Chiara Conti e Vittorio Giacci, direttore artistico del BA film festival |
Nel volto una carezzevole miscellanea
di modernità e tradizione, occhi che parlano di sfida e al contempo
riservatezza, tenerezza e spregiudicatezza, eloquio che si prende i
suoi tempi e voce fine.
Fa bene l'attrice Chiara Conti a giocare
le sue carte con ragionevolezza in un'industria del cinema che, come
tutti gli ambiti professionali oggi come oggi, non aspetta nessuno,
ma talvolta riconosce al talento di emergere. E di tali qualità si è
accorto il regista napoletano Tony D'Angelo, che l'ha scelta per il
ruolo di protagonista nel suo ultimo lavoro uscito a dicembre 2012
«L'innocenza di Clara». Il cineasta, appassionato al cinema di
genere in questo noir/drama ambientato tra le rocce marmoree di
Carrara, ha sfruttato ciò che di buono è in grado di offrire
Chiara, ovvero provocazione e libertà ma assenza di
volgare approccio sentimentale. Ne è sortito un ritratto di donna accattivante e seducente che non abbisogna di forme corporee scoperte per addivenire a un risultato drammaturgico. E il curriculum della Conti già le aveva consentito di giocare una parte similare ne «L'ora di religione» di Marco Bellocchio; curriculum che registra partecipazioni a «H2odio» di Alex Infascelli, a due film di FrancoBattiato, oltre che a varie serie tv tra cui «Distretto di polizia».
volgare approccio sentimentale. Ne è sortito un ritratto di donna accattivante e seducente che non abbisogna di forme corporee scoperte per addivenire a un risultato drammaturgico. E il curriculum della Conti già le aveva consentito di giocare una parte similare ne «L'ora di religione» di Marco Bellocchio; curriculum che registra partecipazioni a «H2odio» di Alex Infascelli, a due film di FrancoBattiato, oltre che a varie serie tv tra cui «Distretto di polizia».
Ringrazio Emilia Carnaghi dell'ufficio stampa del Busto Arsizio film festival per la
preziosa disponibilità.
Parlami del film in concorso al BA
festival «L'innocenza di Clara».
E' la storia di
Clara, una donna di provincia che si sposa con un ragazzo e lo
raggiunge in questo piccolissimo paese sospeso in una mentalità
profondamente maschile e retrograda. Le donne lì devono rimanere a
casa a cucinare e pulire, gli uomini lavorano e vanno a caccia; lei
però arriva da una realtà più grande, è una persona diversa,
solare, a cui piacere giocare e sconvolge la vita agli uomini della
storia. L'aspetto significativo è che crea scompiglio senza
rendersene conto, inconsciamente, da qui l'innocenza del titolo.
Il personaggio è forte e attraente,
hai dovuto ricercare dentro di te, dal tuo passato, dei riferimenti
per incarnarlo meglio?
Ho comunque visto
diversi film su donne che portano scompiglio, il cinema abbonda di
femme fatale; ogni donna comunque questa attitudine ce l'ha innata e
ogni attrice sogna di interpretare almeno una volta questo ruolo.
Come ti sei trovata nel lavoro
quotidiano con il regista e la troupe?
Ho letto la
sceneggiatura, era bellissima, poi il film è stato montato in modo
diverso; non conoscevo Tony D'Angelo, l'aiuto regista mi contattò e
andai a fare un incontro. Mi trovai davanti questo
giovane uomo di 35 anni, con la faccia un po' da bambino, che si è
poi rilevato una persona con grandissima sicurezza, mille idee e
capace di farci giocare sul set con molta libertà. Ci disse: «Io le
battute non le voglio, fate le vostre battute» ed è stato
stimolante mettersi in gioco senza recitare a memoria e affidarsi
alla fiducia che ci ha dato.
Un film in cui locations e ambiente
fungono da protagonista aggiunto, non è vero?
Abbiamo girato
creando un'autentica famiglia, molti giorni fuori sempre con tutta la
troupe; è un posto incredibile lassù, con le cave di marmo, con
questi colori accesi ma anche cupi e dove incombe davvero la
pressione di queste montagne. Tony ci disse che non gli interessavano
i primi piani, ma solo persone che si perdessero in quell'immenso
contesto.
Che tipo di distribuzione in sala ha
avuto il film?
Piccola, poche
copie che continuano a fare il giro in alcune città; il riscontro
del pubblico è stato positivo e le critiche molto buone, questo
ripaga del lavoro svolto. Credo e spero che entro giugno esca il dvd.
Hai già collaborato con registi di
primo nome; c'è qualche esperienza che ti ha lasciato
professionalmente e umanamente qualcosa più di altre?
Prescindendo dal
fatto che ogni volta ricavi lezioni e stimoli, ovviamente sono
affezionata a «L'ora di religione» di Bellocchio, il mio film con
un ruolo bellissimo, conoscendo in Marco e in Sergio Castellitto due
persone incredibili. Una volta lessi una critica per cui Clara è il
proseguimento di Diana Sereni, il mio personaggio de «L'ora di
religione». E poi «H2odio», che ebbe una distribuzione
particolare, in digipack nelle edicole, un modo di agire molto valido che, e non me lo so
spiegare, non è stato più percorso. Era il primo di un progetto che
doveva continuare, con otto registi, ma si è fermato tutto. Quel
film mi ha dato molto per il confronto con un regista molto diverso
da Bellocchio; lui ha il potere di farsi capire alla lettera solo con
la forza del volto, senza parlare troppo, mentre Alex Infascelli
studia come sei fatta e sa dove colpire per ottenere quello che
vuole.
Senza contare il tuo lavoro per la
televisione; che differenza hai riscontrato fra piccolo e grande
schermo?
Hi fatto «Le cinquegiornate di Milano» con Carlo Lizzani; «Butta la luna», una serie che andata
molto bene, pulita, che parlava di bambini e adozioni e in cui io ero
psicologa infantile. E poi «Ris» e «Distretto di polizia».
Differenze? Beh la velocità: in televisione è tutto più immediato
e svelto e proprio per questo diventa una palestra pazzesca. Lì fai
10 scene al giorno, in un film 2; entri nel personaggio fino a un
certo punto, nel cinema ti affezioni invece di più a quello che fai e sei
anche più «coccolata» dal regista.
Perché il cinema di genere non
riesce a raggiungere la diffusione di qualche decennio fa o comunque
il largo pubblico anche oggi? Almeno in Italia, perché in Francia le
cose stanno in maniera molto diversa.
Se uno stile
funziona, si continua a farlo perché rende con sicurezza; ad esempio
ci abbiamo messo 12 anni a capire che era ora di smetterla con il
«Grande fratello». Per i noir e i drammatici ci sono pochissimi
soldi, si devono fare i salti mortali per la distribuzione; per
fortuna ci seguono gli appassionati, che pochi non sono, ma la
maggior parte della gente abbocca a quello che va per la maggiore.
Oppure stanno a galla coloro che
hanno già storicizzato un curriculum, no?
Certo! Il fatto di
non avere una promozione è terribile; già è complicato essere
distribuiti, ma se poi nessuno tu pubblicizza, resti nell'ombra anche
se il tuo lavoro è ottimo. Tu parlavi della Francia: sai, il noir
stesso nasce lì e poi la gente va al cinema a vedere soprattutto i
film francesi e poi gli altri. Noi abbiamo un'idea di patria di
lieve; e, come dicevano i Coen, siamo un paese per vecchi da tutti
punti di vista.
Come è possibile oggi mettere in
linea il cuore con il cervello? Concretizzare i propri sogni e
riuscire al contempo a pagare mutuo e bollette?
Quando arrivai a
Roma, non avevo in tasca nemmeno mille lire, facevo tre lavori per
mantenermi e frequentavo la scuola. La passione ti fa superare
angosce e difficoltà; io adesso faccio delle traduzioni per una casa
editrice, mi piace molto, ma ancora di più mi piace fare l'attrice.
Come attrice magari guadagno molto bene per tre mesi, ma il resto
dell'anno non posso contare su quel reddito. In America il cinema è
un'industria e, se tu sei in grado di intrattenere, investono sul tuo
lavoro; qui da noi no. Non buttiamo mai via la passione, questo mai,
ma nel frattempo facciamo più lavori possibili; prima o poi qualcosa
succede e soprattutto mai abbattersi ai no e bussare sempre a tutte
le porte!