Correva qualche anno fa e rimasi ammirato,
emozionato, sedotto da alcune canzoni pop/dance con testo in italiano, suadenti
timbri vocali, atmosfere sognanti e un po’ malinconiche. Mi incuriosiva molto
il nome del dj Samuel Kimkò e per vario tempo seguii le sue orme con passione e
ragionevolezza. Poi il nostro abbracciò un’evidente sterzata latina e si mise a
produrre arie calienti e ballabili ma che mi parevano provenire troppo dalle
lande caraibiche e centro americano. “Troppo” naturalmente per il mio personale
gusto interno che allora mal si allineava con quei sapori. Con il tempo “ci ho
fatto la bocca” e oggi non mi dispiace tuffarmi in un ipotetico oceano di vida
loca così lontana dal mio quotidiano modo di vivere ma così in fondo prossima
al dna mediterraneo di noi italiani. Recuperare il nome di Samuel e dell’altro
suo progetto Slowbrothers mi è dunque parsa tutt’altro che un’incombenza. Ho
ritrovato un artista pimpante, spumeggiante, brioso, divertente, inspirato ed
efficace in una qualità su tutte: far muovere il culo con ritmi sempre
cadenzati e
ritornelli ad ampio respiro. Inoltre, aspetto tutt’altro che
trascurabile, ho trovato Samuel al centro del movimento di clubbing dello
stivale, remixato da gente molto conosciuta, senza contare le apparizioni
televisive di alcuni suoi pezzi.
In un marcato toscano nella conversazione telefonica
svela al mio blog le premesse di tutto questo brulicare di vita.
Non
so molto delle tue radici e del tuo primo approccio alla composizione musicale;
in rete leggo che a tuo nome è uscita nel 1998 una canzone dal titolo “Space of
love” che non sono riuscito a sentire. Parlami di quel progetto e dei tuoi
inizi in questo settore.
Quella era una cosa non ufficiale, ce l’hanno in
pochi oggi, un primo esperimento a cui oggi non darei troppo peso. Il primo
vero singolo lo considero “Deeper love”; allora andava lo stile di Benny
Benassi con quel meraviglioso basso a dente di sega, cercai così di realizzare
una produzione in pieno stile europeo. La feci sentire a un’etichetta e piacque
molto, il che mi fece partire poi con gli altri singoli. Ricordo un grande
entusiasmo, ero contento perché c’era meno crisi e le discoteche lavorano un
po’ tutte.
Uno
dei tuoi ultimi singoli “Fiesta love” credo davvero abbia una marcia in più:
dopo qualche secondo dall’inizio del pezzo di ascolta il chorus che ti si
stampa in testa senza lasciarti in più. Credi rappresenti la tua canzone più
importante fino adesso?
“Fiesta love” di certo è una canzone che mi piace
molto, ma credo che la cosa più importante che ho fatto finora è “La zumbera”,
che ha superato i 3 milioni di visitatori in rete. Pensa che in web ci sono 150
video in cui la gente balla la coreografia di questa mia canzone; gente dai Paesi
di tutto il mondo! In posti diversissimi fra loro per cultura si divertono con
melodie scritte da me in piazze, discoteche e centri fitness; non ti nego una
grande soddisfazione! Il resto delle canzoni è venuto dopo, quando mi sono
interessato al mondo della latin dance che in realtà ho sempre avuto dentro.
Anche “Baila baila” ebbe un buon riscontro e “Fiesta love”, il penultimo
singolo (l’ultimo è “La rumba”), sta andando bene, è stato suonato e ballato
dai concorrenti anche nell’attuale edizione del Grande fratello. “La zumbera”
invece è stata andata sul telegiornale oltre a programmi tv di intrattenimento
di Rai e Mediaset. Forse ti sorprenderà, ma non so ballare latino; ma sai, vivo
sul mare in Toscana, adoro l’estate e sento dentro quello spirito; ho cercato
di fare uno stile latino ma non troppo mettendoci il mio tocco da dj.
Parte
della tua produzione è cantata in italiano, mi riferisco a pezzi come “Una
canzone che…”, “Canzone d’amore”, “Canzone dal cuore”, che personalmente mi
donano senso di libertà, gioia pura e positività. Come le hai concepite?
Avevo cominciato così perché sono appassionato, come
molti produttori dance italiani, dello stile di Gigi D’Agostino. Questo dj anni
fa se ne uscì con un pezzo chiamato “Vorrei fare una canzone” che mi ha fatto
innamorare del pop dance italiano; mi vennero allora fuori le canzoni di cui
parli, canzoni spesso dedicate alla mia ex ragazza che mi aveva fatto
attraversare un periodo non facile della vita. Io, come saprai di certo, ho due
progetti ben distinti: Samuel Kimkò per il sound latino e Slowbrothers il cui
disco più famoso è “4 parole”.
Un
tratto distintivo della tua produzione, indipendentemente dai generi, mi pare
la gioia, l’estate (una traccia come “4 parole” con Miani è esemplificativa in
tal senso). Ritieni che per comporre arie di questo genere occorre che il
produttore sia una persona friendly, solare, positiva?
Non lo so se c’è un’equazione così precisa e
stretta. Dipende forse dagli stati d’animo del momento: in un attimo triste non
si può scrivere un pezzo come “4 parole”; invece dopo una notizia buona ti
viene da essere più allegro e positivo. La bella stagione di certo invoglia a
comporre roba caliente e ballabile; ti racconto la genesi di “4 parole”:
l’avevo scritta mesi prima ma lasciata lì, poi d’estate mi è tornata alla
mente, l’ho ripigliata in mano, contattato Miani e abbiamo concluso il pezzo.
Bella storia, vero?
Con
il progetto Slowbrothers percorri cadenze
più lente; personalmente non lo definirei “lento violento”, credo quelle
canzoni abbiano personalità propria e l’abbassamento dei bpm ti servano solo
per esprimerti in modo diverso dal solito. Sei d’accordo?
Sì, fondamentalmente la musica pop italiana e
straniera non ha bpm veloci, non girano a 128 ma dagli 85 ai 105 a parte
qualche pezzo pop dance. Lento violento è uno stile che cambia anche in base a
cosa ci metti sotto; alcuni pensano sia palloso, io credo invece che si possa
arricchire molto e che si presti ad essere integrato con altri generi.
Slowbrothers comunque ha tre diramazioni: lento violento appunto, pop e afro.
In
questi ultimi anni la progressive house e la EDM hanno completamente sbancato
il mercato imponendosi e recuperando quelle melodie che anni ed anni di house
avevano ucciso. Parallelamente altre esperienze come raggeaton, musica
latino-americana, dance rumena e il loro successo dimostrano che la gente nei
club oggi ha voglia di cantare ritornelli e divertirsi un po’ come negli anni
’90 con l’eurodance. Come vedi questa mia posizione e che cosa può dire
l’Italia in questo movimento di clubbing?
L’Italia è sempre stata famosa per la italo dance;
ora c’è un po’ di stop nel genere, anzi direi molto e le etichette prendono
successi dall’estero. Nostri djs che sbancano all’estero ce ne sono pochi e tra
l’altro ora è il momento delle casse distorte e bella techno; EDM insomma,
electro dance music. A me piacciono molto questi djs soprattutto del nord
Europa: loro mettono vicino la cattiveria del groove e la melodia e in pista
fanno il loro dovere. La italo dance è stata anche abbandonata da alcuni che si
sono messi a fare le copie delle copie delle copie dei djs esteri. Il mondo
latino è talmente grande e vasto e viaggia parallelamente alla dance; pensa a
Shakira, “Danza kuduro” o Daddy Yankee con “Limbo” e altri successi, stanno
avendo un grandissimo consenso. Io ho la fidanzata rumena e so che anche da
quelle parti fanno uscire una marea di roba; su 100 dischi 95 sono copie e 5
sono bellissimi.Lì hanno un folklore diverso, ogni giorno è festa, è un mondo
diverso di vivere la vita, sono proprio “melodiche” come persone.
Come
sta andando il settore live per te? Come ti trovi in quella dimensione?
C’è crisi ma ci si mantiene bene; io propongo cose
diverse: faccio un set di tutte hit del momento remixate da me, rivesto le
canzoni secondo il mio gusto. Per ora funziona e il mio nome è stampato su vari
flyers.
Credo
di avere una posizione privilegiata: non solo sono un onnivoro ascoltatore di
vari generi dance ma ho intervistato persone che lavorano dietro la consolle
hardstyle, hardcore, italodance, house. Ho l’impressione che tutte queste
persone non si parlino: mi piacerebbe prevalesse un senso di appartenenza
generale al mondo della notte e della discoteca piuttosto che gli steccati
posti fra genere e genere. Come la vedi?
Sarebbe bello quello che dici, bello ma idealista: questo
mondo è rivale e lo vedi anche negli ambiti della scuola, dello sport e in
tutti i settori della vita. E’ un fatto culturale: chi perde è sempre scontento
e anche fra noi ci sono quelli più rivali di altri premettendo che arrivare
secondo fa rosicare tutti. Oppure fai una festa di beneficienza e allora siamo
tutti amici ma poi tutti torniamo ciascuno nel suo mondo.
Sai
che faccio fatica ad etichettarti? Non appartieni a un genere definito. Credi
questo sia una virtù o potenzialmente una limitazione?
Se proprio devo avere un’etichetta, ho quella di
compositore. Per farti capire in che spazi mi muovo, tempo fa con gli amici
sono andato a Torino a vedere un festival heavy metal con gli amici e nello
stesso tempo mi piacciono la lirica o Andrea Bocelli o mille altre cose. Se poi
in discoteca devo occuparmi di dance, lo faccio; ma è solo una parte del mio
gusto e comunque faccio sempre ciò che mi piace. Non vivo solo per la discoteca
e non vivo solo per la musica, che rimane una passione. Ho un lavoro ufficiale,
una ditta mia e la musica arricchisce tanto la mia vita; per ora ho una voglia
matta di suonare con passione e ho i miei riscontri, un domani vedremo.
Una
curiosità anche da appassionato di cinema quale sono: quali sono i passaggi per
girare il video di una canzone dance. Hai contatti con una serie di registi che
normalmente nell’ambiente lavorano in questo modo?
Di video ne capisco poco e niente; quando scrivo una
canzone, mi immagino delle scene da abbinare. Ci sono degli esperti che stanno
a Milano che si chiamano Universo studio (Fabio e Vincenzo). Mando loro la
canzone, dico loro cosa mi garberebbe come idea, loro sviluppano lo storyboard e si fanno
commissionare il video. Sono professionisti del settore che come curriculum
vantano tanti lavori importanti; dialogo anche e con le etichette discografiche
per sovvenzionare i video. Puoi anche autoprodurti nel caso.