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giovedì 18 aprile 2013

INTERVISTA A RADEK WEGRZYN E ROBERTO GAGNOR, REGISTA E SCENEGGIATORE

Quando un film non è americano lo si nota dopo trenta secondi; non occorre essere unto da scienza infusa, un occhio mediamente allenato al cinema ne viene a capo con agilità. Nel bene o nel
male gli americani, i principali motori dell'industria cinematografica a livello mondiale, propongono/impongono da decenni un trade mark alquanto riconoscibile, verificabile, empiricamente palese. Se da un lato ciò rappresenta incontrovertibile forza, dall'altro fa spiccare ancora di più le peculiarità di altre forme artistiche, le quali, rifuggendo per lo più effettistica speciale e razionale logica circolare a tutti i costi, appaiono talora più destrutturate, tal'altra più intime e raccolte, tal'altra ancora più attente alla piccolezza della vita, dei popoli e dei sentimenti. Non fa eccezione quanto ad opere felicemente non a stelle e strisce ma con forte respiro europeo «L'estate in campagna», pellicola non ancora uscita nel nostro Paese e che corrisponde all'esordio in lungo per il regista polacco Radek Wegrzyn e lo sceneggiatore italiano Roberto Gagnor. Fantasia, spirito grottesco, commistione fra delicatezza e durezza: solo alcuni degli ingredienti di questa vicenda che di primo acchito può apparire bislacca, ma che chiarifica precisi intenti con lineare e apprezzabile semplicità. A correre in parallelo con la stranezza della storia ci pensa anche l'inconsueto modo in cui regista e sceneggiatore si sono incontrati. Li abbiamo raggiunti al BAF, Busto Arsizio film festival, in cui i due si sono concessi con la guasconeria di due vecchi amici alle domande del nostro blog (purtroppo non molte a causa degli stretti tempi tecnici concessici; ringrazio comunque Emilia Carnaghi dell'ufficio stampa del festival per la disponibilità).
Descrivetemi il film che vi vede protagonisti in concorso qui al BA festival.
Il titolo italiano è «L'estate in campagna», quello tedesco è «Sommer auf dem land», ma noi lo chiamiamo «Father, son and holy cow», cioè «padre, figlio e porca vacca». E' una commedia agrodolce diretta da me, che sono polacco ma diplomato alla scuola di regia di Berlino; l'abbiamo scritta noi due con l'aiuto di altro sceneggiatore polacco. Il tema principale è il superamento di un lutto e l'accettazione di quello che succede; si tratta del nostro primo film, siamo molto felici perché a Busto Arsizio è la prima volta che si vede in Italia.
La vostra storia è alquanto curiosa; come siete venuti in contatto?
Ti sembrerà strano, ma l'incontro è avvenuto in un bus in America; frequentavamo la stessa scuola di cinema nel Maine, ma casualmente siamo arrivati entrambi un giorno prima. Eravamo nella stessa condizione e così decidemmo di dividere una camera di motel fino al giorno dopo.
Insomma il destino ha deciso in modo tanto bizzarro, poi il fatto di piacervi l'un l'altro ha fatto il resto, immagino.
Sì, siamo rimasti in contatto continuando a stare in stanza insieme anche nella scuola, con altri due studenti; ci siamo aiutati molto con i nostri cortometraggi. Certo poi ci siamo piaciuti come carattere, attitudini al cinema, gusti in fatto di arte.
Quali riferimenti cinematografici vi muovono nell'impostare il lavoro?
Terry Gilliam, Emir Kusturica, Frank Darabont per i temi delle storie. Sono registi particolari, me ne rendo conto, non ti abbiamo detto Kubrick o Scorsese; per quanto riguarda l'Italia ti citiamo Tornatore e ti diciamo di più: sai quella classica domanda sui tre film che uno avrebbe voluto fare? Per me uno sarebbe sempre e comunque «Nuovo cinema paradiso».
Radek, tu vivi in Polonia adesso?
Vivo a Berlino.