PULSE
Regia: Jon Sonzero
Cast: Kristen Bell, Christina Milian, Ian Somerhalder, Rick Gonzalez, Riki Lindhome, Jonathan Tucker
Anno: 2006
Durata: 90'
Genere: horror, fantascienza
Voto: 3
Trama:
Un misterioso
suicidio di un giovane studente di nome Josh (Johnathan Tucker) mette
a repentaglio la serenità di una scuola e di un'intera comunità
locale. Ma sarà stato solo un suicidio? La sua ragazza Mattie
(Kristen Bell) cerca di indagare le cause di tale evento per lei
traumatico; ma è solo l'inizio, poiché le morti continuano, pare, a
causa di un virus informatico che si propaga tramite i computer.
Recensione:
Le premesse
sembravano buone: prendi un mostro sacro del cinema horror come Wes
Craven che partecipa alla stesura della sceneggiatura; aggiungi un
produttore di grido come Harvey Weinstein; assolda per la sua prima
regia un giovane regista con un background di video clip e video
giochi. Condisci il tutto con un cast di giovani attori tra cui,
ovviamente, come non inserire delle attraenti studentesse in abiti
succinti. E alla fine mettici sopra a profusione una spruzzata di
tecnologia, perchè fà sempre “moderno”.
Benvenuti in uno
dei frangenti più detestabili del cinema americano.
Questo
teen-horror in “elettrica salsa” si dipana
in modo così fiacco e carente da essere dimenticato ancor prima di averlo veduto fino alla fine. Lo script fà acqua da tutte le parti e non desta la benchè minima attenzione in quando fragile e incapace di affermare momenti salienti e di svolta per comprendere lo sviluppo della storia. Alcune scelte e soluzioni tra l'altro appaiono palesemente forzate e irreali e un senso di tedio soporifero fà capolino già dopo un quarto d'ora dall'inizio.
in modo così fiacco e carente da essere dimenticato ancor prima di averlo veduto fino alla fine. Lo script fà acqua da tutte le parti e non desta la benchè minima attenzione in quando fragile e incapace di affermare momenti salienti e di svolta per comprendere lo sviluppo della storia. Alcune scelte e soluzioni tra l'altro appaiono palesemente forzate e irreali e un senso di tedio soporifero fà capolino già dopo un quarto d'ora dall'inizio.
La tesi che il
director Sonzero (per lui una manciata di video di musica tra cui
Mariah Carey e vari games fra cui "Resident evil 5") sarebbe
l'invadenza della tecnologia, dei pc e del digitale nelle esistenze
dei giovani dell'era moderna; e il conseguente appiattimento delle
personalità in virtù di un'omologazione indotta dalle macchine. In
realtà l'obiettivo viene perseguito con chiavi di veduta talmente
fuori dalla logica e poco stimolanti, che la pellicola rimane quello
che è. Ovvero il tentativo da parte di persone che contano nel
cinema di sfruttare tematiche al passo con i tempi allineandole a
componenti che nel corso degli ultimi 15 anni hanno già pagato in
termini di successo e vendita al botteghino. Ma è un buco
nell'acqua.
“Pulse”
è il remake di un film giapponese del 2001 di nome “Kairo”
(circuito) e diretto da Kiyoshi Kurosawa. Quest'ultimo trasse l'opera
da un libro omonimo da lui stesso scritto e divenne un fenomeno in
terra nipponica agli inizi della scorsa decade.
La rivisitazione
a stelle e strisce non solo non bissa minimamente in termini
qualitativi il suo predecessore, ma non ne mantiene integri nemmeno i
significati profondi. Kurosawa, irrorato com'è normale dalla cultura
del suo Paese di residenza, rifletteva sulla morte e sul dopo la
morte posizionando l'individuo ai margini della società in quando
angosciosamente solo. Sonzero banalizza presupposti così
interessanti preconizzando addirittura scenari apocalittici e
standardizzando i suoi personaggi.
Ancora una volta
scaturisce l'istanza che i film horror giapponesi siano poco
esportabili in occidente; troppo pervasi da uno scheletro culturale e
iconografico tutto loro, troppo imbevuti dei sapori di quel luogo,
dotati di una perversione e di un'asprezza uniche e non declinabili
da mani diverse.
La prova dei
giovani attori non aggiunge e non toglie nulla al risultato finale,
sta nella media, ma evidentemente soffre di direttive flebili, di una
direzione a mano incerta e di una non verace affiliazione al
progetto.
La fotografia
appare molto livida, verdognola; il montaggio eredita alcune
caratteristiche del lavoro quotidiano del suo regista e in alcuni
punti risulta schizoide e fulminante.
Ma il terrore
che si dovrebbe vivere sulla pelle rimane solo nelle intenzioni e non
nella pratica.