«Itaker – vietato agli italiani» è
uno di quei film che oggi quasi non si fanno più in Italia, una di
quelle opere che ha inciso direttamente nel dna l'attitudine non
commerciale ma si rifà al registro musicato decenni fa da gente come
Germi e Rosi. Ciò non significa anacronistico, superato, solo poco
presentabile a chi con il cinema brama fare soldi a tutti i costi.
Cinema introspettivo, analitico di una situazione, drammatico ma che
non rinuncia al piacere di imprimere a fuoco nell'uomo il suo
rapporto con gli altri, la società, se stesso. La pellicola, il cui
attore principale è Francesco Scianna in una di quelle
interpretazioni destinate a essere ricordate, è stato presentato in
concorso la sera di venerdì 19 aprile al BA film festival.
Cerimoniere nella serata, oltre allo stesso Scianna, il
regista Toni Trupia, il quale, a dispetto di un'età piuttosto giovane, ha inanellato già un primo appuntamento in lungo e un virtuoso sodalizio con Michele Placido. Toni infatti, tra le altre cose, ha scritto la sceneggiatura di «Vallanzasca – gli angeli del male» e fatto l'assistente alla regia in «Romanzo criminale».
regista Toni Trupia, il quale, a dispetto di un'età piuttosto giovane, ha inanellato già un primo appuntamento in lungo e un virtuoso sodalizio con Michele Placido. Toni infatti, tra le altre cose, ha scritto la sceneggiatura di «Vallanzasca – gli angeli del male» e fatto l'assistente alla regia in «Romanzo criminale».
Comincia a dipingere le
caratteristiche del tuo ultimo «Itaker» e la sua genesi.
E' un film
particolare che non prende di petto la realtà come sta facendo il
cinema italiano; ma racconta una storia che si svolge negli anni '60,
parla di immigrazione, di un bambino che parte dal Trentino per
andare in Germania a cercare il padre. Ad accompagnarlo trova un
giovane scavezzacollo, un napoletano, interpretato da Francesco
Scianna; lui, per avere un passaporto pulito, visto che aveva avuto
problemi con la giustizia, decide di riconsegnarlo al padre, ma poi
matura il rapporto fra i due. Michele Placido, che mi aiutato a
scriverlo e ha interpretato un personaggio, diede una suggestione
dopo aver sentito per caso le vicende di un signore che dalla Puglia
era andato a Milano a trovare il papà immigrato. Mi ha consegnato
fra le mani questo spunto mettendomi anche un po' in crisi perché
non rientrava nei miei programmi. In realtà, lavorandoci su, ho
capito che molto di quello che il nostro Paese è oggi è frutto di
esperienze simili a queste. Negli anni '60 anni il boom economico
costò qualcosa, un sacrificio di molta gente perché l'Italia
diventasse ricca.
Il film ancora non l'ho visto; da
quello che dici, pare tu sia andato alla ricerca dell'umanizzazione
del personaggio. E' così?
Certamente! Parlo
di persone sradicate, che hanno patito molti drammi; il che, se ci
pensi, non è troppo distante da quello che accade oggi, in cui si
ricomincia a emigrare, la Germania è ridiventata appetibile.
Continua il suo legame preferenziale
con Placido con «Itaker»; come ti sei trovato a lavorare con lui?
Con Michele ho
vissuto un rapporto molto travagliato ma ricco, come accade spesso
con personalità artistiche di quel livello, quando le certezze vanno
in frantumi. In otto anni lo abbiamo fatto maturare e gli devo
tantissimo, dai primi passi alla fiducia che mi ha donato come in
occasione di «Vallanzasca».
In cui, presuppongo, hai conosciuto
Scianna.
Esatto, lì lui
interpretava il personaggio di Francis Turatello; ricordo ancora
Michele che in ufficio me lo consegnò. Su Turatello non c'era
moltissimo materiale, io avevo raccolto quanto possibile, ma ho
vissuto con Francesco un'empatia immediata. E' una persona di grande
umanità, di immediatezza cristallina; non ci ho pensato due volte
quando c'è stato modo di lavorarci ancora. E' uno dei giovani attori
di cui si parlerà; ha 31 anni, ma già le sue prime cose sono state
di alto livello come in «Baarìa» di Tornatore. Non ha mai però
fatto pesare la sua esperienza pregressa, è entrato nel personaggio,
ha condiviso sotto tutti gli aspetti il progetto.
Francesco in «Itaker» ha svolto il
classico lavoro penetrativo nelle vesti e nelle carni del
personaggio?
Fa di tutto
nell'entrare nella psicologia di chi interpreta; tieni conto che lui,
siciliano, faceva un napoletano e se n'è stato a vivere a Napoli per due mesi
assorbendo per due mesi gli umori della città. Questo andando oltre
il folklore, gli stereotipi, non ha fatto Pulcinella, è stato
straordinario.
Io credo che Placido sia da un
ventina d'anni il traino artistico di una schiera di giovani e meno
giovani registi interessati al cinema di genere/denuncia/verità, che
fanno fatica ad emergere ma che hanno i numeri per imprimere il loro
nome. Sei d'accordo e, se sì, vuoi esserne parte?
Sì per entrambe.
Era molto tempo che i registi in Italia non cercavano il contatto con
il pubblico in modo così corposo. La lezione di Michele è porsi
costantemente il problema della realtà, di penetrarla, non lasciando
perdere il senso dello spettacolo. I giovani cineasti, hai ragione,
stanno vivendo un momento straziante; hanno energie interessanti,
tornano ad esserci le sguardi, ma si disperdono. Per anni in Italia
siamo andati avanti a far emergere lo sguardo di chi raccontava la
storia; oggi stiamo riprendendo in mano le persone, le storie della
gente in cui lo spettatore può riconoscersi. Essere popolari per un
po' è stato come screditarsi e così i registi si sono chiusi nella
campana di vetro facendo film quasi per loro stessi.
Nei film drammatici, per rendere la
giusta atmosfera poi al pubblico, ritieni che anche sul set si debba
agire imponendo un clima similare? Che regista sei in tal senso?
Non che credo che
laddove ci siano delle pressioni esagerate si possa favorire la
riuscita drammatica. Il set dev'essere luogo di grande serenità, di
espressione personale; mi piace diventare amico di tutti quanti. Con
gli attori siamo rimasti legati visceralmente anche dopo il film.
Hai già dei progetti per il futuro?
Sì, lo sto
sviluppando con il produttore Sauro Falchi; è particolare e fa il
punto sul periodo storico '60-'90 nel nostro Paese, ma lo fa con
leggerezza, è in tono di commedia.
C'è qualche professionista del
cinema con cui ti piacerebbe collaborare in futuro?
Mi sono convinto
che, pur riconoscendo i grandi maestri, è sbagliato idealizzare per
forza qualcuno; la riuscita di un film non dipende però dal peso di
costoro, che però non sono a priori migliori di altri in quel
determinato set. Mi piacerebbe più che altro lavorare con tanti
giovani, con idee fresche, cercando di volta in volta la faccia o la
mentalità giusta per quell'occasione.