L'attore Carlo Gabardini |
Molto significativa, serena, riposante, ironica e profonda la lettera che l'attore Carlo Giuseppe Gabardini, che i più ricorderanno per incarnare Olmo in Camera café e che ha mandato a Repubblica rivolgendosi a un ipotetico intelocutore omosessuale.
Caro ragazzo gay, o bisex, o indeciso o boh, la vita è durissima,
spesso è uno schifo, ma la propria identità sessuale non può mai essere
un motivo per deprimersi, farsi del male, uccidersi. Scusami se ti
scrivo, ma io ho bisogno di dirti una cosa: essere gay è bellissimo. Non
è una colpa, non è un atteggiamento che uno sceglie, è normale tanto
quanto non esserlo.
Ma la cosa che
nessuno dice mai è che essere gay è anche bellissimo. Poi
a me sta bene che chi pensa che l’omofobia sia il problema, lotti per
combattere l’omofobia, foss’anche solo per un motivo simbolico e per
accendere i riflettori sulla questione. Ma se tu finalmente ti convinci
di essere nella tua squadra del cuore, la più splendente perché meglio
definisce i tuoi gusti sessuali, beh, allora che ti frega che — quasi
sempre per invidia — quelli di altre squadre ti prendano in giro? Se
sono dell’Inter e un milanista mi urla «nerazzurro di merda» io me ne
faccio un vanto e magari gli rispondo pure «dimmi, pallosissimo etero!».
Poi, ovvio, se vuole menarmi e magari sono pure più di uno, scappo, e
se mi fanno del male o anche solo minacciano di farmelo, sporgo
denuncia. E non sto dicendo che bisogna subire passivamente, però la
questione è che non mi lascio deprimere o far venire dei dubbi, non mi
lascio convincere che quello sbagliato sono io, che quindi debba punirmi
e possibilmente strapparmi di dosso questa brutta cosa o ammazzarmi. Ma
neanche per sogno. E sai perché? Perché essere gay è bellissimo, c’è da
metterselo in testa. E poi, rimanendo in metafora, se capisci che fai
parte di una squadra, capisci anche — ed è importantissimo — che non sei
da solo. C’è stato un tempo antico e pure lunghissimo in cui
l’omosessualità non era assolutamente un problema, credo che nemmeno se
ne parlasse; poi ci son stati secoli bui e buissimi di oscurantismo,
arresti, lotte, morti, e battaglie vinte, e passi indietro, e leggi
terribili e pena di morte, e tutto ciò in realtà dura tuttora in troppi
luoghi. Però nel 2013 c’è una certezza che nell’intimo nessuno può
misconoscere: essere gay o eterosessuali è assolutamente la stessa cosa.
È come dire biondo, castano, alto, magro, sportivo, tutte quelle cose
che ovviamente fanno parte di noi, ma nessuna di esse presa
singolarmente ci definisce del tutto. Ovviamente troverai chi ti dice
che le bionde sono stupide e i mancini subdoli, come sicuramente
troverai anche degli etero che ti dicono che i gay fanno schifo, e
incontrerai dei gay che ti ammoniscono che andare con le donne sia
orribile e pericolosissimo, ma sono frange estreme ignoranti, sono
slogan da tifoserie, niente che debba preoccuparci davvero. Quando sento
qualcuno farneticare dicendo che l’omosessualità è una malattia, la mia
prima reazione non è mai violenta o depressiva, piuttosto è la stessa
identica che avrei se sentissi qualcuno dire «l’obesità è infettiva» o
«masturbarsi rende ciechi»: mi vien da ridere, mi fa pena chi dice
queste cose, giuro, mi chiedo dove abbia studiato, mi interrogo se posso
aiutarlo in qualche modo e di solito gli sorrido come a un povero
scemo, poi se mi va cerco pure di spiegargli che sta dicendo delle
stronzate piuttosto umilianti, ma intendo umilianti per lui.
Se invece dopo le parole stupide di uno stupido vado a casa a piangere, e
penso che farmi del male possa in qualche modo curarmi da questa
terribile malattia che è «amare chi amo ed essere quello che sono», sto
facendo il gioco dello scemo, e così lui non capirà mai che quello che
ha bisogno di essere curato è lui, e penserà addirittura d’aver vinto.
Io non ripongo nessunissima speranza negli omofobi, perché sarebbe come
chiedere un consiglio a un sacchetto di carta o un bacio a un kiwi. Io
vorrei che queste morti più che gli omofobi scuotessero tutti noi
non-omofobi a dire tranquillamente che essere gay è bellissimo,
stupendo, perfetto. Perché il problema sono i nonomofobi che comunque,
spesso inconsciamente, continuano a pensare e far proliferare l’idea che
essere gay sia un problema, una colpa, una tragedia, una questione
spinosa di cui occuparsi. Non è così. Non per forza. Essere gay è almeno
tanto bello quanto non esserlo e essere dell’altro. Anche perché io
penso che nella scala fra totalmente eterosessuale e totalmente
omosessuale ci siano infiniti gradi. Anzi, penso che ci siano tanti
gradi quanti gli abitanti di questo pianeta meno uno, se stessi: perché
ci si innamora di un essere umano, non di una sessualità. Io mi innamoro
di Alessia, di Salvatore, di Caterina, di Dario, di Elena, di Cezanne,
di Monet, di Gadda, di Philip Roth, di Tondelli, della Munro, non delle
donne o degli uomini, non dei pittori o delle pittrici, e neppure degli
scrittori o delle scrittrici. Ma ve lo immaginate nascere in un posto
dove ti dicono: tu puoi amare solo le musiciste donna oppure i tabaccai
maschi? Non è così. Ci si innamora di chi ci s’innamora. Punto.
Io della mia omosessualità non parlo mai perché penso che non sia una
notizia. Ma se la non-notizia di esser gay, nel momento in cui viene
dichiarata da tutti i gay, può salvare anche solo un ragazzo dal proprio
proposito di suicidio, beh, allora lo dico: io sono gay. E come dice
una mia ex fidanzata, è anche per questo che sono adorabile.