permea
la Terra all'alba del 2012, che ci rende tutti più vicini grazie ai
mezzi di trasporto e alla tecnologia ma anche più lontani per non
sapere realmente mettere in discussione il nostro approccio alla
diversità. Chi lo fa, come Zoey (una brava Anna Faris), è dipinta
in modo bambinesco, quasi stupido, insultata a profusione dal
dittatore, una caricatura insomma.
Allora sono le paure a prenderci per i testicoli e l'acre ironia qui
presente si fa metafora per interpretare ed esorcizzare le ansie
verso la globalizzazione e il melting pot interraziale.
«Il dittatore» si presta a tali approfondimenti, ma può benissimo
anche essere goduto come pura opera comica, che farò ribaltare sulla
sedia anche lo spettatore più distratto.