Produssi questo scritto lo scorso anno stimolato dall'anniversario per il 150° dell'unità nazionale.
Alimentavo una fioca speranza che queste parole fossero provvisorie, ma un anno dopo la situazione globale è rimasta preoccupante e poco sostenibile.
Per tali ragioni rimarco quelle riflessioni.
Il cinema tra l'altro parla e deve parlare della vita e anche questa volta mi è venuto in aiuto con la consueta pertinenza.
Un antico precetto educativo intendeva il bambino come un
contenitore vuoto, il compito degli insegnanti
consisteva nel riempirlo di conoscenza e nozioni. Oggi e da diverso
tempo questa formula appare anacronistica, si preferisce intravedere
nei bambini degli interlocutori attivi dotati di senso critico; non
già dunque meri strumenti espressivi di punti di vista riversati su
di loro dagli adulti, ma
soggetti agenti in grado e scegliere come incasellarsi nel mondo.
Si aggiunga che il bambino costituisce
la parte più pura della società, non ancora intaccata dai filtri
sociali, dalle posizioni preconcettuali, pertanto incline a
personalizzare il proprio abitare il mondo in modo genuino e poco
sovrastrutturato.
Le informazioni pedagogiche che si
ricevano in tenera età si configurano inoltre come decisive per
determinare l'abito da adulto che si andrà a indossare.
L'anno scorso decorreva il
150°anniversario del nostro Stato. E anche nel 2012 i bambini
giocano un ruolo non indifferente; i ricordi che sedimentano adesso
potranno in qualche misura sorreggere il loro approcciarsi al
contesto nazionale e comunitario. E gli adulti hanno il dovere morale
di contribuire a tale processo.
Gli strumenti per arrivare allo
scopo?
Informazione non faziosa, condivisione di un momento storico,
sensibilizzazione nelle scuole e nella famiglia, interiorizzazione di
opere letterarie e storiche sotto forma ludica.
Tanto più che gli
attuali programmi didattici ministeriali in fatto di storia non
consentono agli alunni della scuola primaria di avvicinarsi all'unità
d'Italia.
Si parlava di dovere morale da parte
dell'adultità. Il dovere diviene ben presto fattuale; qualora
infatti l'attuale generazione adulta non voglia connotare la sua
permanenza su questa terra di egoismo e cecità, deve ambire a
lasciare la nostra Italia un domani a persone responsabili,
consapevoli.
Il più possibile a “cittadini”.
L'unità d'Italia non consta pertanto
in un mero e tedioso elenco di date, battaglie, non è affare solo di
docenti, appassionati di storia, topi da biblioteca e nerds
occhialuti in fregola per la tassonomia nozionistica.
Rimanda bensì a valori assoluti
sanciti in modo mirabile dalla Carta costituzionale. Libertà,
indipendenza, rispetto, diritti: non fumosi e barbosi concetti
astratti, ma vivide gemme che meritano di essere scolpite nella
memoria collettiva tra le varie generazioni.
La frase pronunciata da Roberto Benigni
in occasione del festival di San Remo riferendosi ai ragazzi caduti
nell'unità nazionale
"loro sono morti per dare la vita a noi”
ha
del miracoloso. Non si tratta dunque di immolarsi masochisticamente
per il futuro, solo usare la sensibilità e l'intelligenza di
trasformare giorno dopo giorno quelle frasi della Costituzione in
missione esistenziale.
Ergo una sorta di imperativo categorico
di cui tutti possiamo e dobbiamo farci molle propulsive, un abito
mentale da mostrare con la sicumera delle modelle in una passerella
chic, un'orgogliosa e possente precondizione verso un nuovo modo di
intendere perfino la politica nel nobile etimo greco di “polis”,
città, comunità.
Come recita una vecchia ma pulsante
pellicola di Vittorio De Sica, “I bambini ci guardano”.