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venerdì 25 aprile 2014

DJ SAMUEL KIMKO': INTERVISTA


Correva qualche anno fa e rimasi ammirato, emozionato, sedotto da alcune canzoni pop/dance con testo in italiano, suadenti timbri vocali, atmosfere sognanti e un po’ malinconiche. Mi incuriosiva molto il nome del dj Samuel Kimkò e per vario tempo seguii le sue orme con passione e ragionevolezza. Poi il nostro abbracciò un’evidente sterzata latina e si mise a produrre arie calienti e ballabili ma che mi parevano provenire troppo dalle lande caraibiche e centro americano. “Troppo” naturalmente per il mio personale gusto interno che allora mal si allineava con quei sapori. Con il tempo “ci ho fatto la bocca” e oggi non mi dispiace tuffarmi in un ipotetico oceano di vida loca così lontana dal mio quotidiano modo di vivere ma così in fondo prossima al dna mediterraneo di noi italiani. Recuperare il nome di Samuel e dell’altro suo progetto Slowbrothers mi è dunque parsa tutt’altro che un’incombenza. Ho ritrovato un artista pimpante, spumeggiante, brioso, divertente, inspirato ed efficace in una qualità su tutte: far muovere il culo con ritmi sempre cadenzati e
ritornelli ad ampio respiro. Inoltre, aspetto tutt’altro che trascurabile, ho trovato Samuel al centro del movimento di clubbing dello stivale, remixato da gente molto conosciuta, senza contare le apparizioni televisive di alcuni suoi pezzi.
In un marcato toscano nella conversazione telefonica svela al mio blog le premesse di tutto questo brulicare di vita.

Non so molto delle tue radici e del tuo primo approccio alla composizione musicale; in rete leggo che a tuo nome è uscita nel 1998 una canzone dal titolo “Space of love” che non sono riuscito a sentire. Parlami di quel progetto e dei tuoi inizi in questo settore.
Quella era una cosa non ufficiale, ce l’hanno in pochi oggi, un primo esperimento a cui oggi non darei troppo peso. Il primo vero singolo lo considero “Deeper love”; allora andava lo stile di Benny Benassi con quel meraviglioso basso a dente di sega, cercai così di realizzare una produzione in pieno stile europeo. La feci sentire a un’etichetta e piacque molto, il che mi fece partire poi con gli altri singoli. Ricordo un grande entusiasmo, ero contento perché c’era meno crisi e le discoteche lavorano un po’ tutte. 

Uno dei tuoi ultimi singoli “Fiesta love” credo davvero abbia una marcia in più: dopo qualche secondo dall’inizio del pezzo di ascolta il chorus che ti si stampa in testa senza lasciarti in più. Credi rappresenti la tua canzone più importante fino adesso?
“Fiesta love” di certo è una canzone che mi piace molto, ma credo che la cosa più importante che ho fatto finora è “La zumbera”, che ha superato i 3 milioni di visitatori in rete. Pensa che in web ci sono 150 video in cui la gente balla la coreografia di questa mia canzone; gente dai Paesi di tutto il mondo! In posti diversissimi fra loro per cultura si divertono con melodie scritte da me in piazze, discoteche e centri fitness; non ti nego una grande soddisfazione! Il resto delle canzoni è venuto dopo, quando mi sono interessato al mondo della latin dance che in realtà ho sempre avuto dentro. Anche “Baila baila” ebbe un buon riscontro e “Fiesta love”, il penultimo singolo (l’ultimo è “La rumba”), sta andando bene, è stato suonato e ballato dai concorrenti anche nell’attuale edizione del Grande fratello. “La zumbera” invece è stata andata sul telegiornale oltre a programmi tv di intrattenimento di Rai e Mediaset. Forse ti sorprenderà, ma non so ballare latino; ma sai, vivo sul mare in Toscana, adoro l’estate e sento dentro quello spirito; ho cercato di fare uno stile latino ma non troppo mettendoci il mio tocco da dj.

Parte della tua produzione è cantata in italiano, mi riferisco a pezzi come “Una canzone che…”, “Canzone d’amore”, “Canzone dal cuore”, che personalmente mi donano senso di libertà, gioia pura e positività. Come le hai concepite?
Avevo cominciato così perché sono appassionato, come molti produttori dance italiani, dello stile di Gigi D’Agostino. Questo dj anni fa se ne uscì con un pezzo chiamato “Vorrei fare una canzone” che mi ha fatto innamorare del pop dance italiano; mi vennero allora fuori le canzoni di cui parli, canzoni spesso dedicate alla mia ex ragazza che mi aveva fatto attraversare un periodo non facile della vita. Io, come saprai di certo, ho due progetti ben distinti: Samuel Kimkò per il sound latino e Slowbrothers il cui disco più famoso è “4 parole”. 

Un tratto distintivo della tua produzione, indipendentemente dai generi, mi pare la gioia, l’estate (una traccia come “4 parole” con Miani è esemplificativa in tal senso). Ritieni che per comporre arie di questo genere occorre che il produttore sia una persona friendly, solare, positiva?
Non lo so se c’è un’equazione così precisa e stretta. Dipende forse dagli stati d’animo del momento: in un attimo triste non si può scrivere un pezzo come “4 parole”; invece dopo una notizia buona ti viene da essere più allegro e positivo. La bella stagione di certo invoglia a comporre roba caliente e ballabile; ti racconto la genesi di “4 parole”: l’avevo scritta mesi prima ma lasciata lì, poi d’estate mi è tornata alla mente, l’ho ripigliata in mano, contattato Miani e abbiamo concluso il pezzo. Bella storia, vero?

Con il progetto Slowbrothers percorri cadenze  più lente; personalmente non lo definirei “lento violento”, credo quelle canzoni abbiano personalità propria e l’abbassamento dei bpm ti servano solo per esprimerti in modo diverso dal solito. Sei d’accordo?
Sì, fondamentalmente la musica pop italiana e straniera non ha bpm veloci, non girano a 128 ma dagli 85 ai 105 a parte qualche pezzo pop dance. Lento violento è uno stile che cambia anche in base a cosa ci metti sotto; alcuni pensano sia palloso, io credo invece che si possa arricchire molto e che si presti ad essere integrato con altri generi. Slowbrothers comunque ha tre diramazioni: lento violento appunto, pop e afro. 

In questi ultimi anni la progressive house e la EDM hanno completamente sbancato il mercato imponendosi e recuperando quelle melodie che anni ed anni di house avevano ucciso. Parallelamente altre esperienze come raggeaton, musica latino-americana, dance rumena e il loro successo dimostrano che la gente nei club oggi ha voglia di cantare ritornelli e divertirsi un po’ come negli anni ’90 con l’eurodance. Come vedi questa mia posizione e che cosa può dire l’Italia in questo movimento di clubbing?
L’Italia è sempre stata famosa per la italo dance; ora c’è un po’ di stop nel genere, anzi direi molto e le etichette prendono successi dall’estero. Nostri djs che sbancano all’estero ce ne sono pochi e tra l’altro ora è il momento delle casse distorte e bella techno; EDM insomma, electro dance music. A me piacciono molto questi djs soprattutto del nord Europa: loro mettono vicino la cattiveria del groove e la melodia e in pista fanno il loro dovere. La italo dance è stata anche abbandonata da alcuni che si sono messi a fare le copie delle copie delle copie dei djs esteri. Il mondo latino è talmente grande e vasto e viaggia parallelamente alla dance; pensa a Shakira, “Danza kuduro” o Daddy Yankee con “Limbo” e altri successi, stanno avendo un grandissimo consenso. Io ho la fidanzata rumena e so che anche da quelle parti fanno uscire una marea di roba; su 100 dischi 95 sono copie e 5 sono bellissimi.Lì hanno un folklore diverso, ogni giorno è festa, è un mondo diverso di vivere la vita, sono proprio “melodiche” come persone. 

Come sta andando il settore live per te? Come ti trovi in quella dimensione?
C’è crisi ma ci si mantiene bene; io propongo cose diverse: faccio un set di tutte hit del momento remixate da me, rivesto le canzoni secondo il mio gusto. Per ora funziona e il mio nome è stampato su vari flyers.

Credo di avere una posizione privilegiata: non solo sono un onnivoro ascoltatore di vari generi dance ma ho intervistato persone che lavorano dietro la consolle hardstyle, hardcore, italodance, house. Ho l’impressione che tutte queste persone non si parlino: mi piacerebbe prevalesse un senso di appartenenza generale al mondo della notte e della discoteca piuttosto che gli steccati posti fra genere e genere. Come la vedi?
Sarebbe bello quello che dici, bello ma idealista: questo mondo è rivale e lo vedi anche negli ambiti della scuola, dello sport e in tutti i settori della vita. E’ un fatto culturale: chi perde è sempre scontento e anche fra noi ci sono quelli più rivali di altri premettendo che arrivare secondo fa rosicare tutti. Oppure fai una festa di beneficienza e allora siamo tutti amici ma poi tutti torniamo ciascuno nel suo mondo.

Sai che faccio fatica ad etichettarti? Non appartieni a un genere definito. Credi questo sia una virtù o potenzialmente una limitazione?
Se proprio devo avere un’etichetta, ho quella di compositore. Per farti capire in che spazi mi muovo, tempo fa con gli amici sono andato a Torino a vedere un festival heavy metal con gli amici e nello stesso tempo mi piacciono la lirica o Andrea Bocelli o mille altre cose. Se poi in discoteca devo occuparmi di dance, lo faccio; ma è solo una parte del mio gusto e comunque faccio sempre ciò che mi piace. Non vivo solo per la discoteca e non vivo solo per la musica, che rimane una passione. Ho un lavoro ufficiale, una ditta mia e la musica arricchisce tanto la mia vita; per ora ho una voglia matta di suonare con passione e ho i miei riscontri, un domani vedremo.

Una curiosità anche da appassionato di cinema quale sono: quali sono i passaggi per girare il video di una canzone dance. Hai contatti con una serie di registi che normalmente nell’ambiente lavorano in questo modo?
Di video ne capisco poco e niente; quando scrivo una canzone, mi immagino delle scene da abbinare. Ci sono degli esperti che stanno a Milano che si chiamano Universo studio (Fabio e Vincenzo). Mando loro la canzone, dico loro cosa mi garberebbe come idea,  loro sviluppano lo storyboard e si fanno commissionare il video. Sono professionisti del settore che come curriculum vantano tanti lavori importanti; dialogo anche e con le etichette discografiche per sovvenzionare i video. Puoi anche autoprodurti nel caso.