Ci vuole coraggio per
cambiare, ma forse neanche tanto. Per migliorare, sentirsi meglio,
raggiungere la felicità e sfruttare potenzialità ponendosi in
armonia con se stessi e gli altri non c'è che da scegliere, decidere
che cosa guardare. In fondo la sfortuna è un punto di vista e,
stando alle parole di Claudia Mengoli, «la felicità è un modo di
vedere le cose». Claudia non è solo una scrittrice, ma una persona
poliedrica e sensibile che ha firmato «La mia trasformazione»,
libro edito da Albatros/Il filo nel 2012 entrato di diritto nella mia
«bibliografia dello splendore». Sono solito chiamare in questo modo
una decina di volumi che in questo ultimo anno hanno
cambiato la mia
vita, reinventandomi come uomo, sovvertendo certezze e mostrandomi un
altro lato della luna su cui piano piano, con gli incerti passi
dell'umile discente, imposto e imposterò i miei giorni. Claudia non
ha redatto un volume accademico e zeppo di teorie, racconta la storia
di
drammi e rallegramenti personali, delizia con una felicità di stile che, raccogliendo la spontaneità del bambino felice, mette di fronte il lettore all'unica responsabilità dell'esistenza: prendersi la responsabilità di essere felice. Con l'ardimentoso impeto di chi non si nasconde e non nasconde la verità, «La mia trasformazione» ambisce a porsi come stimolo per altri a guardarsi dentro vedendo la magnificenza interiore propria di ciascuno. Perché? Quando provi il bene, quando SENTI il bene sulla pelle e nella carne, quando ti sei espanso verso l'illuminazione, non puoi che condividerlo con gli altri. Un po' per il piacere infinito di farlo, un po' perché il bene torna sempre indietro prima o poi.
drammi e rallegramenti personali, delizia con una felicità di stile che, raccogliendo la spontaneità del bambino felice, mette di fronte il lettore all'unica responsabilità dell'esistenza: prendersi la responsabilità di essere felice. Con l'ardimentoso impeto di chi non si nasconde e non nasconde la verità, «La mia trasformazione» ambisce a porsi come stimolo per altri a guardarsi dentro vedendo la magnificenza interiore propria di ciascuno. Perché? Quando provi il bene, quando SENTI il bene sulla pelle e nella carne, quando ti sei espanso verso l'illuminazione, non puoi che condividerlo con gli altri. Un po' per il piacere infinito di farlo, un po' perché il bene torna sempre indietro prima o poi.
L'abbiamo raggiunta e lo
scambio dialettico con lei è uno di quelli che non si scordano.
Grazie Claudia. Davvero.
Il tuo libro si intitola
«La mia trasformazione»; io lo sento come un road movie nella tua
esistenza e nella tua anima con flash back, frammenti persi nel
tempo, sogni. E' stata per te una catarsi, un modo di epurare via
dolore, orgoglio, distorsioni dell'io?
Ho iniziato a scrivere il
libro per il bisogno di buttare fuori emozioni che necessitavano di
essere comprese; adoro scrivere, è un modo per portare chiarezza
dentro me. A un certo punto ho avvertito che quelle pagine dovevano
diventare qualcosa di più, che quella sofferenza doveva giungere a
un punto di purificazione, ecco la formalizzazione del libro come
arrivo necessario. Insomma lo dovevo a me stessa, una forma di
potente liberazione dal dolore; per molto tempo non ho creduto in me
stessa, cercavo di essere sempre e comunque accomodante nei rapporti
umani. Chiamala debolezza, dagli tu una dimensione, io so solo che
quell'attitudine, che veniva da lontano anche da prima che io
nascessi, non mi ha portato alla felicità. Il libro mi ha confermato
l'importanza di conoscersi, amarsi e credere in se stessi e sentivo
che anche altri potevano godere di questa illuminazione. Non ho fatto
ciò per il mio ego ma per restituire a ognuno una versione di
Claudia migliore e positiva. Nessuno mi ha chiesto se queste pagine
sono frutto di invenzione, vuol dire che la verità ha colpito e
questa è una soddisfazione eccezionale. Anche a livello di stile non
saprei che dire, ho seguito un filo del tutto spontaneo e mi sono
lasciata guidare solo me stessa senza paletti e punti di riferimento
letterari.
Nel titolo il tuo scritto
onora la sua mission con un vocabolo magico: «trasformazione». Come
consiglieresti di muoversi a una persona che intenda avventurarsi in
un percorso all'interno di se stessa per guarire ferite e cercare
felicità?
Non mi fermo mai da buona
curiosa e, quando partii alla scoperta di me, dovevo dotarmi di
strumenti. Ho trovato nell'astrologia psicologica una stupenda fonte
di conoscenza e spesso incito le persone che incontro e che magari a
45 anni si sentono già vecchie a rimettersi in discussione, scoprire
talenti personali e restaurare la vita. Con la mappa natale
dell'individuo sono visibili simbolicamente e interpretati molti
aspetti della personalità; mi sono specializzata in questa tecnica
che espande tantissimo la mente, fa capire che i conflitti che
abbiamo all'esterno sono quelli che abbiamo all'interno. Scopri
potenziali, qualità, dinamiche molto sottili che dimostrano che in
ognuno di noi c'è un tesoro inestimabile e un'energia unica che
fondo con la mia nell'interazione. Ecco il metodo della mia la
trasformazione. L'astrologia l'hanno fatta passare oggi come
disciplina diversa da quella che è, gli oroscopi sono cavolate
commerciali; in realtà è molto più profonda. Una persona sicura di
sé non vuole sapere del futuro, sa già di avere le qualità per
impostare i giorni che verranno, vuole sapere nel qui e ora quello
che può fare per ottimizzare le risorse. Io lavoro con questo tipo
di gente, che si ama e non consente a nessuno di impostargli la vita;
che, pur focalizzandosi su quel poco o tanto che ha, cerca
ambiziosamente di progredire. Ti ho detto tutto ciò non perché tu o
altri dobbiate per forza darvi a questa forma di pensiero, ti ho solo
raccontato la mia esperienza. Ciascuno deve trovare la propria via;
l'obbiettivo unico è il miglioramento verso la felicità, basta solo
volerlo, non ci sono ricette precise.
Un problema oggi a mio
avviso è la velocità con cui si consumano cose e perfino sentimenti
e idee. Nella fattispecie potremmo dire che la pazienza si rivela
determinante nelle scienze del cambiamento e nella ricerca
dell'illuminazione. Saper aspettare è necessario, oltre che
addolcire il percorso; non si possono ottenere risultati duraturi in
due giorni, no?
Sono molto d'accordo e ti
dico di più. Dopo il percorso pensavo di avere sistemato un bel po'
di cose. Un anno dopo ho ripreso le stesse per riaffrontarle; qualche
volta il vero lavoro è rimettere mano a quello che pensavi di avere
seppellito. E' una questione di allenamento e la vita, per quanto
bellissima, sarà sempre lì a provocare la tua bravura e la tua
tenuta fino a quando non sarai praticamente perfetto. Io sono
paziente ma ho anche molta fede e questo atteggiamento è stato
fondamentale per raggiungere con passione e forza gli obbiettivi. Per me la fede è fondamentale in un percorso che ti porti ad un'evoluzione. Fede verso se stessi, verso Dio, il Creatore, l'Universo, la Vita. Può
essere importante che qualcuno di esterno funga da motore per
rettificare la tua guida interiore ma questo dipende molto da quanta
forza hai già dentro e quanto sei portato all'introspezione. In
generale assolutamente la pazienza è una virtù fondamentale, con la
fretta si fanno danni e si soffre. In fondo il percorso, anche se
difficoltoso, è bello in sé e per sé.
Più vado avanti nel mio
di percorso interiore e più mi rendo conto di quanto sia
fondamentale la gratitudine verso persone, cose o situazioni che
donano a ciascuno di noi aria pura e bellezza. Ringraziare è
pedagogico per quattro motivi: 1) è azione eticamente retta; 2) auto
educa all'umiltà; 3) coscientizza sulla bellezza dei nostri giorni
anche quando sembra che non accada nulla di importante; 4) valorizza
piccoli momenti che diamo troppo per scontati, viziati come siamo.
Sei d'accordo?
Sono in linea con tutto
quello che dici. Nel libro ho ringraziato chi mi ha dato una mano nel
mio cammino; ho detto grazie anche chi fino all'altro giorno si
poneva come mio nemico. Ogni incontro ha un suo significato, è
proprio grazie all'altro che posso accorgermi di determinati miei
difetti da mettere a posto. Se impariamo a utilizzare gli altri come
specchio personale, non solo depotenzieremo la loro forza e quindi la
nostra sofferenza, ma li renderemo occasione di miglioramento e
avvicinamento all'eccellenza del nostro essere. Non è facile, ci
vuole tanta pratica e pazienza appunto, ma il ringraziamento aiuta a
dotarci di una forma mentale di rispetto per le cose meravigliose che
ci accadono tutti i giorni e che, presi da frustrazioni ed egoismo,
ci lasciamo sfuggire.
Ti spiego le coordinate
teoriche del mio di percorso interiore: programmazione neuro
linguistica per ottimismo/visualizzazione/spostamento dei sentimenti;
filosofia del pensatore latino Seneca per sobrietà/giusta misura;
buddismo per meditazione/bontà/messa in discussione. Che rapporti
hai con questi stimoli culturali?
Non ho frequentato
seminari sul buddismo, qualcosa ho letto ma non molto a dire la
verità. Io mi baso molto sull'esperienza pratica e sono convinta che
non esistano sentieri uguali per tutti; ognuno di noi è
fortunatamente e splendidamente diverso e, se tu ti sei convinto
della validità della saggezza orientale, sono felice che questo ti
abbia sostenuto. Io ho letto dei libri molto semplici, non tomi
universitari complicatissimi, ho cercato nelle pagine della mia
formazione un approccio molto concreto. Mi sento vicina allo
shamanesino degli indiani d'America, ad alcune teorie psicologiche,
cerco di prendere qua e là spunti. La gioia di vivere, l'amore
incondizionato, il perdono: questi sono i capisaldi per cambiare e
qualsiasi strada che si intraprende va bene se segui quella
filosofia. Conosco persone che sono davvero rinate anche solo per il
contatto con la natura; cosa c'è di più semplice e giusto di
armonizzarsi con ossigeno puro, erba e boschi? Le cose essenziali
sono quelle e caratterizzano tutte le religioni al di là dei
dogmatismi di ciascuna di esse. Io ad esempio sono cattolica ma non
concordo con alcuni aspetti e comunque non mi piace definirmi, mi
considero senza etichette, una donna libera sulla strada della
felicità.
Nel tuo libro è
ricorrente il tema del passaggio intragenerazionale di abiti mentali
che appartengono al presente ma arrivano da quando ciascuno era
piccolo a contatto con genitori e educatori. Individui il perdono
come premessa di cambiamento e motore di pace con il passato. Come si
può vedere l'amore in gesti di un genitore anche in casi in cui
allora si odiavano o non si capivano?
Dico sempre che nella
vita abbiamo ciò di cui abbiamo bisogno. Necessitiamo dei nostri
genitori per il percorso dell'anima; per sopportare quello che è
capitato con loro occorre dunque credere a un'anima, a una vita dopo
questa terra, altrimenti non faremo altro che prendercela con chi
riteniamo non ci abbia educato bene. Il duro lavoro è capire in cosa
può essere stato utile un genitore; non è un mistero e l'ho scritto
a chiare lettere nel libro il mio rapporto difficoltoso con mia
madre, ma considero che tutto ciò che ho sopportato allora mi serve
per oggi capire chi ho di fronte, muovermi meglio nel mondo con più
consapevolezza. Non ho subito violenze, ma anche chi viene violentata
non deve trovare rivincita e soluzione nell'odiare gli uomini
sentendosi perseguitata dal genere maschile. Basterebbe che capisse
di avere lanciato dei messaggi magari anche inconsci che hanno
portato a quel terribile trattamento; non è certo colpa sua e non
giustifico il violentatore, dico solo che l'assunzione di
responsabilità è premessa di cambiamento e aiuta a impostarsi
meglio nel futuro. Conosco quel dolore ed ho profondo rispetto e comprensione per chi la
subisce o l'ha subita, ma c'è un'alternativa a quella ferita, ed è
liberarsi di quella memoria con la consapevolezza, col perdono e la
comprensione. Il concetto di «dente per dente» non porta che
alla vendetta ed è un circolo d'odio inesauribile che non può che
essere autodistruttivo e portare all'infelicità.
Minimo comun denominatore
di tutti gli uomini, al di là di razza, religione o residenza è un
doppio istinto: perseguire la felicità e rifuggire il dolore. Il
Dalai Lama sosteneva che le riunioni da parte dei capi di Stato
dovrebbero essere effettuate in mezzo a un pic nic e con i reciproci
figli che giocano insieme. Perché gli uomini dimenticano così
spesso questi evidenti punti in comune e si lasciano sopraffare da
orgoglio, odio, ansie di controllo e prevaricazione?
Il Dalai Lama ha detto di
far giocare i bambini ma di riflesso anche il bambino che c'è in
ognuno di noi. Odiando e prevaricando, uno dimentica il bambino
interiore; l'aggressione non è mai forza, ma sempre difesa, così
come la fuga nell'ego. Bisognerebbe mettere i grandi a giocare a
pallone, mangiare insieme ritrovando il vero valore della comunità,
elemento che oggi sta scomparendo. C'è chi osteggia le scienza del
cambiamento interiore perché della paura della gente ci ha fatto un
business, ci ha costruito sopra il personale potere. Il fatto di non
dare le informazioni e le notizie giuste a livello giornalistico poi
è una vera fabbrica del dolore; spettacolarizzare le catastrofi è
una violenza che esplode dai monitor tutti i giorni. Come credi che
arrivino queste sensazioni nel cuore delle gente? Le persone credono
alla cavolata che tutto il mondo sia intriso di dolore e si
comportano di conseguenza per fare parte di quel mondo. E pensa al
rinforzo: ogni giorno della tua vita da quando sei piccolo ti entra
questa sofferenza senza che tu te ne accorgi. Che bambini stiamo
crescendo?
Cito dal tuo libro una
frase davvero bella: «Nutrendo gli altri del nostro amore nutriamo
noi stessi e diventiamo capaci di gustare la vita». «La vita è una
palestra d'amore» o «Amore è guidare senza controllo» avevo letto
altrove, siamo d'accordo su ciò, ma in cosa si sostanzia davvero un
gesto/atto d'amore? C'è differenza tra buono e buonista?
C'è eccome. Il buonista
si comporta in base a regole, a un'etichetta da seguire che compiace
chi hai davanti; molti fanno così anche senza accorgersi e fanno
figuracce. L'aspetto più importante è che spesso fanno i buoni solo
per soddisfare un antico genitore, l'educazione che hanno ricevuto,
esaudiscono ancora da grandi una prestazione di anni prima. In tal
senso non hanno senso critico, non c'è genuinità e scelta del bene
in loro. La vera bontà è invece una qualità meravigliosa e
riguarda vera generosità, solidarietà, non attendersi nulla in
cambio.
Il già citato Dalai Lama
parla di «egoismo con saggezza», un'espressione eccellente per
delineare la necessità che ognuno ha di rendersi felice prima di
tutto; la sua felicità darà un'energia, un'aura, un riflesso che
renderà felici anche gli altri. Qual è il confine fra questo genere
di «sano egoismo» e l'egoismo malsano o «egoico», come viene
definito in psicologia?
Occorre preservare il
proprio io, la propria identità e la propria unicità; il sano
egoismo è: «Io esisto, agisco e ho una mia posizione territoriale
che deve essere rispettata». L'egoismo negativo è andare a invadere
il territorio altrui, sconfinare e sfuggire alle tue responsabilità
senza il rispetto dell'altro. La felicità avviene esprimendo in
pieno te stesso; spesso gli altri vogliono cambiare quello che sei
secondo una loro idea di felicità. Non dare ascolto a queste
persone, che magari anche volendoti bene, il tuo bene di certo non lo
fanno. Chi ti vuole veramente bene, con la generosa bontà di cui
parlavamo prima, deve lasciarti esprimere senza aspettative. Diffida
dunque da chi vuole fare per forza il tuo bene costruendoti come
vuole lui, lascialo perdere, non odiarlo ma perdonalo e guarda
avanti. Anche lui ti sta dando la possibilità di cambiare, ti
stimola a rettificare qualcosa, cerca di vedere che ti fa un piacere
ma poi mollalo. Non ne hai bisogno, hai bisogno solo del suo
sacrosanto pensare a te stesso, il resto viene di conseguenza e,
proprio senza che tu te ne accorga, farai del meraviglioso bene a chi
ti sta intorno, che verrà migliorato e, se è intelligente, imparerà
da te.
Considero che alcuni
aspetti deteriori del neo-liberismo esasperato abbiano provocato,
usando parole del tuo libro, in molti di noi «un'invasione
paralizzante di emozioni distruttive». Competitività, ritmi di
lavoro furiosi e autodeterminazione a tutti i costi fanno in modo che
molti lavorino come pazzi per pagarsi dei bisogni di cui non
necessitano assolutamente. Produciamo più di quello che consumiamo e
sembra che possiamo essere felici solo acquistando. Viva la
decrescita insomma e fanculo al pil! Che ne dici?
Molto spesso c'è una
mancanza di soddisfazione del propri bisogni perché molti non sanno
quali siano questi bisogni. Ecco che arrivano surrogati come il
lavoro, i soldi o semplicemente mangiare troppa cioccolata; ma ciò
non dà vero nutrimento e soddisfazione, è qualcosa di momentaneo e
fragile. Il lavoro può diventare un'ossessione e non porta alla
felicità per forza; rende felici sono se è calibrato e risponde a
un genuino bisogno della persona, se è una forma espressiva
spontanea. Tante persone, come i nostri genitori, vengono dal dopo
guerra e si trascinano dietro memorie di miseria che interiorizzarono
in loro senso del dovere ed etica del lavoro a tutti i costi. Lavoro
dunque come salvezza, modo di procurarsi il sostentamento ma anche
forma ovvia di vita. I miei hanno lavorato facendo grossissimi
sacrifici e io anni fa avevo la credenza che lavorare fosse
sacrificio, fatica, dolore. Con il tempo ho scoperto invece che
lavorare è bello, godurioso, soddisfacente e dà infinito piacere!
Ma so anche che, almeno per quanto mi riguarda, è solo uno degli
ambiti della vita; se ritieni che lavorare 15 ore al giorno risponda
alla totalità dei tuoi bisogni, fallo, non c'è nulla di male; ma se
senti di esprimerti anche con altre passioni, diminuisci il lavoro e
costruisci la vita in base a questa ricchezza di stimoli. Cerca di
non fare il meno possibile contro voglia, l'unica tua responsabilità
è essere felice.
Oggi tra l'altro molte
fonti di conoscenza e la democrazia consentono ad ognuno di impostare
l'esistenza a piacimento; certo che l'invadenza dei genitori frega
molti di noi...
Noi giovani abbiamo una
grande fortuna: la cultura; leggere e sapere ci permette quello che
non hanno potuto i nostri genitori, ovvero avere una vita ricca di
felicità. Loro hanno fatto il possibile con gli strumenti che
tenevano a disposizione, ecco perché vanno perdonati. E' lo stesso
caso di quando in quel punto della città ci sei passato tante volte
ma non avevi mai colto quel particolare. Devi tenere le antennine
della positività sempre alte per scovarlo quel particolare; non
sottovalutarlo, ti può cambiare la vita.
Da un po' di tempo vado
dicendo che oggi come oggi il vero ribelle, il vero Robespierre non è
quello che lo mette in quel posto al collega di lavoro, quello con i
soldi o con il macchinone o che sa arringare una folla. E' invece
colui che utilizza tenerezza, bontà, generosità e amore come fonte
delle sue azioni. Troppo facile seguire quel modello di self-made man
sbandierato così tanto; il vero uomo forte oggi respira moderazione,
calma e sa mettersi in discussione davanti alle critiche.
E' proprio così ed è il
modo in cui ciascuno porta il suo lavoro interiore fuori da sé.
Robespierre oggi cerca soluzioni con il suo contributo, mediazioni,
non accomoda per quieto vivere ma per mettersi in rete, migliorare
grazie agli altri. Torniamo all'egoismo sano del Dalai Lama: oggi
consorziarsi diviene produttivo anche per finanze, oltre che dare
grandi soddisfazioni da un punto di vista del benessere di tutti gli
attori in gioco. Il modello di cui parli c'è, non dimentichiamo però
che le persone buone e positive sono più di quelle che pensiamo,
basta tenere alta l'attenzione e fare sempre noi il primo passo. Hai
mai pensato che tanta gente che magari ha lo sguardo corrucciato e
severo si comporta così solo per difesa e non perché è forte?
Aspettano solo un segnale per stamparsi in bocca un bel sorriso;
sentiti libero e felice di farlo spuntare tu quel sorriso. Conviene a
lui, a te, al mondo intero!
Tu ti sei licenziata da
un'azienda dopo 20 anni di servizio e abbandonando un posto sicuro;
nella misura in cui sentivi l'esigenza impetuosa di inseguire
qualcosa di più alto, non posso che appoggiare questa scelta. Il tuo
è un esempio, quasi un monito a coloro i quali rimangono immobili
nella stessa situazione per tanto tempo magari soffrendo. Come li
sproneresti a impugnare la vita davvero e una volta per tutte?
Ho avuto modo di parlare
con tante persone che avevano problemi sul lavoro; li ho consigliati
tutti nessuno escluso di uscire da quell'azienda e concentrarsi
meglio sui veri obbiettivi della loro vita. Dico di cercare
l'identità nelle loro qualità autentiche anche prescindendo da un
posto di lavoro certo. L'unica cosa certa a stare in un posto di
lavoro doloroso è la certezza di avere dolore. Io ci ho messo molti
anni per decidere, non è facile ovviamente, ma l'ho fatto non in un
momento di rabbia ma di consapevolezza. Volevo altri tipi di
sicurezza, non quella economica, volevo essere sicura di essere
felice. Spesso mi rispondono che hanno famiglia, rate e condizioni
oggettive da onorare; rispondo che tutto si può fare se si vuole.
L'alternativa qual è? Continuare a soffrire? Questi ritengono che
figli e compagno/a stiano bene vedendoli nervosi e insoddisfatti
tutti i giorni? Meglio una famiglia meno ricca ma più felice.
Per contatti con Claudia: https://www.facebook.com/claudia.mengoli.752?fref=ts