Luci e ombre per questa pellicola argentina
proiettata al Baff in anteprima mondiale. In una sala sorprendente popolata del
cinema Ratti di Legnano i due produttori Rossana Seregni e Sandro Frezza hanno
presentato al pubblico “Planta madre”, episodio filmico argentino diretto dal
regista Gianfranco Quattrini. Girato fra Argentina, Perù e montato in Italia da
nente meno che dalla montatrice di Bernando Bertolucci Gabriella
Cristiani, si tratta di una storia
di redenzione, di riavvicinamento alla proprie radici, di rock’n’roll, musica a
tutto spiano, anni ’70, sostante lisergiche.
Il dramma vissuto dal
protagonista, il quale ha perso in giovane età il fratello musicista, lo
riporta a ricontrare dopo vent’anni persone e luoghi del suo passato per
cercare nelle braccia di uno stregone la risoluzione dei suoi problemi.
Sulla carta
il plot parrebbe interessante e già al cinefilo appassionato e incallito
vengono in mente altre prelibate pellicole in cui il come back alle radici di
un’esistenza permette plurimi ragionamenti ed emozioni. Peccato che qui non si
respiri l’aria delle grandi opere: quello che manca più di ogni altra
componente è una sceneggiatura degna di tal nome. La storia si arrotola su sé
stessa senza esaudire non solo le premesse iniziali ma mettendo sul piatto
varie suggestioni privando ciascuna di essere di uno svolgimento avvincente
perfino razionale.
Colpisce in senso buono la capacità visuale di
Quattrini e il gusto nel far rivivere certo “figliodeifioreismo” anni ’60-’70;
vi è una scena in particolare in cui i membri del gruppo (di cui fanno parte i
due fratelli al centro della vicende) siedono a terra suonando strumenti particolari.
Un occhio attento non avrà tardato ad equiparare l’immagine a certe copertine
di space rock come Jethro Tull e simili. Anche le locations portano acqua al
mulino del progetto con la navigazione della zattera nelle lande acquose
amazzoniche e quell’atmosfera unica che si respira in pertugi del globo tanto
affascinanti. Di pregevole nerbo anche il retrogusto della movida-vida loca latina
che, unita alla musica esaltante e ai colori sgargianti dei vestiti, catapulta
lo spettatore in un clima famigliare e sereno.
Per il resto vi poco di cui essere fieri. Accanto a
discrete recitazioni, non spicca nessuno dei personaggi per peso drammaturgico
e davvero le vicende paiono costantemente giungere a un punto morto.
L’elemento che maggiormente delude e lo svilimento
del viaggio interiore del protagonista dipanato in un ideale asse temporale
passato-presente. Non si viene a sapere moltissimo e quel poco rimane in
superficie senza graffiare e lasciare davvero una traccia nello spettatore.