Regia: Vittorio De Seta
Cast: Bruno Cirino, Massimo Bonini, Luciano Del Croce, Tullio Altamura, Marisa Fabbri
Anno: 1972
Durata: 290'
Genere: Drammatico, Documentario
Voto: 10
Trama
Un giovane
insegnante fresco di università Bruno D'Angelo (Bruno Cirino)
ottiene una cattedra in una classe di quinta elementare nella borgata
romana di Pietralata. Il gruppo degli alunni è indisciplinato e
irrequieto, ma il professore non solo recupera sulla strada quelli
che da un po' non si presentavano a lezione, ma impartisce loro un
tipo di insegnamento per nulla cattedratico ma che mette al centro i
talenti dei discenti. Il biasimo di colleghi e preside non tarda però
ad arrivare.
Recensione
"Vittorio De Seta: un antropologo che si esprime con la voce di un poeta":
la sponsorizzazione di Martin Scorsese, per quanto lusinghiera, non
preclude a De Seta la possibilità e il merito di brillare di luce
propria.
Totale realismo
e minuziosa analisi antropologica: ambiti e intenti che con Vittorio
De Seta abbracciano spesso la perfetta espressione. Il cineasta nato
in Sicilia e naturalizzato calabrese ha più volte respirato la
possenza e l'odore della strada; fosse esso un pastore, un pescatore,
un minatore, l'uomo di De Seta non è mai
stato ritratto con spettacolarizzazione, anzi il regista ha documentato i suoi giorni, il suo lavoro, suoi affetti con lucidità.
stato ritratto con spettacolarizzazione, anzi il regista ha documentato i suoi giorni, il suo lavoro, suoi affetti con lucidità.
Tale approccio
esplode a piene mani in Diario di un maestro, sceneggiato televisivo
in quattro puntate mandato in onda dalla Rai nel 1973 e tratto dal
libro autobiografico "Un anno a Pietralata" di Albino Bernardini. De
Seta conduce lo spettatore per più di quattro ore con una narrazione
che bacia il dramma e il documentario in modo incredibilmente
verista; i giovani attori, tutti presi dalla strada ed effettivamente
residenti nelle borgate di Tiburtino, Pietralata e La torraccia, non
recitano una parte ma sono sé stessi. Il regista li disciplina
mettendo la loro spontaneità al servizio della storia. Per
praticamente tutto il film non pare di assistere ad una fiction; è
come se invece una telecamera si insinuasse per caso in una mattinata
in un'aula scolastica. Tessuto connettivo e raccordo drammaturgico la
prova attoriale di Bruno Cirino, non un semplice attore qui, né
tanto meno un mestierante, ma capace di incarnare un ruolo complicato
con delicatezza, sensibilità e tempi cinematografici sensazionali.
De Seta parla di
scuola e parte dalla dicotomia con cui si biforca il metodo
pedagogico: da un lato la vetusta impostazione cattedratica per cui
l'alunno equivale a una bottiglia vuota da riempire, dall'altro
l'impostazione più moderna che reputa chi impara un interlocutore
attivo. Da un lato dunque i colleghi gelosi e sospettosi del maestro
D'Angelo, dall'altro la sua passione e il suo porsi al di fuori delle
regole. Un approccio più da educatore lo connota: recupera casa per
casa nelle borgate gli assenti, rifugge date e nozionismi, invita in
aula persone che spieghino i fenomeni dopo averli provati, elimina la
cattedra e i banchi individuali. In poche parole parte da argomenti
che interessano ai ragazzi poiché gli stessi fanno parte della loro
vita reale, quotidiana e da quelli declina le materie curriculari.
De Seta si
permette il lusso, ingaggiando nelle riprese un consulente
pedagogico, di ampliare lo spettro della sua analisi servendo allo
spettatore prelibatezze come la vita in borgata, un destino segnato
dalla necessità del lavoro minorile legato alla povertà famigliare,
la legalità, la vita disfunzionale nelle case popolari, la
mediazione dei conflitti e la gestione della violenza. Un variopinto
arcobaleno di suggestioni orchestrato con indescrivibile vèrve da un
regista che giustamente e più volte ha ricevuto riconoscimenti
formali per le sue capacità documentali.
Ciò che
realmente stupisce per quanto è in grado di frantumare lo schermo
del televisore è la pazienza certosina con cui il regista scandisce
i tempi di permanenza dei ragazzini in classe, i loro dialoghi, il
loro rapporto con il professore. Con un metodo così diverso da certe
fiction italiane di questi anni (dove il sistematico strizzare
l'occhio allo spettatore si fa ricattatorio e invadente), De Seta
lascia che il flusso comunicazionale si propaghi, ondeggi, si prenda
i suoi tempi. La telecamera indaga, ritrae, non giudica, ma racconta,
porta a conoscenza, non interrompe uno scambio di battute anche se di
primo acchito parrebbe che quest'ultimo non stia esprimendo chissà
cosa.
Questo film
insomma, il cui alto valore morale incede a braccetto in ipotetici
fiori d'arancio con la rendicontazione etnografica, si fa trattato
pedagogico e può toccare le più sommesse corde di coloro i quali
nel campo dell'educazione ci lavorano. Costoro troveranno in Diario
di un maestro non solo secchiate di verità ma anche piccole grandi
dinamiche che connotano la loro professione quotidiana. E lo
spettatore dall'udito più fine in alcuni casi sarebbe indotto ad
emozionarsi profondendo lacrime per l'oceano di umanità e di
intelligenza che si trova dinnanzi, ma non piange. Non piange perchè
De Seta non vuole far piangere; vuole anzi descrivere senza tranelli,
senza pietismo, intende indurre dinamismo emozionale e intellettivo
tramite un andamento apparentemente statico.
La fotografia di
Luciano Tovoli e le musiche di Bruno Nicolai corredano un quadro di
insieme che manda in solluchero il concetto del cinema-cultura come
cibo per la mente.