Oggi pubblichiamo l'intervento di Andrea Stroppa, 19enne
diventato un punto di riferimento nel mondo informatico italiano. Andrea
ci racconta le difficoltà incontrate dopo aver creato Uribu,
piattaforma di denuncia civica lanciata l'anno scorso insieme a quattro
amici e molto apprezzata all'estero. Lettera d'amore-odio per un
Paese che spezza le ali dei suoi talenti e incitamento per i giovani che
nonostante tutto continuano a sognare.
Quando ho visto su corriere.it la lettera dal titolo "L'Italia è morta, andateve finché siete in tempo", dentro
di me sono passate emozioni su emozioni che si sono infine trasformate
nelle righe qui di seguito. Ho 19 anni,
provengo da una famiglia modesta
e ho una grande passione per l'informatica. Tralasciando tutta la
biografia noiosa, l'altro anno insieme a quattro amici ho
lanciato un software con lo scopo di aiutare i cittadini nella loro
comunicazione con le pubbliche amministrazioni. Mesi di lavoro, tante spese ed un solo sogno: migliorare questo Paese, senza chiedere neanche un centesimo in cambio.
I media, compreso il Corriere, in
più occasioni hanno dato spazio all'idea che mai fino ad ora era stata
realizzata in modo così innovativo. Dopo aver ricevuto premi
istituzionali ed elogi sulla stampa dovevamo passare ai fatti: prendere
contatti con le pubbliche amministrazioni. Vi lascio immaginare com'è
finita.
Dopo aver vinto l'ennesimo premio come idea innovativa, come miglior
sito per i cittadini consegnatoci da Prodi, e dopo aver vinto
competizioni tecniche a livello internazionale, veniamo contattati da
Mozilla, direttamente dal presidente. Dopo alcune conferenze Roma-San
Francisco entriamo in contatto con Code for America, una non-profit americana che fa progetti simili al nostro, ma con un modello organizzativo con un fondo milionario dove poter finanziare progetti e offrire strumenti e risorse.
Rimangono sbalorditi dalla nostra piattaforma e ci chiedono come mai ancora nessuno in Italia abbia utilizzato la nostra tecnologia. Dopo un anno anche io mi faccio la stessa domanda.
Non mi butto giù, ma ho un po' di rabbia.
Due mesi fa insieme al mio collega, poco più grande di me, lanciamo una ricerca tecnica sui social network. New York Times (diventando l'articolo tecnologico più letto), Forbes, Russia Today, BusinessInsider, il maggior sito di informazione cinese QQ, Bloomberg, FoxNews, Time,
i maggiori quotidani tedeschi, olandesi, spagnoli, francesi, indiani,
greci, giapponesi. Negli Stati Uniti la ricerca viene mostrata in tv ben
3 volte su una delle emittenti più importanti: la Cnn. Ci
arrivano i complimenti dalle maggiori aziende tecnologiche degli Stati
Uniti e dai professori di Stanford, Harvard, MIT, Hong Kong University e
Oxford. La ricerca viene presa come spunto nelle conferenze dei
professionisti dell’informatica, in questi giorni è stata utilizzata a
Miami davanti ad una platea di migliaia di persone del settore.
Una ricerca lanciata da due italiani uno dei quali non ha neanche concluso la maturità (io). La ricerca fa il giro del mondo:
Il nostro entusiasmo finisce quando poi una volta usciti dal mondo virtuale ritorniamo nella realtà dell'Italia. Un Paese che non offre nulla, ma che neanche ti lascia inseguire i tuoi sogni. Ti spezza le ali prima di poterle avere. Il Paese delle illusioni.
Un Paese che ha perso i suoi cardini: la giustizia, l’istruzione, la
sanità, il sociale. Un Paese dove veniamo allevati con l’idea che non
serve essere bravi, ma avere conoscenze, una spintarella, un’amicizia.
Dove rubare un po’ alla fine è giusto, tanto lo fanno tutti. L’Italia è
un Paese dove poi non esiste mai un colpevole, dove la politica non ha
mai responsabilità, dove tutti alla fine hanno sempre pronto il dito
puntato verso qualcun altro. Sarebbe infinita la lista delle cose che
non vanno in questo Paese. La colpa è principalmente degli italiani, di
una buona parte degli italiani ai quali bisognerebbe strappare la
cittadinanza.
Dei giovani, della maggior parte, che non è pronta
alla globalizzazione, che non guarda più lontano dalla finestra
dell'aula di scuola. Sì, andiamo via.
Un amico pochi giorni fa ha ricevuto la conferma del suo contratto
indeterminato in Polonia per una compagnia di antivirus. In Italia,
spero non me ne vorrà, era uno degli "sfigati", le persone lo
consideravano "strano". Strano perché leggeva un quotidiano inglese ogni
mattina, strano perché aveva tante passioni, strano perché non sapeva
rubare, non sapeva inchinarsi davanti a nessuno. Strano perché questa società trasforma il normale in strano e lo sbagliato in normale.
Ho visto una scena di un film che diceva che l'Italia è un Paese da
distruggere. Il peggiore perché non cade mai veramente, ma rimane
immobile. Tutti si lamentano, tutti continuano a fare quello che
facevano.
Io vorrei tanto non scappare, vorrei rimanere in questo
Paese, in questo spazio di terra che ha una storia indescrivibile, ma
che non riesce più a scrivere un futuro dignitoso. E proprio per la
dignità non riesco più a sopportare che questo Paese venga stuprato ogni
giorno.
L'Italia non è un Paese morto, l’Italia è un Paese morto
ammazzato.
Fonte: solferino28.corriere.it