FILM BLU
Regia: Krzysztof Kieslowski
Anno: 1993
Durata: 98'
Genere: drammatico
Voto: 10
Voto: 10
Trama:
Julie (Juliette
Binoche) ha perso in un incidente stradale il marito, noto
compositore di musica, e la piccola figlia. Elabora il lutto
rinunciando agli agi di una vita da benestante chiudendosi in un
mondo tutto suo. Riceve la compagnia di Olivier (Benoit Régent), ex
amministratore del patrimonio di famiglia, si imbatte nella giovane
prostituta Sandrine (Florence Pernel) e va a trovare l'anziana madre
in casa di riposo (Emmanuelle Riva).
Recensione:
Un sostantivo rende bene l'idea quale
compendio di "Film blu", uno dei lavori più riusciti e celebri del
cineasta polacco Krzysztof Kieslowski: umanità. L'umana intimità
della protagonista Julie (Juliette Binoche) sgorga a piene mani dalla
pellicola e in modo assolutamente potente, rotondo, intelligente,
autoriale. Viene sviscerata la sua attitudine alla vita nel momento
in il fato le sottrae un pezzo di cuore a causa
di un'uscita di strada su un auto in cui c'era anche lei. L'elaborazione del lutto che ne consegue restituisce il regista come un sopraffino chirurgo che incontra idealmente l'ispirazione di un sarto dell'anima. I minuti scorrono lenti e piano piano anche lo spettatore sprofonda nelle pieghe del cuore di Julie, nel suo sguardo algido e poco incline ai sorrisi, in un dolore che la induce spesso a piangere e mette in discussione il suo approccio al mondo intero.
Gli aspetti che seducono maggiormente sono due:
1) la protagonista come meccanismo di difesa per lenire la sofferenza scelga lo spogliarsi degli orpelli che una vita agiata e le conoscenze precedenti le avevano dato. Rifiuta così la proprietà privata, i legami affettivi e si richiude in sè stessa considerandoli delle trappole. Questa discesa verso il solipsismo viene evidenziata da una sceneggiatura deliziosamente ficcante e da momenti di cinema in totale ed estatico stato di grazia.
2) Kieslowski cura i dettagli in modo sublime e carico concettualmente. Allora il volto di un medico si conficca nell'occhio della protagonista, la piscina è completamente avvolta di blu, Julie se ne sta dietro a quel lampadario formato da pezzi del medesimo colore (in quelle che visivamente sono le scene più belle dell'intero film), è molto fredda dopo aver fatto l'amore con Olivier salvo prima averlo sedotto in modo del tutto glaciale.
E allora anche un cubetto di zucchero si fa sostanza artistica: Julie ce l'ha in mano, lo intinge nel caffè e passano 5 secondi in modo tale che il bianco dello zucchero diventi scuro. Negli extra il regista racconta di aver mandato un suo assistente per mezza giornata a cercare zollette di zucchero che si inumidissero del tutto in 5 secondi...non 3 e non 8, ma 5. Il che evidenzia un'aderenza totale alla causa e una pervicace attenzione alla piccolezza che si fa importante ed espressiva.
Ogni scelta di Kieslowski vira verso un'unica direzione: restituire la soggettività di una stupenda Binoche, stupenda nella bellezza e nella recitazione. Il dolore della morte dei suoi famigliari passa dunque attraverso i suoi occhi, ma anche la sua carne come nella scena delle nocche della mano scarnificate (scena che girò a quanto pare senza protezione).
E'intorno a lei che ruota tutto ed è degno di nota questo paradosso: gli attori collaterali a lei non hanno un ruolo decisivo, ma sono funzioni narrative. Eppure tutti hanno un senso preciso e di spessore. Il rapporto con la vecchia madre malata, il rapporto con Olivier, la giovane prostituta che desta in Julie istinti sopiti da una vita precedente ricca ma fredda.
Taglia i ponti con tutti in una tetraggine solitaria, ma è buona e si dispone al prossimo con apertura. Con freddezza, ma con apertura.
Da notare anche la fotografia assolutamente meravigliosa; una goduria anche esteticamente il film, primo di una trilogia per la quale Kieslowski lavorò con il produttore francese Marin Karmitz per un trittico di opere basato sui tre colori della bandiera transalpina. Film blu è dedicato alla libertà.
Vi sono innumerevoli scene da menzionare, ma una sciocca letteralmente per intensità: Julie che, sotto le coperte a letto dopo l'incidente, guarda su un lettore portatile, le notizie sul decesso del marito e la corrente del dispositivo si esaurisce.
di un'uscita di strada su un auto in cui c'era anche lei. L'elaborazione del lutto che ne consegue restituisce il regista come un sopraffino chirurgo che incontra idealmente l'ispirazione di un sarto dell'anima. I minuti scorrono lenti e piano piano anche lo spettatore sprofonda nelle pieghe del cuore di Julie, nel suo sguardo algido e poco incline ai sorrisi, in un dolore che la induce spesso a piangere e mette in discussione il suo approccio al mondo intero.
Gli aspetti che seducono maggiormente sono due:
1) la protagonista come meccanismo di difesa per lenire la sofferenza scelga lo spogliarsi degli orpelli che una vita agiata e le conoscenze precedenti le avevano dato. Rifiuta così la proprietà privata, i legami affettivi e si richiude in sè stessa considerandoli delle trappole. Questa discesa verso il solipsismo viene evidenziata da una sceneggiatura deliziosamente ficcante e da momenti di cinema in totale ed estatico stato di grazia.
2) Kieslowski cura i dettagli in modo sublime e carico concettualmente. Allora il volto di un medico si conficca nell'occhio della protagonista, la piscina è completamente avvolta di blu, Julie se ne sta dietro a quel lampadario formato da pezzi del medesimo colore (in quelle che visivamente sono le scene più belle dell'intero film), è molto fredda dopo aver fatto l'amore con Olivier salvo prima averlo sedotto in modo del tutto glaciale.
E allora anche un cubetto di zucchero si fa sostanza artistica: Julie ce l'ha in mano, lo intinge nel caffè e passano 5 secondi in modo tale che il bianco dello zucchero diventi scuro. Negli extra il regista racconta di aver mandato un suo assistente per mezza giornata a cercare zollette di zucchero che si inumidissero del tutto in 5 secondi...non 3 e non 8, ma 5. Il che evidenzia un'aderenza totale alla causa e una pervicace attenzione alla piccolezza che si fa importante ed espressiva.
Ogni scelta di Kieslowski vira verso un'unica direzione: restituire la soggettività di una stupenda Binoche, stupenda nella bellezza e nella recitazione. Il dolore della morte dei suoi famigliari passa dunque attraverso i suoi occhi, ma anche la sua carne come nella scena delle nocche della mano scarnificate (scena che girò a quanto pare senza protezione).
E'intorno a lei che ruota tutto ed è degno di nota questo paradosso: gli attori collaterali a lei non hanno un ruolo decisivo, ma sono funzioni narrative. Eppure tutti hanno un senso preciso e di spessore. Il rapporto con la vecchia madre malata, il rapporto con Olivier, la giovane prostituta che desta in Julie istinti sopiti da una vita precedente ricca ma fredda.
Taglia i ponti con tutti in una tetraggine solitaria, ma è buona e si dispone al prossimo con apertura. Con freddezza, ma con apertura.
Da notare anche la fotografia assolutamente meravigliosa; una goduria anche esteticamente il film, primo di una trilogia per la quale Kieslowski lavorò con il produttore francese Marin Karmitz per un trittico di opere basato sui tre colori della bandiera transalpina. Film blu è dedicato alla libertà.
Vi sono innumerevoli scene da menzionare, ma una sciocca letteralmente per intensità: Julie che, sotto le coperte a letto dopo l'incidente, guarda su un lettore portatile, le notizie sul decesso del marito e la corrente del dispositivo si esaurisce.
Fra i tanti premi si ricordano a
Venezia il Leone d'oro come miglior film e la Coppa Volpi per la
miglior interpretazione a Juliette Binoche.