FILM BIANCO
Regia: Krzysztof Kieslowski
Anno: 1994
Durata: 82'
Genere: drammatico, commedia, grottesco
Voto: 9
Trama
Karol (Zbigniew
Zamachowski) è un polacco di mezza età emigrato in Francia per
sposare la sua dolce metà, la bella Dominique (Julie Delpy), una
avvenente bionda che però chiede il divorzio perchè le nozze non
sono state consumate. Scappato dalla Francia poiché ricercato dalla
polizia, Karol ritorna in Polonia con l'aiuto del connazionale
Mikolaj (Janusz Gajos) inizia una nuova vita senza dimenticare ciò
che gli ha fatto passare Dominique.
Recensione:
Si sente spesso
dire che “Film bianco” rappresenta l'anello debole della trilogia
kielowskiana dedicata ai valori della Repubblica francese. Vuoi per
una struttura narrativa più debole, vuoi perchè non annovera nel
cast attori molto conosciuti (a parte la Delpy). In realtà il secondo capitolo dei
colori è semplicemente
diverso dagli altri, meno drammatico e asfittico, ma più grottesco e non per questo meno elevato quanto a capacità di trasmettere significati.
diverso dagli altri, meno drammatico e asfittico, ma più grottesco e non per questo meno elevato quanto a capacità di trasmettere significati.
Il regista
polacco allenta i toni dell'umanità intima dei personaggi per
spruzzare la storia di momenti gustosamente particolari; non è
opportuno richiamare il concetto di commedia, certo che Karol,
l'eroe-non eroe protagonista, mostra volto, posture, atteggiamenti
che inducono a un sorriso. Un sorriso, sia detto a chiare lettere,
amarissimo, tetro, che, se da un lato lo fa entrare nelle simpatie
dello spettatore, dall'altro non lo esime da colpe e da scelte molto
discutibili.
Ciò detto,
“Film bianco” emana intelligenza e autorialità da tutti i pori e
bissa il suo traguardo principale: l'esaudire la premessa da cui
sortisce, ovvero la drammatizzazione del concetto di “uguaglianza”,
il bianco della bandiera francese. Karol già dalle prime scene in
tribunale deve lottare strenuamente per conseguire in terra straniera
quella parità cui anela; ma ha un traduttore per la differenza
linguistica, la moglie primeggia in aula in quanto francese, i suoi
diritti vengono oltraggiati da una corte parziale. Allora cerca di
ottenere questa uguaglianza in altri modi, meno leciti,
invischiandosi in giri loschi nel suo paese di provenienza, per poi
sfidare il suo passato in un modo che la sceneggiatura dipinge
genialmente.
Zamachowski non
potrebbe essere sostituito da un altro attore, davvero una prova di
razza e bilanciatissima fra il serio e il faceto; di impatto visivo
anche il rigore attoriale, la compostezza e il volto tristissimo di Gajos). Buone notizie anche per la Delpy, che condisce una bellezza
indiscutibile con la capacità di saper dosare la complessità del suo
personaggio.
Laddove il film
scricchiola è nella durata troppo esigua; la seconda parte,
meravigliosa per lo svolgimento e per le trovate di Kielowski, viene
compressa in un minutaggio troppo ristretto quando avrebbe potuto
essere allungata per evitare quei cambi di tendenza troppo repentini
e forzati a cui si assiste. Infatti le mutazioni della vita polacca
di Karol appaiono subitanee oltre ogni logica, pur catalizzando
l'attenzione dello spettatore verso un finale da menzione assoluta.
La pellicola
potrebbe essere vista anche come un colpo di coda del proletario est
Europa (per tradizione inferiore all'altra parte) nei confronti del
capitalistico occidente. Non che da Kielowski trapeli un'acredine
verso i Paesi più forti (tanto è vero che anche questo “Bianco” è stato prodotto come gli altri due da Marin Karmitz). Certo che, con qualche
forzatura, è interessante e al contempo naturale interpretare la
rincorsa del polacco Karol come vendetta verso la francese Dominique
che lo ha trattato come un ospite indesiderato. E il suo essere
straniero in terra straniera sgorga copiosamente nelle già citate
scene del dibattimento legale, quando il protagonista viene esposto a
pubblico ludibrio per la sua impotenza psicologica.
Anche
in questo caso la fotografia si fa notare per mettere in risalto
tutti i momenti, in particolare svetta nella scene della “bianca”
neve, quando ritrae sapientemente un paesaggio brullo e inospitale
polacco. E le musiche ancora una volta sono state curate da Zbigniew Preisner e si fanno deliziose, suadenti e godibili.
Kieslowski guadagnò al festival di
Berlino l'Orso d'oro quale miglior regista.