L'ardore dei 23 anni, la
beata gioventù che avanza e si fa fiera di incedere a spron battuto.
Tardo adolescenti chiusi in sè stessi, senza ideali, mordente e
anaffettivi? Sociologi e psicologi (oltre a vergognarsi della loro
caratura professionale), lo vadano a raccontare a Ivan Ambrosi, il
quale, con il nome di battaglia di Ivan Maister, arroventa le notti
danzanti dell'organizzazione di eventi Insound contrappuntando con la
voce nel ruolo di vocalist i djs di turno. Una posizione che parrebbe
semplice, ma con «due stronzate» non si comunica nulla e Ivan vuole
comunicare. Lo abbiamo raggiunto allo Spazio A4 club di Santhià in
una delle tante sontuose nottate griffate Insound. Sono le 4 passate,
Ivan è ancora in piena forma nonostante il suo compleanno
festeggiato e un paio d'ore di lavoro a supporto degli artisti che si
sono esibiti. L'occasione si è rivelata propizia per
parlare ad
ampio raggio del mondo della notte, di Vercelli e della morale
comune. Quant'è bello interagire con chi va al di di là di
apparenze e preconcetti; Ivan è uno di questi.
Come mai hai deciso di
intraprendere l'attività di vocalist?
Iniziai ad andare in
discoteca a 13-14 anni e mi accorsi ben presto che il ruolo che mi
intrigava di più era quello dell'MC e del vocalist. Mi affascinava
che la voce di un uomo potesse muovere delle persone, trasmettesse
dei messaggi, dicesse quello che pensava. Parlare è molto più
diretto di suonare un disco, consente di farti seguire dalla gente.
Che ricordi! Andavo in bicicletta al «Vanillas», l'unica discoteca
di Vercelli; dopo la chiusura del locale, smisi proprio di andare a
ballare, anche perché il «Globo» a Borgo Vercelli era per quelli
più grandi. L'innamoramento fu poi con le serate Insound, dove
conobbi Doctor Zot e tutto il resto. La curiosità è che, prima di
fare il vocalist, non ho mai fatto una serata come cliente.
Quali sono gli ingredienti
che consentono alla vostra organizzazione Insound di distinguersi in
modo tanto vincente nelle nottate piemontesi?
L'ingrediente
fondamentale, che ho notato anche in altre serate a cui sono andato
come semplice cliente, è che ci dev'essere amicizia. Da noi tutti
sono presi in considerazione, ognuno viene valutato e rispettato per
il suo spazio e le sue qualità; altrove c'è un direttore artistico
che detta legge e che gli altri seguono come satelliti. Io sono di
Hardream ad esempio, Doctor Zot è di Maximum project, ma, anziché
esserci competizione, collaboriamo, ci facciamo forza a vicenda e si
va pure a cena insieme.
A proposito di Hardream...
Raccontami qualcosa di questa organizzazione di eventi.
Tutto è nato nel 2008 con
un piccola serata in un locale a Vercelli per far divertire un città
che ancora oggi non ha molte opportunità di svago. Siamo noi che
creiamo un movimento, trasmettiamo la nostra passione per la musica e
un favoriamo un movimento per un genere. La parola «dream» è
importante: ci piace pensare di avere un sogno e farlo avverare piano
piano, evento dopo evento, coinvolgendo sempre più gente per far
capire che ci crediamo davvero in quello che facciamo.
Saprai
bene che in circolazione ci sono persone che, al solo pronunciare il
vocabolo «vocalist», sono colte da convulsioni. In che modo a tuo
parere un bravo vocalist riesce a entrare nel giusto mood della
nottata senza invadere? E in che modo concepisci il tuo essere
vocalist?
La
maggior parte delle persone forse pensano che un vocalist basta che
dica due stronzate ed è a posto. In realtà quelle «due stronzate»
sono dire la cosa giusta al momento giusto, ti sembra facile questo?
E' interagire con un pubblico. Un conto è che qualcuno senta la sua
serata registrata, un conto è far partecipare il pubblico in linea
diretta e trasmettergli qualcosa. Poi il ruolo del vocalist è
concepito male: siamo sempre stati abituati a sentire techno anni fa
quando c'era molta cassa e bisognava parlare molto. Adesso i giovani
hanno un modello diverso che somiglia agli eventi esteri con migliaia
di persone. Io cerco di lavorare come fanno in Olanda in America in
modo da parlare in inglese e italiano, offrendo un prodotto che
spazia. L'MC, diversamente dal classico vocalist italiano, e io sono
un MC, improvvisa e interagisce; intervengo spontaneamente, mi sento
tra fratelli e amici che hanno la stessa passione.
Come descriveresti
l'hardstyle a un ragazzo che non ha la più pallida idea delle
caratteristiche di questo genere?
E' un sound forte a cui
non è abituato ma che gli piacerebbe; finché non provi, non puoi
giudicare. L'importante è volersi divertire, stare in buona
compagnia in un clima informale in cui non ci sono big e primedonne.
Te ne accorgi quando vieni da noi e ci conosci, non ci interessa
primeggiare ma fare belle esperienze di clubbing.
Ci
sono particolari accorgimenti che utilizzi per mantenere sempre la
voce all'altezza? Ti è mai capitato di dover salire sul palco senza
voce, magari con un po' di laringite o influenza? Cosa si fa in quei
casi sfortunati?
E'
molto dura in quei casi: ho una voce piuttosto bassa e devo sforzarmi
molto per fare un buon lavoro. Quando mi capitano due serate di
venerdì e sabato, bisogna cercare di parlare meno, se no diventa
molto difficile. Lì devo poi essere un po' meno spontaneo e
calcolarmela di più on stage, ma è l'unico modo per non sfigurare.
Se tu fossi un pittore o
comunque un artista, con quale immagine o forma rappresenteresti la
sensazione che ti anima all'interno quando centinaia di persone
ballano mentre tu parli al microfono?
Interessante domanda! Ti
rispondo la spirale, che è lo stesso modo con cui rappresento la
vita. Molti mi raccontano che vedono l'esistenza come una linea
retta, che però inizia e finisce e questo non mi piace. Nella
spirale, se tu fai qualcosa, prima o poi ritorna: questo è il modo
in cui approccio ogni giornata quando mi sveglio e con cui vedo la
gente che balla mentre parlo. Puoi pensare che in quei casi assorbo
la loro stupenda energia e nello stesso tempo cerco di
trasmettergliela con la voce. E la spirale mi dà anche la dimensione
dell'artista: non che adesso io sia arrivato, anche perché credo sia
stupido e sbagliato sentirsi perfetto, ma, anche all'inizio quando
non riscontravo molto l'apprezzamento degli altri, mi dicevo sempre
di non mollare, di crederci. E quello stesso stimolo ce l'ho ancora
adesso, continuare in una spirale che ti coinvolge in un movimento.
Quali sono le critiche
maggiori che ti senti di fare agli organizzatori di serate in
discoteca in generale in Italia; e agli organizzatori di serate
hardstyle e hardcore?
Molti iniziano con la
passione e finiscono nel voler far soldi; certo le tasse non si
pagano con la passione, ma non si può lasciarla perdere e annullarla
come fanno alcuni che spengono l'interruttore della vita. Bisogna
trasmettere con i pensieri e con le parole; io faccio pubbliche
relazioni nonostante lavori nel main stage e vedo che i ragazzi mi
seguono perché sono credibile in quanto felice di trasmettere quello
che sento dentro. Pensando esclusivamente ai soldi, si fanno le
scelte sbagliate: campare non significa vivere, per essere felici ci
vuole molto di più!
Quale ritieni sia il
limite oltre il quale l'hardstyle non dovrebbe andare per snaturarsi?
Quali ambizioni può avere a tuo avviso questo genere in ambito
commerciale?
Dovrebbe rimanere sui suoi
passi; all'inizio il genere, un po' come l'heavy metal, nasce come
nicchia. Adesso a mio avviso lo si sta spingendo verso sonorità
troppo house e commerciali; ad esempio Heahunterz, che pure ha fatto
una rivoluzione spostando migliaia di persone verso quello che
piaceva a lui, ha esagerato nel cambiamento. Guarda invece uno come
Tatanka, che rimane sulla sua strada anche a costo di fallire; questa
è personalità!
Tu sei di Vercelli. Alcuni
sostengono che Novara e Vercelli siano due città e due provincie
senza grandi sbocchi per la nightlife e il clubbing. Sei d'accordo?
Come valuti in generale il luogo in cui abiti?
Vicino a Vercelli al
momento l'unica discoteca è ancora il «Globo»; pensa che sono
andato in Comune a chiedere e mi hanno risposto che non esiste un
locale che abbia la licenza per fare discoteca. A mio parere questo
arriva dalla mentalità della gente: non ci volevo credere, ma pare
che in ogni posto ci sia un modo di pensare diverso. Vercelli è un
ambiente da «paesanotti», è un «paesone» più che una città
capoluogo di provincia. Con Hardream stiamo cercando di portare i
vercellesi fuori e abbiamo raggiunto discreti risultati; a Vercelli
non vanno per sentire la musica ma per moda, lì oggi è impensabile
organizzare qualcosa come a Santhià.
Ritieni che il pubblico
medio nelle vostre serate dovrebbe interessarsi di più alla musica
in quanto cultura piuttosto che ballare incondizionatamente qualsiasi
cosa esca dalle casse?
Ecco la differenza fra
Italia e Olanda: lì c'è la cultura della musica, da noi la cultura
del calcio. Secondo te quale mi piace di più? Occorre avvicinare le
persone ad approfondire la materia e capire che dietro alla creazione
delle canzoni e l'organizzazione degli eventi c'è uno studio, un
sapere e varie competenze. Il problema di molti italiani poi è che
non conoscono bene l'inglese e cantano dicendo versi intonando la
melodia. Quindi non comprendono nemmeno il messaggio che magari può
avere un testo.
Sei giovane: la tua
sensazione, senza scendere troppo in discorsi
politico/amministrativi, è che coloro che decidono per noi siano in
grado di recepire le vostre esigenze, necessità?
Dovrebbero ricordarsi di
più quello che hanno fatto da giovani, invece prevalgono altre
scelte e altre mentalità. Un grosso problema poi è questo: ho
notato che, quando tu dimostri talento, alcuni se non molti non ti
danno la soddisfazione di ammetterlo e valorizzarti. Quasi come se la
fossero sudata e anche tu per forza devi fare così; ecco che allora
diventiamo il «popolo delle barbe bianche» e alcuni ragazzi si
stufano e mollano il colpo. Bisogna essere disposti a far crescere
qualcuno: con Hardream ad esempio vogliamo un staff giovane e vivace,
lanciare talenti, non pensare mai di essere arrivati. O a Insound: io
sono un vocalist «titolare» nel mai stage, ma, se ce ne fosse nella
talent un altro bravo, perché non coinvolgerlo e lanciarlo? E' una
questione di merito, di aiutare chi è ambizioso e può farcela.