RAZABASTARDA
Regia: Alessandro Gassman
Cast: Alessandro Gassman, Giovanni Anzaldo, Manrico Gammarota, Sergio Meogrossi, Matteo Taranto, Michele Placido, Madalina Genea, Nadia Rinaldi
Anno: 2013
Genere: drammatico
Durata: 110'
Voto: 7,5
Trama:
Roman
(Alessandro Gassman) è di etnia rom ed è giunto in Italia con la
madre a 30 anni; la moglie non c'è più, ma in compenso vive per
rendere felice Nicu (Giovanni Anzaldo), il giovane figlio. Per
mantenere la famiglia spaccia cocaina con l'amico pugliese
Geco (Manrico Gammarota) e il sostegno di un avvocato trafficone (Michele Placido). Mentre il padre sogna il colpaccio per addivenire a una vita dignitosa, Nicu si fa tentare da Talebano
Geco (Manrico Gammarota) e il sostegno di un avvocato trafficone (Michele Placido). Mentre il padre sogna il colpaccio per addivenire a una vita dignitosa, Nicu si fa tentare da Talebano
(Sergio Meogrossi), un
poveraccio provvisto di cultura spicciola che sogna di decollare
con i traffici illeciti.
Recensione:
I rom in Italia,
il dipinto della loro vita, le contraddizioni della loro presenza,
divergenze e possibili convergenze in vista di un'integrazione
societaria. Temi di una delicatezza palpitante che è lecito
considerare tanto meritevoli di attenzione quando praticamente
impossibili da trattare in un'opera d'arte.
Ad Alessandro
Gassman va dato il coraggio degli incoscienti, di coloro i quali
sfidano le contingenze per inseguire il sogno e una via artistica
personale. Con probabilità il figlio del grandissimo Vittorio era a
conoscenza del fatto che, da qualsivoglia angolazione prendesse la
storia, qualche critica l'avrebbe ricevuta. Troppo vasto il
tema, troppe ideologie alimenta un'esistenza, quella dei rom nel
nostro Paese, che nessun italiano esterno può spiegare con
ragionevolezza e polso conoscitivo.
Si parta dunque
dall'attestazione di merito a Gassman, il quale, come prima regia
decide di ingrassare 10 chili, mettersi delle protesi dentarie e dare
alla luce la figura di questo chiassoso Roman. Il personaggio è
credibile; se infatti si escludono alcune esagerazioni della parlata
(che talvolta paradossalmente rendono ironico un registro molto
drammatico), è interessante la commistione fra violenza nei modi e
sincero amore per il figlio. Gassman punta tutto sul grido, dando
fiato a un latrato che pare essere quello dell'intera etnia rom in
una Nazione straniera, Nazione madre e matrigna, accogliente ma anche
respingente, che prima ospita poi brutalizza.
Il film in
realtà non parla troppo di integrazione: a parte il rapporto (riuscito) fra
Roman e l'amico italiano, non appaiono significativi gli scambi fra i
due popoli. Prevalgono anzi le dinamiche fra i rumeni, con feste,
musica, maniere di comportamento simili.
Il quadro che ne
emerge è convincente, dotato di impatto e forza d'urto; la
sceneggiatura regge molto bene e fidelizza lo spettatore non facendo
mai abbassare il livello patemico con le vicende. In più gli attori
offrono una buona prova di gruppo, si respira intrigante coralità e
alcuni momenti risultano aggraziati come pugni in faccia, strillati,
sbattuti in faccia. Gassman in tal senso non utilizza filtri, si
lascia andare e butta giù i muri (dell'intolleranza?) senza
difendere o attaccare i rom.
Ecco il pregio
maggiore del film: in quando di genere, umanizza i personaggi, vira
all'interiorità e declina varie riflessioni preziose. Il rapporto
parentale padre e figlio, la difficoltà di crescere in un Paese
straniero sia per la prima che per la seconda generazione, lo
sfruttamento delle donne, la violenza come forma comunicazionale, la
povertà.
Qualche problema
si accusa in fatto di stereotipia; se è sacrosanto che i personaggi
funzionano, i ruoli sono schematizzati, troppo netti. Gassman dà
l'idea di essere partito fin dall'inizio come un carro armato verso
la distruzione e, volendo accentuare con l'iperrealismo le scene, ha
finito per accentuare anche gli spigoli dei ruoli. Roman e Nicu
avrebbero potuto dunque essere maggiormente Roman e Nicu e non così
marcatamente un rom trapiantato in Italia e il figlio di un rom
trapiantato in Italia.
La pellicola è
girata in un felicissimo bianco e nero, che arcaicizza (sia detto in
senso buono) la proposta e rende ancora più fruste, consunte, povere
locations, sceneggiature e interni della roulotte della famiglia.
Altro punto a favore del film: c'è confusione, disordine, sporcizia,
lordura (anche morale?), un vero macello assolutamente valorizzato
e, se possibile, estremizzato da questo b/n che talvolta vive di
raffiche luminose avvincenti.