Alzi la mano chi, frequentatore di
discoteche e con un età oggi compresa fra i 25 e i 40 anni, ha
sentito esplodere le casse dei club con canzoni come «10/100/1000»
o «Sexy girl» qualche anno fa. Beh vedo un mare di mani al cielo,
le stesse mani che i Brothers facevano alzare in aria ai ragazzi con
una manciata di hits che entrarono di petto nelle play list di tanti
djs. Il quartetto lombardo riuscì a ritagliarsi un posto di primo
piano nella scena dance italica attraverso un suono accattivante,
melodico e catchy, personale e
distinguibile. Il nome girava tanto e
si imprimeva sulla bocca dei fans, che potevano contare, in un ambito
animato talvolta da produttori che davano alle stampe anche solo una
traccia, su un vero e proprio punto di riferimento per le loro danze.
Poi si cominciò a non sapere più nulla dei «fratelli», eravamo
alla metà dei 2000, la italodance accusava un palese declino, l'asettica
house soppiantava il tepore delle arie più ruffiane. Oggi i Brothers sono tornati
per restare e hanno da poco dato alla luce il nuovo singolo «Mirror
on the wall», più in linea con il mercato discografico del momento
ma che non rinuncia a proiettare nella seconda decade dei 2000 il
tipico touch che lo ha resi famosi. L'occasione è propizia per
quattro chiacchiere.
Eccovi sull'orizzonte musicale dopo lo
scioglimento di sette anno orsono, benvenuti! Chissà quante
curiosità in quegli anni di Brothers: serate pazze, live aneddoti
vari. Sentitevi liberi di galoppare nel ricordo e raccontateci
qualcosa.
Più che particolari momenti
divertenti, ti sveliamo qualcosa che in fondo è giusto che sappiano
i fans: noi siamo tornati dopo sette anni perché allora rompemmo i
rapporti , litigammo per stupidaggini. Non ci siamo parlati per tutto
questo tempo dividendoci in due gruppi finché abbiamo capito il non
senso di quel silenzio. Che strani a volte i rapporti umani: orgoglio
e prese di posizione all'inizio sembrano importanti, poi giorno dopo
giorno ti diventa chiara la loro inutilità. Per sette anni di fatto
abbiamo sofferto a non fare più le bellissime cose vissute in
precedenza e ci siamo resi conto che il legame di amicizia fra i
quattro è troppo forte. Eccoci allora ai nuovi nastri di partenza,
chi ci ama può stare certo che non li deluderemo e che non accadrà
più nulla del genere.
Grazie della rivelazione; da un punto
di vista musicale che cosa vi ha indotti a riaccendere i motori e
rimettervi in gioco nel mercato discografico e nel clubbing italiano?
Torniamo anche per una passione che non
si può spegnere, è un fuoco immenso. Ce ne andammo quando la musica
che andava allora non ci apparteneva più; adesso abbiamo
l'impressione che la musica dance attuale ci possa rispecchiare. Siamo ancora in carreggiata e cerchiamo di stare dietro a
sonorità che adesso vanno forte in Europa. La melodia è rientrata
nei gusti dei produttori e noi ci consideriamo capaci di stare al
gioco! E' un bel periodo, credimi, ritrovare lo stimolo di un tempo e
dedicarsi ancora al gruppo ci riempie la vita: giorni fa eravamo
intervistati da Roby Rossini su Radio Manà, lavoriamo nei locali
dappertutto e Jack «Gabriele» Pastori collabora con Giorgio
Prezioso su m2o nel personaggio dello Scorbutico. Siamo quattro djs,
ciascuno ha capacità diverse che vanno a integrarsi: Giuseppe
«Joseph B» Britanni ad esempio ha una preparazione musicale elevata
e siamo specializzati in un settore; ci confrontiamo e cerchiamo di
tirare fuori il meglio possibile. Poi c'è Thomas Ferri che vive a
Bolzano e Walter «Watt» Mangione.
Siete stati, insieme a pochi altri come
Danijay, Benny Benassi, Gabry Ponte, Luca Zeta ad emergere in tempi
in cui la italodance soffriva e faticava a bissare i fasti del
passato. Come siete riusciti a imporre i Brothers in Italia ma anche
in altri Paesi all'estero?
Sai cosa succede nel mondo della
musica? Occorre credere in quello che si fa e confrontarsi con gli
altri big della scena facendosi un po' di sana autocritica. Un esame
su te stesso ti permette di vederci chiaro, non soffrire di ego a
tutti i costi: ti sembrerà forse strano, ma crediamo che questo sia
il primo passo per ambire a esportare il nostro sound anche fuori
dall'Italia. Siamo persone semplici, non esaltati, umili e sappiamo
metterci in gioco. Se uno ha un'idea, la tira fuori senza gelosie, il
team è fortissimo e andiamo d'accordo.
Parlando di italodance, considero un
vero peccato il fatto che si siano perse le tracce di tanti progetti
qualitativamente ottimi ma vittime delle difficoltà commerciali, dal
2005 ad oggi, in cui la italo versava e sta versando in cattiva
salute.
Facciamo una differenza fra produttori
e produttori: vent'anni fa certa nostra italo sbarcava anche in
Europa e si creò un scia positiva che impose il nome dell'Italia in
ogni dove. Erano tempi meravigliosi, ma l'onda va cavalcata anche
quando c'è il mare fermo, occorre remare e andare avanti lo stesso.
Vogliamo dire che molti sono scomparsi perché, anche a fronte di un
talento, non hanno resistito ai cambiamenti delle mode musicali.
Alcuni invece hanno investito tempo, energie, credendoci e avendo le
palle di non deprimersi, continuando a lavorare e a non pensare di
avere ragione per forza. Oggi non si può produrre come prima, adesso
il nord Europa impone delle precise sonorità; lì i djs come
Sebastian Ingrosso o Alessio hanno la forza e l'umiltà di unire le
forze e fare gruppo. In Italia la cultura della sfida fu troppo
presente nel periodo d'oro e adesso purtroppo il quadro non è
diverso. I djs che emergono dovrebbero imporre il suono proprio
attraverso le sinergie per sviluppare la scena; è risaputa
tradizione che nel nostro Paese l'individualismo e l'invidia la fanno
da padrone, il che, per finire di rispondere alla tua domanda, ha
scoraggiato più di un bravo produttore.
Vedo che alcuni sono tornati a
rinverdire il loro nome: Danijay stesso, Magic box, The soundlovers e
voi naturalmente. Si nota in queste nuove produzioni l'esigenza di
piegare lo stile di ciascuno a synths più moderni, prog house.
Ritenete che oggi questo sia il nuovo concetto di «maranza»?
Non proprio. Diciamo che è una scelta
quasi obbligata perché, per stare dietro al nuovo filone, occorre
allinearci, pena cadere nel dimenticatoio; noi invece vogliamo
lanciare ben chiaro il nostro nome. Questo è il nuovo concetto della
musica commerciale dance italiana, non sappiamo quanto sia lecito e
opportuno oggi parlare di «maranza»; questo termine, che rimanda
alla dance popolare ed è sinonimo di divertimento, felicità e
baldoria, aveva una dimensione prima. Sia però chiaro, diciamo
questo con grande affetto per la filosofia «maranza», non ne
prendiamo le distanze e anzi ci piacerebbe molto che quello spirito,
quel modo di intendere le nottate, si ripresentasse anche adesso.
Cosa vi sentite di dire a tutta quella
schiera di producers italo come Dj Doddo, Glaukor, Dj Bovoli, Sander
o Dance Rocker che invece percorrono la italo ancora con le
caratteristiche dei tempi d'oro ma negli ultimi anni?
Li ammiriamo perché credono fortemente
nella loro musica; la giusta scelta è sempre fare quello che ti
suggerisce il cuore e chissà che un giorno riescano a portare la
scena musicale dove desiderano. Se noi fossimo nati una ventina di
anni prima, ci saremmo allineati a gente come Alphaville, Falco,
Gazebo o ai più grandi esponenti dell'elettronica anni '80; ovvio
che crescendo ti ritrovi davanti a realtà musicali diverse e questo
esempio posiamo farlo con gruppi anche più storici. Il tempo cambia
e ogni artista ha un'espressione nel tempo in cui vive. Noi siamo
oggi più orientati a seguire la progressive house perché la
tecnologia odierna va in quella direzione e ed è stimolante andare
avanti. Quando 10-15 noi creammo quei suoni, non c'erano stati prima e
abbiamo contribuito che la musica si evolvesse. Eravamo diversi dagli
anni '90 e oggi crediamo di dover evolvere il nostro vecchio suono: è
proprio un fatto di crescita, umana oltre che professionale.
Come funzionava il processo di
composizione con cui deste alla luce le varie «Sexy girl»,
«10/100/1000», «The moon»? E' cambiato qualcosa per far uscire
«Mirror on the wall»?
Non è cambiato nulla, abbiamo sempre
fatto la stessa cosa: in studio capiamo che tipo di canzone e
fondiamo gli stimoli che giungono a tutti i quattro. Nell'ultima
canzone abbiamo inserito un rapper, in «Dance now» già anni fa
avevamo fatto qualcosa di simile; ripercorriamo così le nostre
radici. Possiamo preannunciarti che stiamo preparando un disco che
lascerà il segno, sarà fortissimo, dobbiamo solo concluderlo
tecnicamente e uscirà a gennaio o febbraio 2014. Ai fans
presenteremo tre canzoni del nostro passato, proprio quelle della tua
domanda, riattualizzandole ma lasciando quel senso italodance che le
rese note. E anche sul fronte live siamo in attesa di sapere mete
future; non sono periodo molto floridi per il momento economico,
speriamo in bene.
Come vi ponete oggi davanti a pezzi che
magari si ricordano meno del vostro passato come «I'm gonna fly»,
«Memories», «This is», «Another chance»?
In alcune tracce ci riconosciamo, ogni
figlio lo ami; diciamo alcune trame musicali, tornassimo indietro, le
rifaremmo in altro modo. Anche se poi quell'inesperienza ci fece
avere notorietà ed è giusto che rimangano così perché allora
quelle sonorità e quelle capacità ci appartenevano.
Uno dei voi aveva fatto uscire sotto il
monicker Watt Mangione il pezzo «Gira il mondo» e stava dietro al
meraviglioso progetto eurodance anni '90 Exit way; potete parlarmene?
(è Watt Mangione a parlare) Exit way
nacque con la collaborazione di Alessandro Iacovone; lo conobbi, lo
aiutai in alcune produzioni. Erano i miei primi approcci con la
dance, mamma mia quanto ero giovane! Il progetto andò molto bene
soprattutto per il singolo «Flyin'in the space», che ottenne un
buon seguito; ancora oggi, sentendolo, credo nella sua bontà con
quei suoni futuristici, progressivi e quel ritmo decisamente veloce.
Sul pezzo «Gira il mondo»: ero un giorno da solo in studio e lo
scrissi cercando di raccontare l'estate in modo buffo, leggero e
divertente. In Spagna andò molto bene, in Italia qualche radio lo
trasmetteva; ha il tipico sound di certa italo di metà anni 2000,
anche la cassa, il tipo di sintetizzatori e i vocals sono in pieno
inseriti in quel filone.
Cosa vi sentireste di dire agli
organizzatori di serate in discoteche italiane? Ritenete abbiano
responsabilità di qualche genere nel non diffondere la musica dance
nel giusto modo?
Sì, assolutamente. I locali sono
concepiti in modo lontano dal concetto europeo; da noi gli impianti
qualche volta sono inadeguati, non si dà importanza al dj, occorre
accogliere gli artisti in altro modo se si vuole fare le cose
decentemente. Spesso ci sentiamo dire che la serata deve essere
basata sulla quantità di tavoli ordinati dai clienti, una filosofia
completamente diversa dal nostro modo di sentire la musica e il club.
Prendano esempio da certi posti all'estero e si stampino bene in
testa queste parole: in discoteca si va per ballare. Punto.
Come vi ponete davanti alla differenza
di comunicazione che ha imposto l'informatizzazione massiva? Siete
critici trovandola fredda o asettica o se ne fate un uso consapevole?
Questo mondo digitale è un vantaggio:
una volta, per raggiungere il pubblico, dovevi avere la fortuna di
trovare qualcuno che credeva in te. Oggi, se uno ha buone capacità,
ha velocemente la possibilità di farsi conoscere. Noi ci crediamo e
siamo contenti di interagire con chi ci segue via web; è sempre una
questione di adeguamento, non puoi rimanere vecchio, devi catturare i
ragazzi di oggi con i loro mezzi.
Nell'ambito dance quali sono i
personaggi, artisti e non, di cui avete più stima e con cui vi è un
grado di amicizia maggiore?
Con Prezioso abbiamo un rapporto di
amicizia e di collaborazione professionale, lo stimiamo molto davvero
perché è un genio, è assolutamente il più bravo in Italia da un
punto di vista tecnico e sta dietro ai tempi stando avanti agli
altri. Poi abbiamo stima di parecchie persone come Luca Zeta,
Danijay, non mollano mai, rincorrono sempre i loro sogni. Stimiamo
anche gente come Provenzano o Gabry Ponte: possiamo discutere sul
loro gusto musicale, ma i risultati danno loro ragione perché in
tanti li ascoltano, sono ottimi comunicatori. Ogni musica ha il suo
pubblico e non siamo critici verso gli altri; il disco lo fai perché
rappresenta la sua anima, non possiamo discutere il percorso di
un'altra persona.
Perché in Italia è così difficile
trasformare una passione corredata di talento in lavoro? Vi siete mai
sentiti chiedere, dopo che avete risposto a una domanda, «Sì...
capisco che ti piace mettere i dischi... Ma che lavoro fai in
realtà»?
Succede questo perché da noi non c'è
una cultura sulla figura del dj. Le masse non concepiscono questa
attività come un lavoro perché non c'è la conoscenza di quella che
è la costruzione musicale. C'è uno studio dietro alla produzione
elettronica, è come fossimo musicisti con gli strumenti veri. Ci
sono poi poche persone che intendano investire sulle nuove promesse e
molta incompetenza nel mondo della discografia. Ringraziamo invece
come uno come Dj Ross, bravo musicalmente e dotato di spirito
imprenditoriale, che adesso ha preso in considerazione le nuove cose
che stiamo facendo. Per l'inizio carriera ringraziamo Alex Zullo, un
bravo produttore italiano che diede una mano a inserirci.