Se c'è un aspetto che gradisco del Baff è il contatto diretto con gli autori; al di là dei grandi nomi che si concedono spesso solamente in conferenza stampa per i giornalisti, vi è spesso la possibilità da parte di chiunque di interloquire con gli artisti e i professionisti del cinema fra autografi, uno scambio di battute. Il tutto viene incorniciato da un clima informale che idealmente restituisce il cinema alla gente comune e riagguanta
quella destinazione iniziale della settima arte che partiva dall'uomo della strada per esprimere punti di vista ed emozioni.
E allora succede che, facendo due parole con il direttore artistico Steve Della Casa, io gli comunichi che mi farebbe piacere intervistare il regista Peter Marcias, di cui non conosco moltissimo a livello artistico ma la cui poetica mi intriga oltremodo. Steve, con il suo solito stile amichevole e senza filtri particolari, mi indica lo stesso Peter che se ne sta comodo su un divano poco distante.
Le righe che seguono sono il frutto della chiacchierata con lui, che ringrazio non solo per la possibilità ma soprattutto perché nei suoi occhi luminosi ho letto la verace passione cinematografica al di là di calcoli, impostazioni preconcettuali.
"Tutte le storie di Piera" è un ritratto, non esattamente un documentario, che riguarda la grandissima attrice Piera Degli Esposti, delineata da personaggi importanti del cinema che hanno lavorato con lei. Ho scelto alcuni dei più grandi registi italiani come Nanni Moretti, Lina Wertmuller, fratelli Taviani o Marco Bellocchio. Ne è uscita una descrizione di una donna a tutto tondo, che la ha saputo sfuggire da una situazione difficile a livello famigliare ed entrare nel cinema con piccoli ruoli che le hanno dato popolarità e rispetto da parte di pubblico e critica.
Io conobbi Piera sul set del mio film "I bambini della sua vita"; da lì c'è stata passione, stima e affetto reciproci e in quel modo è maturata la mia scelta di fare un film su di lei.
Vengo colpito da fatti di tuti i giorni. Nel mio primo film "Un attimo sospesi" riflettevo sulle ansie e le paure della guerra e delle manifestazioni a Roma. "I bambini della sua vita" racconta una situazione delicata fra chiesa, omosessualità, passioni e disagi famigliari. "Dimmi che destino avrò" parla di rom in Italia e sta ancora avando successo anche a livello internazionale; l'attrice protagonista è albanese, Luli Bitri, ed è stata premiata proprio qui al Baff lo scorso anno.
Ho visto i vari film di Vittorio De Seta, che è un vero e proprio maestro. "Banditi a Orgosolo" ovviamente lo apprezzo molto ed è il classico esempio di un film sardo fatto da un non sardo. A me non interessa tanto il cinema di indagine antropologica, al contempo ho molta cosiderazione per quelli che riescono a farlo. Io ho avuto la fortuna di andare via dalla Sanrdegna e di tornarci spesso e girarci film; adesso ho uno sguardo tutto mio verso la mia terra, posso parlarne osservadola dall'esterno. E' come se io, sardo, non parlassi di Sardegna ma allo stesso tempo ne parlassi; questo non so se sia un bene o un male e, come ho detto, ho davvero stima per chi è in grado di realizzare opere permeate di territorio. La nostra Regione è interessantissima per il paesaggio, offre tutto; oggi però girare in Sardegna ha costi enormi anche perché non ci devono girare solo i sardi.
Io adesso dal 2000 vivo a Roma, scendo tantissimo in terra natìa, a Roma ho dialoghi con i professionisti, è un polo che attrae un po' tutto il mondo e ti fa sentire in un'altra dimensione. Non pensare però che a Roma, appena esci di casa, hai un'opportunità di fare cinema.
In Italia abbiamo una situazione imbarazzante per il cinema e l'arte in genere; sono tantissime le difficoltà di arrivare a produzioni in dvd soprattutto per un cinema studiato. I produttori, lo capisco, fanno il loro lavoro e spesso non rischiano. Grazie a dio io sono stato fortunato con la distruzione, tutti i miei film sono usciti in dvd e "Dimmi che destino avrò" l'ha prodotto Gianluca Arcopinto, uno dei più importanti per il cinema indipendente di un certo tipo. Alcuni colleghi però non riescono ad avere questa fortuna; a loro consiglio di partecipare il più possibile ai numerosi festival che ci sono in giro, è un modo per farsi conoscere e respirare cinema. Io sono attentissimo e cerco di essere presente il più possibile, siamo noi i primi a doverci far vedere. Il pubblico va anche educato e un modo importante è appunto quello di fare il primo passo.
Certe cose bisogna sentirle: non è questione di compromessi in un futuro darsi a un tipo di cinema più commerciali. Per come la vedo io è una questione di sinerità con se stessi; è meglio evitare quando un progetto non ti convince, nuoci a te e alla produzione. E' una riflessione intellettuale prima ancora che monetaria.