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domenica 21 aprile 2013

ITAKER - VIETATO AGLI ITALIANI

ITAKER - VIETATO AGLI ITALIANI
Regia: Toni Trupia
Anno: 2012
Genere: drammatico
Durata: 98'

Voto: 7,5
  
Trama:
Anni '60. Pietro Zanon (Tiziano Talarico) è un bambino trentino cui muore la madre; per non rimanere solo, viene sospinto ad andare a cercare il padre immigrato in Germania per trovare fortuna. Ad accompagnarlo c'è Benito Stigliano (Francesco Scianna), uno scavezzacollo napoletano che,
per ripulire il proprio passaporto lordato da qualche flirt con il carcere, accetta di buon grado. La convivenza, dapprima forzata e difficile, servirà a irrobustire il rapporto fra i due; a intromettersi però ci pensa un gruppuscolo di malavitosi italiani ormai tedeschi capitanati da Pantanò (Michele Placido).

Recensione:
Chi l'ha detto che, per far riflettere sui tempi moderni, occorra dipingere una situazione ambientata nell'anno 2013? E se invece la storia, da sempre «magistra vitae», fosse più eloquente di qualsivoglia di modernismo?
Accattivante la proposta del regista Toni Trupia; classe 1979, arriva con «Itaker» al secondo film (il primo, «L'uomo giusto», è datato 2007; inoltre si conta a sua firma un segmento di «Incidenti» nel 2005). E rinnova per l'occasione un consolidato sodalizio con Michele Placido, con il quale concepisce la sceneggiatura affidandogli un ruolo non indifferente nell'economia della storia. Ma il curriculum di Trupia lo vede già impegnato con il più noto collega: suo infatti è il determinante zampino nella sceneggiatura di «Vallanzasca – gli angeli del male» e la posizione di assistente alla regia in «Romanzo criminale».
Trupia, siciliano ma trapiantato a Roma per inseguire il suo sogno artistico, arcaicizza agli anni '60 del secolo scorso un trend che non passa mai di moda e si è tramandato perfino nella seconda decade dei 2000: l'immigrazione. Recluta Francesco Scianna, di certo non uno sconosciuto, lo rende asse portante del film e il colpaccio gli riesce. Se c'è un elemento che esplode letteralmente dallo schermo è la prova attoriale memorabile del protagonista di «Baarìa»: volto pazzesco, altero e sognatore al contempo, Scianna scolpisce con passione e raziocinio il suo personaggio conducendo un lavoro di immedesimazione carnale che lascerà il segno. A fargli da parallelo un giovanissimo attore esordiente, Tiziano Talarico, che svolge il compitino senza graffiare purtroppo. Intorno a loro una serie di carachters equidivisi fra buoni e cattivi con recitazioni ordinate e credibili fra cui spicca quella di Nicola Nocella, già apprezzato in diverse pellicole italiche fra cui l'avatiano «Il figlio piùpiccolo». E poi Placido, il quale, come da consuetudine, non passa inosservato innervando di malignità e cinismo un attempato ma rabbioso «itaker» trapiantato in terra crucca e dedito ai loschi affari.
Trupia ci accomapgna in questo viaggio con un declinarsi degli eventi che, quantunque si perda qua e là, rimane credibile e solido. Non colpisce lo spettatore, non lo ricatta con momenti strappalacrime anche se strizza l'occhio in alcuni moods al mondo televisivo. Questo comunque rimane un film in cerca di autorialità e Trupia mostra in più occasioni di poter ambire a questo status impreziosendo i 98 minuti di durata con occhio registico e capacità di inquadratura gustosi. La fotografia non rappresenta poi solo una mera appendice tecnica, ma «colora» l'opera di qualità andando a valorizzare puntualmente sia i momenti più tetri che quelli più ariosi. Si mantiene comunque su un registro di oscurità per la contestualizzare i tempi degli eventi e la drammaticità degli stessi. Il film appare molto ben confezionato, dimostrando un lavoro di amore e attenzione anche ai costumi e alla ricostruzione storica.
Qua e là permane qualche dubbio circa l'ambizione di «Itaker», il quale avrebbe potuto anche osare di più, spingersi nell'acredine di alcuni personaggi e insistere ancora di più sull'aspetto sociale di questi immigrati (denominati in malo modo, come recita lo stesso titolo, dai tedeschi).
Permane il sentore di un film estremamente sincero, pensato, studiato, ricco di stimoli e incorniciato da ottima forma. Un film che può costituire pregevole documento per sottolineare le contraddizioni dell'ampio fenomeno immigrazione. Fenomeno che, impossibile da liquidare in due parole, non si è sostanziato soltanto in persone, pezzi di cane in movimento da un luogo all'altro, bensì da cuori e cervelli che si sradicavano da una via consolidata per abbracciare un salto nel vuoto. Uomini che a loro modo hanno fatto la storia di questo Paese e cui va riconosciuto coraggio intrepido e voglia di vivere.
Concetti, questi, ancor più rilevanti se nel periodo precedente si sostituisce l'imperfetto con il presente. Da anni la crisi economica falcidia tutta l'Europa e il mondo, ergo i flussi migratori hanno ripreso a circolare vorticosamente. E con essi storie di vita individuali e collettive si dispiegano in tutto il loro pugnace malessere.
Per questo il film di Trupia è ancora più importante. Forse anche necessario.